Finalmente una chiacchierata con il cantore di una società finita, il teorico del marginale, l’anti moderno, l’eccentrico, il provinciale. “Così dicevano di me”.
Lei, Carlin Petrini, ha detto che bisogna tornare a zappare la terra. Con tutti i computer in giro la zappa se la dà sui piedi.
Caro amico mio, siamo viventi finché mangiamo. E la sovranità alimentare è la più preziosa delle sovranità di un popolo, la linfa essenziale della democrazia. Un popolo affamato non è libero, è solo schiavo. Internet non è un sostituto funzionale della zappa: permette invece di rendere più economica, utile e avanzata l’agricoltura. Il campo coltivato è il presidio di una comunità. Dove esistono filari di viti ben accudite, piante d’ulivo o di pomodoro, frutteti o grano, esiste la civiltà. Nel cibo c’è la nostra identità e la cultura, e nel cibo, come s’è visto, si affermano tanti talenti.
Spadellano da mattina a sera in televisione.
Quello è il registro pornografico del cibo. Intendo altro per civiltà, e anch’io non resisto dall’osservare questa compulsione ossessiva, il bisogno di traghettare la cucina davanti alle telecamere, l’esibizionismo che a volte fa rima con l’affarismo. Però c’è modo e modo, e c’è da distinguere tra i buoni e i cattivi maestri.
Oggi lei festeggerà i trent’anni di vita di Slow Food in trecento piazze. Domani gli italiani saranno chiamati al referendum sulle trivelle. Lei resta in salotto?
Ma scherziamo? Vengo dalla Spagna proprio per votare e tracciare sulla scheda un grande Sì. Oggi festeggiamo un lungo tratto fatto strada. Sembravamo visionari a teorizzare il primato della lentezza contro la capsula iperveloce dentro cui il nostro tempo sembra spingerci. Il primato della bontà contro la teoria del megastore, del cibo che sa di plastica. Abbiamo teorizzato il “buono, pulito e giusto” come fattore decisivo dello sviluppo dell’uomo. Cibo sano, quindi non inquinato, prodotto da chi ha titolo a un giusto salario.
Perché ritiene necessario andare a votare? Continue reading