Sant’Agata di Puglia non è più un paese ma un ricevitore permanente di pale eoliche di ogni stazza e razza. Ha venduto il suo vento al miglior offerente e visto che aveva debiti, circa dieci milioni di euro, lo ha finanche svenduto. Ha detto a chiunque desiderasse: prego, c’è posto! I debiti sono là, intatti, le royalties sono state consumate in magnifiche serate danzanti e adesso ogni abitante ha a disposizione dei suoi occhi 18 pale che girano. E la comunità ottiene 186 megawatt di felicità. Giorno e notte. Ovunque volga lo sguardo: davanti, di dietro, di sotto, di sopra. Vede pale. Sant’Agata è una piccola Matera, le sue case sono ricavate nella roccia e lo splendore del suo centro storico è certificato, documentato dalle mille conferme dei touring più accreditati. Sant’Agata è una carezza per gli occhi, e si scorge appena completata la salita che attraversa l’Irpinia d’Oriente, sul dorso della collina che separa la Campania dalla Puglia, nel territorio della Daunia appenninica, motore nevralgico dell’industria eolica italiana. Che ha come capitale indiscussa appunto lei, la nostra santa. Il paese conta nei registri d’anagrafe 2324 abitanti, ma quasi la metà si fa viva solo ad agosto. Il municipio, in un ventennio di vorticoso impegno, ha fatto installare 129 turbine, saette del vento, virando così verso il primato assoluto del decollo. Se solo volesse potrebbe alzarsi in cielo e volteggiare felice. Quel che fa di questo paese un luogo unico, sono le folate che, a leggere le varianti alle ubicazioni delle pale, hanno traiettorie impreviste. Avanzano, indietreggiano, si spostano. La pala va, com’è logico, dove soffia il vento. E il vento negli anni scorsi ha imposto continui posizionamenti e riposizionamenti delle turbine.Continue reading
Docu-serie, Alfabeto: alla radice del lavoro. ‘S’ come Soldi
Chi odia, chi ama, chi cammina a testa alta, chi invece avanza a testa bassa. Chi ha nelle mani l’unico suo capitale, mani sporche di sudore, di fatica, mani dignitose e mani pulite. Chi ha solo lacrime e chi sorride sempre. Chi ruba e chi resiste. L’Italia attraverso l’Alfabeto – Alla radice del lavoro. La seconda delle sette puntate parte dalla lettera ‘S’ come ‘Soldi’. Ogni mercoledì seguiteci alle 13,00 su ilfattoquotidiano.it con la nuova docu-serie di Antonello Caporale e Toni Trupia
pale eoliche, quanti miliardi al vento
Viaggio dalla Campania alla Puglia, trionfo dell’energia alternativa che ha conquistato tutto il Sud. L’affare di questo inizio di secolo, a favore di pochi intimi, che vale solo quest’anno 10 miliardi di euro. Tutto pagato dagli italiani in comode rate bimestrali direttamente in bolletta
Candela è un paesino che lega la Campania alla Puglia. I viaggiatori diretti a Bari lo incontrano alla sommità dell’Appennino, finita la salita dell’Irpinia d’Oriente. Spalanca gli occhi alla Daunia, li dirige sugli ettari di grano del Tavoliere, verso Foggia. A Candela nessuno pensava fino a vent’anni fa che il vento si potesse anche vendere. Il vento qui ha sempre fatto solo il suo mestiere: soffiare. Soffia quasi sempre, anche duemila ore all’anno. Contano le ore coloro che fanno quattrini col vento. Con un anemometro, un’asta lunga, una specie di ago d’acciaio diretto al cielo, si può conoscere se è buono o cattivo, forte o debole. Se soffia come si deve o se fa i capricci. Se è utile a far fare quattrini, dunque.
Arrivarono le aste e con loro particolari personaggi che organizzavano il mercato del vento. Sviluppatori si chiamavano. Sviluppavano il territorio, certo. Gli agricoltori di Candela ne furono lieti, anche il sindaco e tutta l’amministrazione comunale. C’era la possibilità di ottenere qualche migliaio di euro dalla società che avrebbe innalzato le pale eoliche. E soldi per fare una bella festa patronale per esempio e far venire (altrove era già successo) i cantanti di X Factor finalmente! E anche sostenere la squadra di calcio: divise nuove per tutti!
Pure belle sono le pale. Se le vedi da lontano sembrano rosoni d’acciaio o margherite giganti, dipende dai tuoi occhi, da dove le miri. Fanno la loro figura comunque. Ognuno degli abitanti del vento ha una sua immagine da offrire al pubblico dibattito. A un sindaco del Tarantino, per esempio, parevano simili a mulini a vento: “Abbiamo già il mare e avremo i mulini, delle possibili attrazioni per il nostro territorio sempre danneggiato, vilipeso dal nord”.Continue reading