Vento dall’est

ventoestSABRINA PINDO

Sarà il vento che spira dall’est, non lo so. Pare che il mondo si sia capovolto, tutto ad un tratto, quasi trent’anni dalla fine della Guerra Fredda. Una volta c’era il comunismo, stile di pensiero da noi e di vita nei paesi del blocco sovietico. Predicava la comunione dei beni: ciò che è tuo è dello Stato, che lo ridistribuirà a tutti in egual misura. Con tutte le aberrazioni del caso, ma nella sostanza il discorso era quello. Una volta, dall’altra parte del mondo c’era il liberismo. Quello puro che voleva più mercato e meno Stato, che osannava le regole del commercio puro, anche se spietate, capaci di governare il mondo e i rapporti di potere tra vari soggetti. Una volta.
Già perché se da una parte il comunismo è morto con la Guerra Fredda e sepolto con l’entrata in scena della nuova economia cinese, dall’altra anche il più spietato e meritocratico liberismo ha ormai cambiato volto. Il fallimento non fa più parte dei processi fisiologici in cui può incappare un’azienda: si sopravvive sempre e comunque. A pensarci, c’è lo Stato: mamma-finanza che rimpingua le casse, presta soldi, aiuta a vario titolo chi non ce la fa più e si intromette nel normale ciclo del commercio. L’ultimo esempio casereccio? Alitalia col prestito ponte prima, con le trattative infinite ora. E che dire di Fannie Mae e Freddie Mac? Anche in the U.S.A. ci vanno giù duro con il pronto soccorso finanziario. E dire che erano la patria del liberismo! A quando il prossimo cambio di vento?

Fair trade

fairtradeFRANCESCA SAVINO

È una piccola storia, fatta di definizioni. L’assessore comunale al commercio di Trieste la chiama riqualificazione. I quindici venditori ambulanti senegalesi che hanno perso il posto per le loro bancarelle in piazza Ponterosso ritengono che sfratto sia una definizione più accurata. Sono bastate comunque poche lettere a cambiare le carte e scompaginare il mercato: dal primo luglio da rionale si è trasformato in settoriale e non c’è più spazio per tutti. Adesso, in vendita ci sono solo prodotti biologici: frutta e fiori, piante e verdure, miele e vino, pesce e olio. Tutto quello che lì, da anni, vendevano gli italiani. Via le quindici bancarelle su cui c’erano borse, occhiali, vestiti e cinture, gestite dagli altri ambulanti autorizzati, tutti nati in Senegal. Possono spostarsi su altre piazze o cambiare prodotti secondo l’amministrazione comunale. Pazienza per la clientela costruita in dieci anni, si fa sempre in tempo a ricominciare. Mentre i cittadini e i venditori triestini e friulani rimasti a ridosso del Canal grande solidarizzano, quasi tutti, con gli sfrattati, il Comune difende la riqualificazione. E chiama faziosa la propaganda politica di chi si è schierato al fianco dei senegalesi. Qualcuno (centinaia di persone, in realtà) su iniziativa dell’associazione Razzismo stop, a sostegno del vecchio mercato e del miscuglio di prodotti ci ha messo invece la sua firma. Senza ulteriori definizioni.