Coronavirus, l’allergia di Carlo Bonomi per le lentezze dello Stato. Il sistema di elezione a presidente di Confindustria invece?

 

“Vi presento Carlo Bonomi, il nuovo presidente di Confindustria”, ha detto Lucia Annunziata nel suo programma domenicale (Mezz’ora in più). Bonomi ha parlato dell’impresa, delle difficoltà di questo tempo brutto (“economia di guerra”), delle aspirazioni degli imprenditori a veder premiato il lavoro invece che il sussidio, il talento sulla mediocrità, la velocità piuttosto che le lentezze di Stato.Poi ha aggiunto: “Sarò presidente il 20 maggio prossimo”. Ora infatti è solo il presidente designato.

Giusto, una cosa alla volta!

L’elezione del presidente dev’essere votata dall’assemblea dei delegati a scrutino segreto ogni 4 anni e nel mese di maggio (articolo 11 primo comma dello statuto di Confindustria). Ma prima che votino loro, vota il Consiglio generale che sceglie (articolo 11 nono comma) da una rosa di due. Ma prima che la rosa di due giunga al Consiglio generale la Commissione di designazione (secondo comma, stesso articolo) deve vagliare tutti i petali del fiore per scegliere i migliori. E prima di deliberare deve raggiungere un’intesa con il “Consiglio di indirizzo etico”. Raggiunta la quale si procederà ad intendersi anche con il Collegio speciale dei Probiviri (come da quarto comma).

Dopo otto settimane di auscultazioni, inquisizioni, designazioni, deliberazioni e votazioni il nome prescelto giungerà infine al voto segreto dell’assemblea plenaria. Che però, ecco il cavillo, può sempre incaponirsi (articolo 11, comma dieci) e a maggioranza respingere l’uomo designato.

In questo caso si ricorre al gioco dell’oca.

Entro trenta giorni si risorteggia la commissione designatrice che cercherà su una rosa di nomi una nuova intesa con i probiviri speciali e con i membri della commissione etica e tutti insieme andranno dai consiglieri generali che voteranno su una coppia di nomi e il vincente, a Dio piacendo, passerà al voto dell’assemblea.

Semplice e veloce, no?

 

Da: ilfattoquotidiano.it

Il Nord, il Centro e il Sud: tre paradossi e una domanda sulla sanità

 

Cos’è il paradosso? Un’affermazione solo apparentemente contraddittoria.

E dunque grazie alla inefficienza, alla burocrazia e alla corruzione, circa due miliardi di euro ogni anno vengono trasferite dalle regioni del centro sud a quelle del nord per fornire ai meridionali che si ammalano le cure che a casa loro non trovano.

Ogni paziente trascina poi con sé almeno un familiare, se non di più, e per molto tempo. Cosicché il saldo negativo il flusso aggregato del cosiddetto turismo sanitario ammonta alla straordinaria cifra di 4,6 miliardi di euro annui.

L’orgoglio col quale il presidente della Campania Vincenzo De Luca rivendica la buona qualità del suo operato in tempo di Covid dovrebbe essere almeno mitigato dall’umiliazione di dover sborsare alla sola Lombardia ogni anno 320 milioni di euro per le cure che i lombardi prestano ai campani in transito ai quali è imputato anche un ulteriore tassa, appunto quella dell’inefficienza (uguale esperienza per i calabresi, i pugliesi, i siciliani eccetera). Ciascuna famiglia infatti è costretta a coprire i costi aggiuntivi derivanti dal trasferimento del proprio congiunto (il costo dell’assenza dal lavoro, del trasferimento da/per, del vitto e dell’alloggio in albergo).

Questo il primo paradosso.

Passiamo al secondo.

Il presidente della Lombardia Attilio Fontana, per far quadrare i suoi bilanci in tema di sanità, deve sempre augurarsi che i meridionali siano assistiti così male nei loro ospedali da permettergli di fatturare direttamente ogni anno 784 milioni di euro (cifra relativa alla cosiddetta “mobilità attiva”). Stefano Bonaccini, il presidente emiliano, vedrebbe un ammanco di 307 milioni di euro se la pubblica amministrazione del sud fosse in ogni suo ambito onesta e trasparente, il veneto Luca Zaia ci rimetterebbe 143 milioni di euro, il toscano Enrico Rossi 139 milioni di euro.

Il terzo paradosso è contenuto in una domanda.

Chi dovrebbe essere interessato a sprecare di meno, a rubare di meno, ad essere più efficiente? Chi dovrebbe chiedere a gran voce più trasparenza, più rigore, più rettitudine?

Giusto, convengo anch’io: spetterebbe ai meridionali.

Perciò: meno chiacchiere su Facebook e più fatti in cabina elettorale.

 

Da: ilfattoquotidiano.it

Le uscite di Feltri e gli obiettivi di chi lo spinge oltre i confini della misura

 

Non so perché Vittorio Feltri abbia scelto – oramai purtroppo da tempo – un degrado linguistico così acuto da apparire preoccupante. Forse è una forma di sadismo verbale, forse qualcosa di più grave. Ad ogni modo, sarebbero fatti suoi se altri non cercassero, piuttosto scelleratamente, di portarlo oltre i confini della misura. Ieri sera Mario Giordano, nella sua trasmissione su Retequattro, ha scelto che fosse proprio lui a commentare il confronto nord-sud e Feltri lo ha accontentato. La rivalsa dei meridionali contro il nord, oggi in difficoltà per via del Covid, nasce da “un senso di invidia e di inferiorità”. Poi ha aggiunto: “I meridionali sono inferiori”. Più grave di questa affermazione di per sé incommentabile, mi pare la chiosa di Giordano: “No direttore, adesso me li fai arrabbiare davvero… Cambiano canale, è un guaio”. Ecco il guaio: cambiano canale, lo share ne risente, la pubblicità cala. Per me comunque resta un mistero perché i talk show di Retequattro debbano somigliare a un pub a fine serata.

Ps: annoto che Feltri, al tempo dell’elezione del presidente della Repubblica, è stato persino candidato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni al Quirinale. Ma si trattava certamente di uno scherzo.

Da: ilfattoquotidiano.it

Il mio smartphone sa tutto di me. Perché ci scandalizziamo per l’app Immuni?

 

Il mio telefonino, al pari del vostro, sa tutto di me. Mi conta i passi, mi indica i luoghi in cui sono stato, anzi me li fotografa. Sa se vado a piedi, se uso l’auto, se mi piacciono le osterie o frequento i ristoranti. Se vado in chiesa o in tribunale. Sa cosa acquisto, conosce ogni mio gusto e spesso mi consiglia, mi propone. Credo che il mio telefonino sappia molto meglio lui di me. E poi cosa scrivo, con chi converso. E stabilisce lui le regole. Facebook per esempio, mi giudica. Ed è insindacabile. Se si accorge che sgarro, nel senso che scrivo cose non di suo gusto, mi blocca. Io so che anche il mio elettrocardiogramma, le analisi del sangue, Psa, radiografie, sono mie fino a un certo punto.

Il mio telefonino sa se sono ateo, se ho malattie, se faccio una vita da balordo, se compro whisky oppure santini. Sa, sorveglia, e quando può sceglie e propone, lui per me. Il dovere e anche il piacere.

Essendo il mio telefonino come il vostro, e il mio computer uguale al vostro, anche voi come me siete accompagnati dal mattino alla sera dal vostro amico di fiducia e supervisore tecnologico.

Se è vero tutto quel che ho appena scritto, chiedo: qual è il motivo che ci fa scandalizzare tanto di Immuni, la app di Stato che dovrebbe tracciare i nostri spostamenti nella fase due del Covid?

Da:ilfattoquotidiano.it

Coronavirus: il decreto del sindaco notificato a Gesù

 

Esaurita la fiducia nella forza delle leggi e nelle azioni pubbliche, il sindaco di Barrafranca professor Fabio Arnaldo Ettore Ricciardi (si firma con i tre nomi di battesimo ndr), comune siciliano angosciato per via del misterioso e letale virus, affida i suoi concittadini direttamente al Crocifisso.

A Cristo in croce, come da nota comunale del venerdì santo, il pubblico ufficiale chiede una particolare tutela. E dunque bambini e donne, anziani e giovani, imprese e famiglie, a cui il sindaco non riesce a garantire la liberazione dal Covid ed evidentemente non ritiene che la scienza e lo Stato siano capaci di risposte concrete, vengono affidati a Lui.

È questo – a ben vedere – il primo atto animista e spiritualista di un politico che, è bene dirlo, sembra recepire la suggestione ultra terrena del leader della Lega. Come ricorderete Matteo Salvini affida (ma senza decreto) alla Madonna le sorti sue proprie e del Paese.

Questo sindaco siciliano chiede al figlio di Maria di risolvere gli affari che per quanto correnti sono davvero straordinari.

Da : ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, il duello dei governatori. Più fandonie per tutti!

 

Perché si dice una fandonia? Ci sono vari motivi. Il primo di essi è che la si dice perché si è certi che la propria reputazione pubblica non subirà un colpo. Perciò Attilio Fontana, il presidente della Lombardia, ha detto ieri tra le altre cose, che i provvedimenti che ha in animo di prendere sarebbero da considerare “la via lombarda alla libertà”. La via lombarda? Fa ridere. Alla libertà? Fa ridere ancora di più. Gli risponde dal sud lo sceriffo Vincenzo De Luca: “E allora chiuderò la Campania!”. Anch’egli dice una fandonia e purtroppo consapevole di poterla dire.

Lui non ha i poteri per chiudere nemmeno piazza Plebiscito, ma sente l’ansia di dover competere col dirimpettaio lombardo e rispondere fandonia su fandonia.

Perché lo fa? Anzi perché lo fanno?

Perché sanno non solo che la loro reputazione resterà integra ma che tanta gente, troppa, è nelle condizioni culturali di ritenere possibile un fatto impossibile e non hanno alcuna voglia di affrancarla dall’ignoranza. Anzi, l’ignoranza gioca a loro favore. Quanto più è larga tanto più l’esercizio del potere (e i suoi eccessi) saranno indiscutibili.

Gioca a favore della fandonia anche il nostro piacere di assecondarla, la nostra enorme mancanza di rispetto nei confronti della verità.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, la lezione di matematica di Angela Merkel

 

La lezione di matematica dura solo due minuti ed è disponibile sul web. È un utile promemoria per coloro che non vedono l’ora di riaprire tutto. Fabbriche, chiese, case, alberghi, lidi, piscine. Tutto tutto, e prima che si può… Angela Merkel li chiama i “presuntuosi”, e sono quelli che sfidano la matematica. In un messaggio a uso interno, dove immagino esista una scolaresca nutrita di iper ottimisti, ha spiegato che in Germania se il contagio si attestasse sulla moltiplicazione 1×1 (un contagiato ne contagia soltanto un altro. Da qui la formula R=1) i posti di terapia intensiva sarebbero prevedibilmente pieni entro il prossimo ottobre. Se il rapporto aumentasse del venti per cento (R=1,2) quei letti sarebbero tutti occupati entro il prossimo luglio. Se il rapporto dovesse aumentare ancora di più (R=1,3), la disponibilità si esaurirebbe invece già a giugno. Certo, è lo scenario peggiore preso in esame. Ma un dovere di un politico illuminato è di assumere come possibile anche ciò che è meno probabile.
Malgrado la Germania abbia un sistema sanitario più efficiente e capillare del nostro e un numero di letti disponibili in terapia intensiva quattro volte superiore al nostro, e un numero di morti infinitamente minore a quelli che noi contiamo, la professoressa Merkel invita a fare queste semplici moltiplicazioni. Spiega ai “presuntuosi” che tutto il mondo sta camminando su una lastra di “ghiaccio sottile” e che basta poco perché si squarci e ingoi tutti nel fondo delle sue acque gelide.

Antonio Gramsci diceva: la storia insegna ma ha cattivi scolari.

Faremmo bene, ora che abbiamo tempo, a impegnarci in un piccolo ripasso e invitare Salvini e soci, tutti quei governatori con l’ansia da prestazione (compreso il neopresidente di Confindustria), di emulare questa breve ma utile fatica.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, gli italiani inflessibili: la legge va rispettata. Ma solo se c’è di mezzo il virus

 

Breve di cronaca: marito multato (533 euro) per essersi intestardito ad andare a recuperare con l’automobile la moglie infermiera impossibilitata a rientrare a casa da sola dopo il turno all’ospedale. Non c’è che dire: la legge è legge perbacco!

Il vago senso di nausea che prende rispetto all’ottuso piacere con cui si impone la norma anche a colui (e colei) che della norma sono vittime incolpevoli deriva dalla constatazione che l’inflessibilità con la quale oggi si esercita la funzione pubblica (sindaci che ordinano, poliziotti che fermano, droni che sorvegliano, vigili urbani che inseguono) verso cittadini generalmente pacifici è inversamente proporzionale al lassismo (se non alla connivenza) con le quali i medesimi esercitano le funzioni in tempi di pace. C’è una sorta di ribaltamento del rigore, un’attenuazione dell’obbligo del rispetto, una sistematica accondiscendenza verso i gaglioffi, per non dire i violenti.

Forse siamo troppo in ansia, presi dall’angoscia di essere infettati. Ma quando gridiamo all’uomo che passeggia in campagna intimandogli di fermarsi (altrimenti infetta la cicoria?) siamo noi, sempre noi, gli stessi cioè che invece restiamo silenti quando, sul pianerottolo di casa nostra, sentiamo mariti pestare le proprie mogli? Siamo noi, siamo dunque sempre gli stessi, che in tempo di pace non alziamo un dito quando assistiamo a un’illegalità conclamata, di piccolo o di grande taglio? Siamo noi. Sei tu. L’uno e il suo opposto.

Oggi così attento e puntiglioso, domani – scommettiamo? – così distratto e comprensivo.

Da: ilfattoquotidiano.it

Aiuto, arriva la patrimoniale! Quando i lupi si scoprono agnelli

 

Aiuto, arriva la patrimoniale! Un urlo sofferente si alza nell’opinione dei più. Possiamo noi italiani contribuire in ragione delle nostre possibilità al sostegno di un Paese in ginocchio? Dovremmo noi, secondo la ricchezza di ciascuno sostenere le enormi spese a cui il sistema pubblico è chiamato a far fronte? La logica direbbe di sì. Se c’è una situazione eccezionale si prevede una risposta eccezionale. Se le casse pubbliche avranno meno entrate fiscali (in tanti non pagheranno o verseranno assai meno perché il loro reddito sarà ridotto o azzerato) e molte uscite straordinarie cosa si fa? Gli eurobond, sui quali pure il governo si mostra fermissimo a richiederli, non dobbiamo scambiarli per la porta del paradiso. Sono titoli di debito. Soldi che chiederemo in prestito agli investitori di tutto il mondo. Il disaccordo in Europa è sulla condivisione del prestito, sul fatto cioè che non tanti Paesi europei vogliono, come noi chiediamo, farsene garanti: uno per tutti e tutti per uno, qualora il debito non fosse onorato. Ma in ogni caso quei soldi saremo tenuti a restituirli. Ciascuno si paga il suo debito. Non c’è mica il mago a farlo al nostro posto? E il debito dell’Italia lo dovranno pagare gli italiani versando le tasse che – immagino – nel prossimo futuro di certo non diminuiranno.
Dal momento che storicamente la virtù di essere in regola col fisco è divenuto un vizio di pochi, una parte dell’Italia le paga e un’altra Italia no, il carico fiscale futuro sarà prevedibilmente altrettanto diseguale.

Dunque chiedere, come timidamente propone il Pd e contro cui già si è levato lo sdegno dei più, ai ceti abbienti (coloro che dichiarano un reddito superiore agli ottantamila euro l’anno) di contribuire in misura straordinaria e progressiva alla “una tantum” mi parrebbe una misura giusta, tollerabile, logica. Tassare il patrimonio, invece che il reddito, farebbe venire alla luce i furbi del 740: coloro che dichiarano poco o nulla ma posseggono molto o moltissimo.

Chi più ha più dà. O no?

Da: ilfattoquotidiano.it

Sicuri sicuri che odiamo la burocrazia?

 

La burocrazia ci soffoca, ci stritola. Ostruisce e danneggia. Se va bene rallenta i nostri progetti, se va male uccide. Siamo tutti d’accordo: la burocrazia è il nostro virus permanente, l’infezione che ci tiene perennemente sospesi tra la vita e la morte. Tutto questo unanimismo contro i burocrati d’ogni razza o specie è sospetto. Temo che odiamo la burocrazia soltanto quando intralcia noi. In effetti siamo abituati a utilizzare codicilli e ordinanze, i commi e loro sub dalla tenera età. Ricordo con raccapriccio quel che i miei colleghi genitori riuscivano a combinare già alla scuola elementare. I figlioli, povere anime, senza colpe. Tutto un fiocco di frecce intinte nell’inchiostro del diritto e del rovescio. Per una passeggiata fuori d’ordinanza, una mela bacata, un ordine di servizio, una porta schiodata. Lettere e osservazioni. In punta di diritto e di rovescio. Si sale con l’età e altri diritti (e rovesci) alla porta. Fai il concorso? Chi lo vince può perderlo, perché chi l’ha perso può vincerlo. Un appalto? Idem. Sotto ogni richiesta è accampata la domanda furtiva, e ogni provvidenza prevede una furbata all’ingresso.Dunque, ricapitolando. Siamo tutti contro la burocrazia, e siamo tutti per sveltire le azioni, fare i fatti e non pestare nel mortaio della maldicenza. Vorremmo essere veloci, e dunque i burocrati ci rallentano. E questo è il diritto. Il rovescio della questione è che quando noi subiamo una esclusione, perdiamo punti nella categoria dei protetti, invochiamo l’odiato burocrate e la sua ultima ordinanza che capovolge la precedente che a sua volta modificava il testo originario reinterpretando la norma. La verità è che amiamo il diritto (ma il rovescio ci piace troppo).

Da: ilfattoquotidiano.it