GIORGIO MOTTOLA
A Napoli, ormai, solo nel quartiere di Forcella si possono ancora trovare le sigarette di contrabbando. Sono esposte per strada, in via Giudecca Vecchia, su tavolini di legno, a cui siedono anziane con il nasone e i capelli crespi da zingara. Di fronte a loro, cumuli di immondizia fetida, sovrastati dalla merce invenduta o “invendibile” dei fruttivendoli e dei pescivendoli ambulanti. A fianco ai cassonetti, hanno, da vent’anni, le loro bancarelle attrezzate su cassette di plastica: ogni giorno, le montano al mattino per poi smontarle la sera. Lasciando il posto, quando cala il buio, agli immigrati di tutto il mondo. Davanti ai phone center e agli alimentari, aperti fino a notte fonda, e gestiti da gente con diverso accento ma ugualmente straniero, trascorrono la loro silenziosa e malinconica movida, appollaiati su scatole di cartone. Lontani anni luce dalle schiumose birre doppio malto della studentesca piazza del Kesté o dai mojto che a San Pasquale fanno scorrere più fluide le serate della borghesia napoletana.
Ora, provate a immaginare che in un posto come Forcella, in una domenica di fine giugno, compaia all’improvviso un cavallo bianco. Bardato e con il pennacchio, legato a una carrozza scoperta, con le imbottiture bianche e soffici. Sarebbe un perfetto quadro surrealista. Un provocatorio paradosso degno di un film di Bunuel o forse di Ciprì e Maresco.Continue reading