C’è un paese in Italia, un borgo di 780 abitanti, dove il Pd è bandìto e la sua festa cassata d’imperio, non autorizzata. Monteverde, nell’alta Irpinia, è un grumo di case, molte delle quali purtroppo svuotate dagli anni dell’emigrazione, che ora ospitano solo 780 residenti. È bellissimo, e infatti è iscritto nella lista dei borghi più belli d’Italia, ma i suoi cittadini più della beltà si cibano del rancore col quale paiono convivere felicemente dalla nascita.
LA POLTRONA di sindaco assomiglia a un trono e chi l’agguanta sente che è venuto il momento di regnare, inaudita altera pars. Cosicché dal 2006, da quando cioè i rappresentanti del Partito democratico hanno perduto il comando dell’amministrazione, si sono visti cassare d’imperio la loro Festa dell’Unità che ogni anno, per circa venti di seguito, tenevano in agosto, il 15 e il 16 del mese, giornate calde ma abitate da un gran numero di vacanzieri, di compaesani di ritorno dalla Germania, di studenti in sosta prima di riprendere il viaggio verso le università del nord. Nel 2006 il cambio all’amministrazione e il no ripetuto. La Festa dell’Unità non si può tenere in quelle giornate causa concomitanti e prevalenti manifestazioni concorrenti. Fatela quando volete, ha ghignato il sindaco, magari a luglio, oppure sotto la neve di dicembre, al ghiaccio di febbraio, nell’autunno piovoso novembrino, ma non pensateci proprio di tenerla quando il paese è vivo, nelle giornate agostane, chiassose e felici.
NELL’ITALIA oggetto del permanente patrocinio renziano, la lumaca nera dell’eccezione è questo minuscolo anfratto geografico, minuscolo ma straordinario per la posizione, la cornice urbana, lo sviluppo a pendio dei suoi tetti, gli sbalzi magnifici di una veduta incomparabile, l’orizzonte verde dei boschi irpini prima di scivolare verso il Tavoliere di Puglia. Il paesino ha dato i natali ai nonni materni di Mario Draghi, il governatore della Bce, ed è familiare, per cointeressenze anagrafiche paterne, a Michele Santoro. Da dieci anni, dunque, l’opposizione cerca di ottenere dalla maggioranza il certificato di agibilità politica. E la maggioranza, che in questi luoghi fa tutt’uno nel corpo del sindaco, sadicamente la nega. Trecento firme, il raccolto di una petizione popolare, non sono bastate al prefetto di Avellino negli anni scorsi per convincere il patrono locale (il sindaco si chiama Francesco Riccardi) a un gesto compassionevole, come pure i regnanti sono capaci per dare sollievo alle sventure altrui.
Qui a Monteverde non c’è battaglia sulla Costituzione, interessa poco il Sì e il No, poco la Boschi, poco il diktat di Renzi, i cambi alla Rai, il monopolio dell’informazione pubblica, la prevalenza di un partito di governo trasformato in partito della Nazione. Il punto è che – almeno a Monteverde – chi perde la battaglia del municipio, sia rosso, nero, verde, debba patìre in permanenza la sconfitta e riviverla con carichi ora lievi ora più pesanti.
Perciò la Festa dell’Unità non si può fare. Quest’anno l’11 luglio è giunta la richiesta, il 20 il diniego con le date concomitanti di processioni, madonne e santi in cammino, sagre in preparazione. Appuntamenti fittissimi, decisi però il 29 luglio. Naturalmente ex post.
Bene ha fatto il Pd a citare, in fondo al foglietto di denuncia e di protesta, una frase di Rousseau: “Piantate un palo adorno di fiori in mezzo a una piazza, riunite attorno il popolo e avrete una festa”.
Da: Il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2016