Cosa ci rende muti? Qual è la malattia che ci affligge e ci fa guardare il mondo a braccia conserte, senza un alito di passione, di partecipazione, neanche di stupore? Forse lo sa Raffaele La Capria che è narratore meraviglioso delle fatiche e dei piaceri quotidiani, anche delle minuzie della vita, non un teorico della lotta di classe ma un maestro del Novecento che ancora oggi – alla bella età di 93 anni – osserva e annota il sentimento collettivo di resa.
“Uso una parola larga: decadenza. Quando prendevo in mano il libro sulla Storia della decadenza dell’Impero romano non sapevo cosa esattamente volesse dire. È come una malattia sottile, un dolore nemico che si insinua nell’anima. L’inerzia sale dentro di noi e ci fa sentire inadeguati, non ci spinge a competere, non ci induce alla critica, all’osservazione utile, al coraggio, alla sperimentazione. Come se la società italiana fosse stata presa dalla consapevolezza che una forza maggiore, più grande, incomparabile, le si è parata davanti e non è possibile fronteggiare”.
Ieri si chiamava riflusso, oggi indichiamo nella crisi economica la brace dove tutti i nostri desideri, il nostro spirito libero finiscono in cenere.
Dostoevskij diceva che Dio è morto e quindi tutto è possibile. Navighiamo in un mare in cui non c’è più nessuna certezza, tutto è opinabile, tutti parlano e ai nostri orecchi le sillabe degli uni si mischiano con quelle degli altri, e si accavallano, si sovrappongono, si fondono. Un vocìo da mercato.Continue reading