A scuola di lobbying con Pier Luigi Petrillo che insegna sia la teoria che la tecnica dell’influenza del privato su chi governa il bene comune, chi decide, chi sceglie. “Già intravedo l’ombra di una preoccupazione, il fumo della polemica”.
Il lobbista si è meritato in anni di traffici sporchi la nomea del cattivo, del faccendiere, del trafficante di interessi illeciti.
Tutto giusto e tutto vero. Ed è il frutto di una scelta deliberata della politica che mai ha voluto che questa attività fosse esercitata in modo trasparente e pulito. Prima i partiti contenevano nel loro corpo gli interessi di particolari ceti e professioni e dunque, diciamo così, li regolamentavano intra moenia. Quando hanno perso appeal nella società hanno continuato a tenere al buio delle stanze chiuse i contatti e i raccordi.
Se le stanze sono chiuse e i discorsi sono segreti ritorniamo al vizio primordiale del lobbying: premere per far passare come interessi pubblici affari privati.
Se la politica, come abbiamo appena detto, non ha voglia di rendere lecita e trasparente questa professione è perché dovrebbe rispondere pubblicamente dei suoi atti, delle proprie frequentazioni, dei sì e dei no che dice. Dovrebbe assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Esempio: i farmacisti hanno tutto il diritto di spiegare le loro ragioni e spingere affinché la legge che regolamenta il loro settore vada in un senso o in un altro. Ma è giusto che il cittadino conosca sia il tipo di pressione esercitata su un provvedimento, sia le motivazioni del gruppo che le esercita sia la posizione del governante. Accoglie? Rigetta? E con quali motivazioni?
Invece l’ombra.
Non dare regole a questa attività significa tenerla sul cordolo della liceità, nel mezzo della luce e del buio, sul filo del pulito o se preferisce dello sporco. È una convenienza politica, ed è così chiaro che le aggiungo questa breve notazione.
Aggiunga pure. Continue reading