È questa la grande piattaforma di cemento che mangia il mare di Taranto e progredisce verso i frutteti della Piana di Metaponto, è qui che devono trovare ospitalità le migliaia di barili di greggio di Tempa Rossa e il gas (al giorno 230 mila metri cubi). L’Ilva alle spalle, la città alla sinistra e il fumo in cielo. Anche per aiutare questa piattaforma fu ideato lo Sblocca Italia, la legge che definendo di preminente interesse nazionale e strategiche le grandi opere avoca a Roma ogni potere e decisione finale. Nel grado di preminenza non c’è alcun dubbio che l’economia del petrolio abbia avuto la meglio sulla tutela della salute pubblica. Malgrado l’azienda regionale di protezione ambientale avesse fatto conoscere il sicuro aumento del 10-12% delle emissioni nocive in una città già piegata dalle morti per tumore, la Regione Puglia dà il suo parere e ritiene l’opera compatibile con l’ambiente. È il 2011. Quando si deve pronunciare la città di Taranto, e si sa che sarà un no, arriva la norma che tapperà la bocca. Prima della legge giunge però una nomina, da parte dell’Eni. Il nuovo responsabile dei rapporti con gli enti locali si chiama Francesco Manna, avvocato e, guarda un po’, ex capo di gabinetto del presidente della Regione Nichi Vendola. È il 1° settembre 2013. Ed è la prima intersecazione tra politica e affari che il grande fiume nero dalla foce porta verso la sorgente.Continue reading