La questione da politica si fa psicanalitica, e ci sarebbe bisogno di un approfondimento diagnostico per conoscere le cause che stanno spingendo i leghisti al contrassegno barbarico del corpo di Cécile Kyenge, del colore della sua pelle in luogo delle sue idee. È evidente la regressione spaventosa da movimento del Nord, voce alterata ma credibile di un vasto umore popolare, a sparuto conservatorio della cafoneria razzista, espositore dei più antichi e scoraggianti cliché su noi bianchi e loro neri, anzi negri. Noi civili e loro no, noi dolci e loro sgraziati, noi puliti e loro sporchi. Noi belli e loro? “Quando la vedo penso a un orango” disse lo statista Roberto Calderoli, aprendo le danze antropologiche e consegnando questa donna allo sputo collettivo, alla denigrazione personale. E così di volgarità in volgarità si è giunti al calendario delle apparizioni pubbliche della Kyenge sulla Padania, forse per tener viva la sputacchiera. Per non farci mancare niente ieri la deputata Iole Santelli, che leghista non è ma calabrese di Forza Italia, dunque teoricamente in grado di conoscere le sofferenze di chi emigra e anche le violenze e le umiliazioni a cui è sottoposto, ha amabilmente ricordato che le donne nere (o negre?) hanno la fortuna di non doversi truccare, e Cécile, che è nera (o negra?) pure naturalmente.Continue reading
Cécile, il ministro espiatorio del governo Letta
Non passa giorno senza che Cécile Kyenge, ministro dell’Integrazione, venga fatta oggetto considerazioni di vario e chiassoso razzismo. È bersaglio naturale, destinazione attesa e insieme occasione imperdibile per liberare chili di rancore e individuare nel turpiloquio la difesa dell’identità nazionale. Questo giornale non ha mai mancato (né lo farà in futuro) di segnalare e denunciare l’inciviltà, l’aggressione a volte squadristica e insieme segnalare la dignità con cui la ministra rintuzza le provocazioni e le parole d’odio. Se però andiamo alla radice della questione, la scelta di affidare a una immigrata il ministero dell’Integrazione acquista, al fondo, un sapore ugualmente sospetto. È una decisione, malgrado ogni buona intenzione del premier, che rasenta – per paradosso – il confine sottile di un atto intimamente e inconsapevolmente ghettizzante. Fa domandare: perché proprio a questa signora emiliana, cittadina afro-italiana, di professione oculista, è toccata in sorte la cura della più drammatica delle emergenze civili del nostro tempo? Continue reading