Silvia Ferrante ha 37 anni, mamma di un bimbo di otto. Vive nella campagna di Paglieta, tra la Maiella e l’Adriatico. Vive in campagna, ma un giorno viene a sapere che praticamente sulla sua testa, quella del suo bambino e quella del suo compagno, sarebbe avanzato un corridoio di fili ad alta conduttura. Cavi di un elettrodotto da 380 mila volt.
Si preoccupa, e molto. Così tanto che si dà da fare per scongiurare quel progetto. Si documenta, contesta, impugna davanti ai giudici, rallenta.
Tre anni dopo Terna le presenta il conto del suo attivismo civico: 24 citazioni in tribunale. Per colpa di Silvia, Terna dichiara di aver patito un danno di 6 mila euro al giorno.
Moltiplica il patimento per i giorni di inazione e per i piloni contro i quali Silvia si è battuta. Il conto è salato: sono 16 milioni di euro.
Bastonarne una per educare cento.
Non sono soltanto io la destinataria delle richieste di Terna, ma parecchi proprietari che legittimamente si sono opposti a questi mostri. Lo abbiamo fatto con civiltà, documentando i timori prodotti dal pericolo di un inquinamento elettromagnetico, dovendo anche sostituirci all’inerzia delle amministrazioni del territorio che dormono beate.
Si chiama cittadinanza attiva.
Ecco, sì. Quei cavi passano a 80 metri dalla mia casa. Già oggi la legge vieta la sosta sotto i tralicci per più di quattro ore. E già oggi la legge vieta di far passare cavi aerei a una distanza inferiore a 77 metri. Da me corrono a ottanta. Possono quei tre metri autorizzarmi a stare tranquilla? E posso io da cittadina non incuriosirmi, interessarmi, avanzare insieme ad altri ipotesi che riducano il danno?Continue reading