“Piero mangia”, gli dissero con uno striscione le compagne cuoche emiliane al tempo in cui era segretario dei Ds. Sono passati gli anni, lui oggi ne ha 67, ma si ciba di parole. Alle quattro del pomeriggio ha bevuto due aperitivi, obblighi di incontri elettorali. I suoi collaboratori sono esausti, a una ragazza bollono i piedi, l’autista ha bisogno di zuccheri. Piero Fassino invece cingola nella ludoteca di periferia, alla barriera di Milano, tra le mamme del Maghreb.
Aveva giurato di fare un solo mandato da sindaco.
Questo non l’ho mai detto. Chiaro che ho riflettuto al momento della ricandidatura.
Sta a Torino come in esilio.
In Europa la classe dirigente è individuata attraverso le migliori esperienze di governo locale. Qui a Torino il mio compito era di tenere in piedi una città malgrado la crisi. Alla fine, faccio il bilancio e dico: Torino è riuscita a stare in piedi. Anzi, di più: a realizzare il miracolo di progredire nella qualità della vita urbana.
Penso che lei sia sprecato qui. Se Renzi l’avesse coinvolto, avesse utilizzato la sua esperienza…
Non ho capito: parliamo di Torino o di Renzi? La manda Travaglio per farmi parlar male di Renzi?
S’incavola come ai vecchi tempi.
Non m’incavolo!
Ed è anche permaloso.
Non sono permaloso! Vogliamo parlare di Torino o di cosa?
Di Torino e dell’Italia. Lei ha avuto responsabilità nazionali e ho il dovere di porle questa domanda: si è rintanato in questa città, non ha mai preso posizione.
Non è vero. Da presidente dell’Anci ho fatto battaglie campali per cambiare la legge di Stabilità.
Da presidente dell’Anci, appunto.
Ho favorito il ricambio e sostenuto lealmente Renzi. Una stagione nuova si è aperta.
Magari lei poteva spiegargli come si taglia il debito invece di farne altro, come si cura il partito invece di distruggerlo. Continue reading