Della storia si fa un canto, della vita un vizio, dell’amore il piacere. Gli anni dentro i quali Pietrangelo Buttafuoco inghiotte il suo cammino e lo trasforma in teatro sono quelli trascorsi in Sicilia, la terra a cui tributa questa dolce ninna nanna. Il dolore pazzo dell’amore (in scena a Roma al teatro Vittoria fino al prossimo 9 ottobre) è insieme tributo e speranza, racconto e fantasticheria, promessa e ricordo.
È potente e fisica la prova teatrale di Buttafuoco che racconta l’esistenza, la nostra e la sua, quando fiorisce e quando tramonta, quando si imbelletta e quando piange. Stana dal suo omonimo libro, pubblicato nel 2013 da Bompiani, il senso della sua scrittura e deve dire grazie a Mario Incudine, il menestrello di palcoscenico, se il racconto si accompagna al ritmo nervoso del tamburello e si fa pressante, vorticoso come la vita. Dall’amore di carne, che è segno dell’ardore, fino al tempo grigio ma vigile della vecchiaia, il pendio fragile, come fossero fianchi di una collina, da cui ci si incammina per scendere verso terra e farsi coprire da essa.
La musica aiuta Buttafuoco e il suo cunto sulla vita. Gli offre un sentiero e lo accompagna, fisarmonica e chitarra e tamburo, nei luoghi della memoria e anche della fantasia sicché chi ascolta, benché del siciliano comprenda poco, trova una traiettoria personale, come fosse dal sarto per un vestito su misura, e gode dei propri vizi ascoltando le virtù anche sconce dell’altro e accoglie il vizio capitale e perfettissimo, l’amore di sangue e di carne, ospite conosciuto e apprezzato.Continue reading