ALFABETO – MARINO NIOLA. L’antropologo: “Sacrificio e martirio sono parole che ci spaventano. Persino i macelli sono lontani da noi”

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Il nostro martire è l’agnello, lui il capro espiatorio, l’animale che col suo sangue leva a noi tutti i peccati. Martirio, sacrificio, peccato e sangue sono però parole che oggi suonano così prossime alla nostra vita, così temibili per la nostra libertà. Nuove, minacciose e fanatiche.

Professor Marino Niola, lei studia i riti dell’uomo. L’agnello per noi è divenuto solo parte di un menu.

Cosciotto o coratella? La secolarizzazione tra le sue innegabili virtù ha purtroppo il vizio di confinarci nel vuoto della memoria. Domani troveremo a tavola l’agnello al quale daremo il valore più immediato e modesto: gustoso cibo per il nostro palato, piacere per il nostro corpo, appuntamento conviviale genericamente festoso.

Questa è la settimana del sacrificio.

Del sacrificio animale. Altrove gli sgozzamenti – di pecore o montoni o agnelli – e il sangue sono manifesti, visibili in una relazione aperta, diretta, in un rapporto contiguo e permanente col sangue e con la morte. Ma la nostra cultura, anche quando si tratta di animali, rifiuta di vedere la morte, la esorcizza, la disconosce, la rende astratta. E quando proprio non può farne a meno, perché quell’ora arriva, tenta di renderla incruenta, la trasforma in dolce. L’uccisione, anche dell’agnello, avviene al buio, al chiuso, lontano dai nostri occhi. E suonerebbe assai disdicevole se potesse accadere il contrario. Il nostro rifiuto è assoluto e non esiste categoria che relativizzi la morte. Non assistiamo al sangue versato. Ci inorridisce se capita a un nostro simile, ci fa star male se accade per un animale.Continue reading

ALFABETO – MARINO NIOLA. Dimmi che cosa (non) mangi e ti dirò chi sei

marino_niolaDa Feuerbach agli scontrini del ristorante di Ignazio Marino. Il filo che ci condurrà dal filosofo tedesco alla tavola su cui l’ex sindaco di Roma ha immolato la poltrona è il cibo, vanto collettivo e ossessione del nostro tempo. L’antropologo Marino Niola tiene al Suor Orsola Benincasa di Napoli anche un corso su Miti e riti della gastronomia contemporanea, ed è un grande studioso della civiltà del mangiare.

Dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei.

Non aveva torto Feuerbach. Il cibo è identità di un popolo, compone e ricompone l’u m anità, restituisce all’uomo il corso del suo divenire. Il cibo scandisce le epoche, segna i processi di avanzamento della nostra civiltà.

Il pollo e l’emancipazione delle donne.

Fino alla Seconda guerra mondiale il cibo era diviso sulla nostra tavola in misura diseguale. Al marito toccava la porzione di pollo più gustosa e pregiata, il petto o le cosce. I nostri nonni ricorderanno. Alla donna era riservata l’ala, il piede: il principio della sudditanza, della marginalità, della esclusione. E infatti solo in gravidanza le era permesso di mangiare cibi altrimenti preclusi, e bere bevande a lei proibite. La birra, ad esempio, perchè fosse più abbondante il latte materno. Era un premio non a lei ma alla sua condizione di generatrice.

Il cibo come gerarchia sociale e anche come elemento di polemica, idioma della separatezza.

La polenta ha diviso l’Italia. Polentoni contro terroni. E le patate hanno segnato il destino dei tedeschi: mangiapatate (e i loro appellavano i francesi chiamandoli mangiarane).

Oggi però subiamo il fascino del cibo fino a divenire vittime di una ossessione. Continue reading