Da Alfano a Gabrielli, i conflitti d’interessi

È curioso che il prefetto di Roma Franco Gabrielli faccia intendere di aver bisogno di tutto il mese di luglio per leggere le carte che conosce da mesi e valutare se proporre al ministro dell’Interno lo scioglimento o meno del Consiglio comunale di Roma. Curioso e fonte presumiamo di un qualche imbarazzo il fatto che nell’inchiesta compaia un riferimento a lui in una conversazione di Luca Odevaine, l’uomo nero dello scandalo. “Me dice: senti Luca prenditi n’attimo ste carte”. Le carte riguardano il centro di soggiorno dei migranti di Mineo. “Te la senti de fa sta gara?”. Odevaine se la sente, certo che sì. Curioso anche che il ministro dell’Interno si trovi nella situazione di decidere se è vero che il Viminale, proprio il palazzo che abita, sia stato sistematicamente “condizionato”, sia stato cioè soggetto a pressioni indebite per deviare in un luogo piuttosto che in un altro il flusso degli immigrati e la massa dei soldi pubblici che li segue. E curioso che Angelino Alfano debba essere costretto a valutare anche il comportamento di Giuseppe Castiglione, suo referente siciliano, nell’appalto succulento per le cucine del campo di Mineo.Continue reading

Togliete Twitter ad Angelino, uomo Sempre Altrove

È il ministro dell’Altrove. Se accade una cosa di là lui è di qua. E se la vede da vicino la racconta male, s’ingarbuglia, s’intrappola e alla fine si perde. Bisogna anzitutto togliergli Twitter. Sarebbe un atto di comprensione e l’avvio di un tentativo per la riduzione del danno che purtroppo Angelino Alfano si procura seguendo il suo istinto suicida. Com’è chiaro da quando ha scelto il logo del suo partito e quella sigla con assonanze straordinariamente pericolose (gli avranno nascosto la storia dell’Italia criminale e della Nco, con la quale Raffaele Cutolo, il super boss camorrista, spadroneggiava) Angelino ha l’aspetto di un girasole in autunno. Il corpo è indebolito e pendente e anche la mente singhiozza, e gli atti sono consequentia rerum. Ogni volta che accade qualcosa, lui è altrove. E non sarebbe nemmeno il peggio dei mali. Immaginate se, al tempo del sequestro da parte dei reparti speciali italiani della cittadina straniera Alma Shalabayeva, Angelino fosse stato avvertito. Avrebbe sicuramente twittato qualcosa, è pur sempre l’azione che gli riesce meglio. Non glielo dissero e lui spiegò con mestizia al Parlamento che il ministro dell’Interno non sapeva. E in Italia meno si sa e meglio si sta. Continue reading

Il tramonto dal Quirinale

D’ALEMA, CASINI: IL PICCOLO MONDO ANTICO SI RITROVA PER IL LIBRO DI NAPOLITANO
È un mondo antico e in qualche modo declinante. Vederlo riunito, come ieri è accaduto a Montecitorio, consegna la foto di un gruppo che è fuori dal registro anagrafico dell’attuale classe politica, in difficoltà crescente nel guidarla e con il disagio di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato.
Ieri Giorgio Napolitano ha convocato Massimo D’Alema e Pier Ferdinando Casini per presentare “La via maestra”, un suo dialogo sull’Europa firmato da Federico Rampini. Doveva essere, nelle intenzioni, un libro postumo alla sua permanenza al Quirinale. Il capo dello Stato è invece in carica e regge con qualche affanno “i sommovimenti” di questo tempo. La sua leadership politica è messa in crisi dalla inconcludenza di uno schieramento politico (le larghe intese poi divenute strette) sul quale, accettando la rielezione, aveva puntato tutto. E l’Europa, l’altra frontiera che Napolitano ha sempre visto come la sola capace di tenere unita l’Italia nello sviluppo della sua democrazia e della sua economia, fallisce miseramente la sua missione. Crisi interna e internazionale. Crisi politica, economica e adesso anche sociale. Napolitano che doveva garantire la exit strategy, registra, come un notaio, l’assoluta inconcludenza del Palazzo, il suo autismo, la separatezza con una società azzoppata.Continue reading

Berlusconi ritorna alla dittatura del ’94

CONSIGLIO NAZIONALE, NULLA CAMBIA: È COLPA DI “COMUNISTI” E “MAGISTRATI”
NOVITÀ: ALFANO NON È PIÙ UN “INFEDELE”, PUÒ VENIRE BUONO PER IL FUTURO
Qualcosa non va stamane. Il cielo è grigio e come pretendere di più da novembre, ma il torpedone con la scritta Angelino sulla fiancata è una disgraziata circostanza, fa male vederlo. Non ci sono bandiere, neanche tifosi. Dieci vecchietti molto spossati dalla temperie politica si aggirano per la curva sud del palazzo dei Congressi spogliato da ogni luce berlusconiana. Non una hostess, una coscialunga, né un gadget, un libro, un filmino. Restano le mura alte e squadrate dell’architettura fascista, l’impianto marmoreo è tale da rimandare allo scenario di un’assise comunista della Ddr ai tempi di Honecker.

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Angelino, segretario senza quid e senza partito

È LO SCONFITTO DI GIORNATA. IN UN POMERIGGIO IL CAIMANO GLI PORTA VIA TUTTO QUELLO CHE PUÒ. ERA VICEMINISTRO PDL, ORA LE DUE SEDIE TRABALLANO
Tutto resta com’è e come è sempre stato da quelle parti. Silvio Berlusconi proprietario terriero e Angelino Alfano semplice mezzadro. Il quid, questo benedetto quid che avrebbe dovuto trasformare Angelino da boyscout del berlusconismo in un novello De Gaulle, è stato un felice fraintendimento giornalistico che ha dato però vita alla più crudele delle suggestioni. Per tre settimane Alfano ha pensato di essere capo della delegazione al governo, capo del partito e plenipotenziario dalle Alpi alla Sicilia. Due giorni fa, addirittura, in visita guidata al Partito popolare europeo si è fatto salutare dalla Merkel nel ruolo che ha creduto di ricoprire.Continue reading

Letta continua, fiducia farsa sulle macerie di Silvio

GIORNATA PARADOSSALE ALLE CAMERE. BERLUSCONI PIROETTA E ALLA FINE DICE SÌ AL GOVERNO. IL GRUPPO SI FRANTUMA. BONDI SI IMMOLA
Quando Silvio ha capitolato, cioè quando è divenuto transfuga da se stesso, si è parato con le mani le parti basse, come quei difensori in barriera. Le ha tenute strette per i 109 secondi del suo intervento. Poi si è adagiato sulla poltrona in trance da sforzo. Tre senatori hanno cercato di rianimarlo con l’applauso. Non avevano intuito la magia: Berlusconi si era auto deberlusconizzato. Si è scorticato, stritolato, e infine impoltigliato nel tritacarne della fiducia mischiandosi agli altri, derubricandosi da leader a gregario, da Capo a suddito, da Caimano ad agnello. Il suo corpo è riuscito ad entrare, seppur sfigurato, nel sacco dei supporters di Letta il quale ha esclamato, abbastanza stordito dal fenomeno sovrannaturale: “Che grande”.
IN QUEL PRECISO istante, quando la politica è divenuta faccenda psichiatrica, anche Scilipoti, nobilissimo nel suo urlo belluino, stava ancora ripassando le fasi salienti del suo intervento patriottico: “Bisogna bastonare i traditori!”. Berlusconi aveva però riconsiderato per la quarta volta nel giro di quaranta minuti la condizione evolutiva della sua specie. Da oppositori a migranti della libertà; poi da migranti a responsabili del bene comune. Quindi (e dunque!) da sfiduciatori a sostenitori del governo dei mandanti del proprio assassinio: il duo Napolitano-Letta. “Cogli l’attimo”, aveva detto il giovane Enrico ma riferendosi ad Angelino. È stato frainteso. E gli effetti si sono visti. Un capogiro ha steso al suolo Brunetta. Aveva appena annunciato alla stampa nel modo che sa far lui, cioè da vipera attempata, la fucilazione dei ribelli: “Allora vi comunico che il gruppo, all’una-ni-mi-tà ha deciso”. A sua insaputa, ed è purtroppo la quinta volta in cinque giorni, il Capo gli ha fatto lo sgambetto. Fuori Brunetta e ko anche per Verdini. Ieri B. l’ha combinata così grossa, da irripetibile, epico, fantastico voltagabbana di sé stesso, che neanche le lacrime del duro Verdini lo hanno fermato: “Silvio, ti assicuro che così moriamo”. Morte sia! B. è andato incontro alla morte scegliendo in qualche modo la sobrietà. Tutto era così tanto teatrale, così dentro alla commedia dell’arte, che la sua maestosa capriola è stata illustrata da periodi brevi, frasi monche. Qualche sospiro e poi il collassamento. E sì che i dettagli facevano intuire l’evento finale: la Brambilla era uscita di casa con una vistosa smagliatura alla calza della gamba destra. Mai successo in vent’anni. Un effetto ottico orribile che induceva alla compassione e anche all’attenzione di quel che stava capitando perché i segnali di una rivoluzione in corso erano numerosi e assolutamente clamorosi. Beatrice Lorenzin, la ministra della Salute, bianca come un cencio, lacrimosa, inerte, svuotata di ogni considerazione di sé. Ha pianto (lacrime però più contente) Nunzia De Girolamo: “Ti sembra facile fare quello che stiamo facendo?”. Non era facile né scontato: i ribelli erano numerosi e Quagliariello, contatore dei fuggitivi, comunicava a Massimo Mauro: “Ecco le firme, sono 26 se non sbaglio”. Ventisei traditori? Ma Verdini a prima mattina si era fermato a otto, poi aggiungendo i calabresi a 16. Poi ha capito che i numeri lievitavano come il pane degli angeli: “Quelli del sud ci stanno tradendo”. Il sud, maledetti siciliani e calabresi e anche campani. I soliti. Schifani non voleva crederci: la sua isola era divenuta una zattera alla deriva e il conterraneo Alfano si stava impossessando della Trinacria e di tutta la penisola giungendo all’affronto finale: non rispondeva più alle telefonate di Berlusconi, la sua luce, il leader.
ECCO, QUANDO una storia finisce come ieri è finita, l’inquadra tura della disfatta doveva giungere sul volto di Sandro Bondi, il mistico del berlusconismo. Ieri è andato incontro alla sua vaporizzazione nella più assoluta inconsapevolezza. Gli era stato detto di pronunciare il discorso della battaglia. E lui l’ha fatto: “Fallirete, ricordateveneeee”. Continue reading