Salvatore Silvano Nigro è un grande militante della lingua italiana. E ha avuto modo, grazie al suo talento, di spiegarla ai suoi studenti parigini della Sorbona, a quelli della New York University, poi dell’Indiana University, infine della Normale di Pisa. Il professore è un settantenne catanese di irriducibile corazza, di fantastici e interminabili studi e di una tenacia impareggiabile. “A settembre dovrò lasciare l’università (ora è allo Iulm di Milano, ndr) perché secondo la legge italiana a settant’anni sei inservibile. Andrò al Politecnico di Zurigo, gli svizzeri non hanno di queste suggestioni”.
Il Ventunesimo secolo sembra così infelice, così potentemente ammaccato e disastrato nell’etica e nell’economia che fa venire in mente il Seicento, il secolo della corruzione.
È il tempo in cui Giordano Bruno viene bruciato vivo, Tommaso Campanella incarcerato, Galileo umiliato. C’è un perché se Alessandro Manzoni scrive i suoi Promessi Sposi retrodatandoli di duecento anni. Lui, uomo dell’Ottocento, fa vivere Renzo dentro il lugubre Seicento.
Cosa c’era allora che si ripete oggi?
Il primo elemento enormemente suggestivo è la sovrabbondanza di leggi. Allora erano almeno mille normative che mutavano di senso, scritte in un miscuglio linguistico: un po’spagnolo, un po’latino. L’iperproduzione come fattore di confusione, di inebetimento.
Oggi sono centuplicate le leggi insieme al vizio di non rispettarle.
Vizio? È un proposito incoraggiato, una prospettiva deliberata. L’utilizzo ossessivo dell’inglese e la scrittura ignorante dell’italiano producono il risultato che l’italiano è l’unica lingua straniera che non si studia in Italia. Esistono forme parossistiche di inglesismi – e badi che le parla un tizio che ha avuto la mamma madrelingua inglese e che fino a dieci anni altro non sapeva e non parlava che inglese –che costringe poveri cristi a vedersi obbligati a domandare alla fermata dell’autobus cosa diavolo significhi questo o quello.
È un modo per disorientare?Continue reading