La sentenza con cui la Corte di Cassazione ha fatto crollare l’accusa più grave a Carminati e ai suoi soci, quella da 416bis, è stata emessa il 22 ottobre dell’anno scorso. Le motivazioni sono state rese pubbliche l’11 giugno di quest’anno. Otto mesi. In otto mesi si sarebbe potuto celebrare il processo d’appello rinnovato. In otto mesi si può riscrivere il codice penale da cima a fondo. Invece è il tempo che c’è voluto a spiegare perché Carminati è un criminale comune e non un mafioso di concetto.La discussione pubblica sulla giustizia si riduce nella contesa dai toni spesso truci tra chi è accusato di volere il forcone perenne e chi il condono a vita.
Mai una riflessione su come si esercita la professione di magistrato, come si individua colui che lavora e chi lo scansa, come si premia l’uno e si colpisce l’altro.
Non basteranno le riforme, anche le più illuminate, a rendere certo, veloce e soprattutto equo il giudizio se, malgrado le misure di accertamento della produzione dei singoli, resterà certa solo l’incertezza, assoluta solo la convinzione che chi vuole produce e chi si nega attende comodo in poltrona.
All’evasione fiscale, che è un danno permanente alla nostra economia, si aggiunge questa seconda e più minacciosa evasione dal lavoro, che dall’alto si irradia verso il basso bruciando diritti e reputazione.
Mettiamo che Aboubakar Soumahoro, da sindacalista che organizza i braccianti agricoli, i sans papiers, i senza diritti, divenga salviniano intransigente, durissimo. Ricordate lo slogan? “La pacchia è finita!”.
Sarà una conversione inaspettata e potente che la conduce a gridare forte il nuovo alfabeto, il vocabolario di un’Italia italianissima. Deve mostrare a Salvini cos’è l’ortodossia, la purezza.
Possiamo iniziare col dire che sono un italiano diversamente abbronzato, così addolcisco il tratto.
Vero, così intriga, desta curiosità e annulla in me l’idea di un distanziamento oggettivo.
Prima gli italiani? Allora io dico di più. I varesotti a Varese. E questo tempo del Covid che ha fatto alzare i muri deve proseguire anche fisicamente. Un muro che tenga i calabresi al loro posto, un altro che isoli Milano dalla contaminazione anti lumbard. E i torinesi a Torino.
Torino senza meridionali è come una farfalla senza ali. Significa che vuole condurla alla morte.
Interpreto Salvini. Semplicemente. Ciascuno con la sua razza e il suo dialetto, i suoi usi e costumi. Ci vuole rigore filologico e politico. L’ortodossia non ammette devianze né dubbi e mediazioni.
Lei così mi viene troppo leghista.
La purezza è propria degli spiriti convinti.
Aboubakar vuole strafare.
Il cibo? Ciascuno cucini ciò che sua nonna gli ha insegnato.
Così rotoliamo nella più disperata autarchia, in un sovranismo troppo spinto. Lei deve intendere il leghismo con più approssimazione, altrimenti si finisce a carte quarantotto.
Vede? La magia non funziona perché l’idea cattiva della separazione, se portata alle sue conseguenze naturali, produce un disastro, un mondo invivibile, inaccettabile.
Intanto l’Italia non accetta più migranti. Porti chiusi.
C’è un aerosol collettivo che sprigiona particelle di razzismo. Non è più il sottofondo di una società tollerante, ma il coperchio che occlude ogni discussione e nasconde il sentimento che si priva di ogni pudore e legittima non più episodi isolati ma un’idea razziale della società. Nella pandemia tutti ci siamo preoccupati di difenderci dal virus. Anzi abbiamo detto che il pericolo siamo noi, ciascuno di noi è potenzialmente l’untore.
Vero, il pericolo siamo noi.
E però l’Italia ha reso per legge i migranti senza permesso di soggiorno “immuni” da qualunque virus. Loro semplicemente non esistono, e seppure esistono non possono contagiare. Lo dice la politica rifiutando qualunque presa di coscienza della realtà, della giustizia, della stessa Costituzione della Repubblica. Perciò nega loro la possibilità di avere un’identità certificata, una tessera sanitaria con la quale bussare alla porta di un medico, chiedere di farsi curare. Loro non tossiscono mai, non si ammalano mai.Continue reading
Ripartenza, rivoluzione, ristrutturazione, ripresa, rifondazione. Giuseppe Conte scelga l’aggettivo che più gli aggrada ma lasci nel posto in cui è stato trovato, cioè il doppio fondo di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, “il piano di rinascita”. Era un piano sovversivo, teorizzato dal Maestro Venerabile della P2, loggia massonica deviata, per far fuori l’assetto democratico del nostro Paese ed inaugurare una soluzione autoritaria per il governo del Paese.E’ vero che gli anni passano e quei fatti, che risalgono a 39 anni fa, non sono tutti obbligati a rievocarli. Ma il presidente del Consiglio deve invece prendersene cura. Questa superficialità lessicale, che abbiamo udito anche dalla bocca di Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, è figlia di una colpevole e piuttosto insopportabile smemoratezza.
Chiamatela ripartenza, rivoluzione, rifondazione. Chiamatela come vi pare. Ma mai più piano di rinascita.
Ci sono molte destre in Italia, ma una sola è la piazza che le contiene. Quel che accade oggi a Roma è la sintesi di quanto in Italia la destra sia larga e diffusa. Di quante facce sia composta: quella tradizionale e sociale di Giorgia Meloni, quella movimentista e sovranista di Matteo Salvini, quella fascista di Casapound e le altre declinazioni di un fronte la cui prima linea è spesso dentro gli ambienti oscuri dell’estremismo.
Oggi camminano distanziate, attente a non contagiarsi. E infatti Meloni e Salvini, con l’aggiunta di Tajani per Forza Italia, hanno sfilato stamani. Il come lo hanno fatto è la perfetta metafora di quel che sono. Allergici a ogni regola, hanno dato prova dell’impossibilità di rispettare, anche ora che il Covid è dentro casa, le minime norme di convivenza. Annullato il distanziamento, ridotte a souvenir le mascherine, hanno fatto vincere la coreografia implacabile: essere in piazza significa farsi vedere, ed essere vicini gli uni agli altri significa farsi contare.
Hanno srotolato cinquecento metri di tricolore lungo il budello di via del Corso: accalcati e contenti.
Figurarsi oggi pomeriggio quegli altri, la destra forcona, populista, no vax, estremista, come rappresenterà la sua forza. È già scritto nel presagio del mattino: se possibile ancora più accalcati, più affamati, più feroci.
Queste due destre, così apparentemente lontane, al momento del voto tendono sempre a riavvicinarsi. E la capacità di sintesi, che è un dono sconosciuto a sinistra, dalle parti di Salvini, Meloni e Berlusconi riesce meravigliosamente.
Tante destre dunque, ma una sola piazza e – soprattutto – un solo cuore.
Novanta secondi netti e la legge è approvata. Il consiglio regionale più veloce del west, quello della Calabria, ha pensato di dare una aggiustatina alla legge che reintroduceva il vitalizio, cambiandogli nome (ora infatti si tratta di una pensione) e che statuiva almeno cinque anni di onorato servizio e almeno sessant’anni di età per raccogliere il frutto del lavoro svolto.
Qualche giorno fa, in una fantastica seduta del consesso, una leggina ha previsto per i consiglieri più sfortunati che non riuscissero a completare i cinque anni per via di un accidenti legale, elezione annullata dal Tar, di una congiuntura politica, legislatura sciolta anzitempo, o di una sciagura giudiziaria – improvviso arresto per ordine di un procuratore giustizialista – una via d’uscita, o propriamente via di fuga.
Reclusi o a piede libero, annullati o solo sciolti, i consiglieri possono versare i contributi autonomamente al fine di raggiungere la soglia minima dei cinque anni di mandato e godere così quel che gli spetta.
“La norma si illustra da sé” ha riferito il relatore del salvacondotto Giuseppe Graziano (Udc), rifiutando di illustrarla per non far perdere tempo alla Calabria.
E così, precipitevolissimevolmente, la norma è divenuta legge. Novanta secondi netti.
Avranno la fasciatricolore al braccio? Oppure il giubbotto catarifrangente, di quelli in uso sulle strade? E il fischietto? E il berretto?
Ci sono tanti modi per sbagliare, e altrettanti per spendere i soldi. Ma in un colpo solo l’idea del ministro per le Regioni Francesco Boccia e dell’Anci, rappresentata da Antonio Decaro, le unisce e le collega. Assumere, speriamo a tempo determinatissimo, sessantamila cosiddetti “assistenti civici”, assegnandogli il compito di fare i guardoni, i custodi del buon costume (distanziamento e mascherina) anti Covid è un’idea sbagliata.
Sia Boccia che Decaro, tra l’altro due politici pugliesi, sanno che l’Italia è già presidiata dal numero più alto in Europa di militi in rapporto alla popolazione. Abbiamo la polizia urbana, quella provinciale, quella venatoria, quella forestale, quella sanitaria, quella stradale, quella statale. E poi i carabinieri, e poi la guardia di finanza, e poi l’esercito per garantire le cosiddette “strade sicure”. Bisognerebbe infatti chiedersi come mai a tanta dotazione di pubblicasicurezza corrisponda un generale tasso di elevata insicurezza.
Immaginare adesso di aggiungere a questo calderone di pubbliciufficiali anche sessantamila vigilanti senza arte né parte, trasformarli un po’ in pasdaran dello Stato etico, giudizioso, responsabile, pare una formidabile minchiata.
Ultime notizie. E’ appena stato arrestato in Sicilia il manager “anti tangenti” Antonino Candela. E’ accusato di aver intascato mazzette per 260mila euro per una serie di forniture elettromedicali. Sembra un paradosso, una fantasticheria, ma purtroppo noi italiani siamo abituati a queste prove straordinarie della privata immoralità. Sappiamo che è possibile, non fatichiamo a crederci.
Perciò quando parliamo dell’efficienza degli altri Stati, dei soldi che in tempi di pandemia arrivano a chi ne ha bisogno in pochi giorni, anzi in poche ore, dei cantieri che si aprono in tempo e si concludono in tempo, facciamo finta di non sapere chi siamo e soprattutto dove viviamo.
In Svizzera, in Germania, nella maggioranza degli altri Paesi, il rapporto di fiducia tra lo Stato e i cittadini, è ancora integro. L’uno si fida dell’altro in una misura non paragonabile alla nostra. Se da noi lo Stato esibisce nei suoi ranghi personaggi così opachi, è ragionevole che la nostra stima per l’operato pubblico si riduca enormemente. Sfiducia ben corrisposta. Perché le forniture fraudolente, così come le autodichiarazioni false, le situazioni di disagio personale artefatte (quelle dei redditi non ne parliamo proprio), conducono ciò che resta dello Stato a puntellare con una miriade di prove della verità ogni volta che affermiamo un bisogno, finanche un diritto.
E così l’efficienza diviene deficienza, le regole si trasformano in gabbie invalicabili, la velocità della risposta pubblica un’idea bella e impossibile.
Per avere cento euro un cittadino svizzero deve attendere tre giorni, un cittadino italiano tre mesi.
Quel che è incomprensibile però è perché ci intestardiamo a voler emulare le migliori pratiche, quando noi stessi, in una quota considerevole, siamo pronti e così ben disposti verso le cattive?
Perché, dunque, invochiamo lo Stato di diritto se mostriamo con i fatti che ci piace così tanto lo Stato di rovescio?
Follow the money. Se vuoi capirci qualcosa della crisi di governo, vagheggiata, anticipata o solo sperata, prendi una penna e fai un’addizione. La sfortuna di Giuseppe Conte di dover governare un Paese boccheggiante, con le terapie intensive piene e le fabbriche vuote, si sta rivelando come la più grande opportunità che un politico possa immaginare: avere un borsino della spesa decuplicato. A conti fatti da qui al prossimo autunno i danari spesi o solo pianificati supereranno di molto i cento miliardi di euro. La somma delle misure, quelle contingenti e straordinarie già assunte, e le altre che arriveranno dall’Europa, tracceranno il suo destino. E’ proprio il portafoglio pieno di ricchi assegni che il presidente del Consiglio si trova a poter staccare ad essere fonte dei suoi possibili guai futuri.Quelle andate in onda oggi, con la votazione delle mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia Bonafede, sono solo prove tecniche, approssimazioni della capacità delle opposizioni di cooptare pezzi di maggioranza per aprire la porta al “nuovo”. Nessuno sa cosa sia questo nuovo, e nessuno conosce dove sia. Ma la suggestione è sufficiente a stimolare gli appetiti. Legittimo che chi fa politica intenda esercitarsi al governo del Paese. Meno serio è però che chi al governo già è salito, pensi ora a come scenderne ma solo per poi risalire.
Invece di avere il buon governo viene solo un gran mal di testa, vero Matteo Renzi?
Il premio Modestino dell’anno va senza alcun dubbio a Vincenzo De Luca. Un neomelodico della politica, oggi anche neoborbonico che alla testa delle guarnigioni del Sud tiene in scacco i barbari longobardi e un domani chissà.Scopriamo dal francese Le Parisien che sarebbe il nuovo “roi d’Italie”. Il Re modesto. Purtroppo era solo un fotomontaggio, peccato.
Comunque sappiamo, perché lui stesso ce lo ricorda ogni giorno, che ha fermato con i suoi micidiali lanciafiamme l’ecatombe. Una modestia senza pari per una regione che finalmente vanta una delle migliori sanità in Italia. Purtroppo un nutrito numero di riottosi ammalati, che presumiamo siano collegati alle disoneste centrali nordiste, scelgono incredibilmente altre regioni per farsi curare. Infatti la Campania spende 450 milioni di euro all’anno per saldare le fatture degli ospedali nemici e accompagnare i cittadini infedeli in queste continue e costose trasferte. Adesso però, nell’età d’oro del dopo Covid, i campani patrioti correranno in massa presso i nosocomi casalinghi dove troveranno la migliore assistenza e la migliore scienza.
De Luca è modesto assai. Se non avesse avuto davanti quei cialtroni del governo di Roma (lui non li chiama così ma lo fa pensare sempre) avrebbe rispedito il Covid direttamente a Wuhan.
La pandemia è una malattia infettiva. Ma altre infezioni, di natura politica e psicologica, non sono meno acute e gravi.
Ps. Per chi non lo sapesse il deficit del bilancio pubblico nazionale è balzato a livelli mostruosi con la nascita delle regioni.
Per chi non lo sapesse la distruzione dei fondi europei, la loro dilapidazione in mille rivoli, gli sprechi e le ruberie sono un lascito e una responsabilità delle regioni, divenute nel tempo il circuito di una politica minore, spesso arraffona, spesso incapace. E il Mezzogiorno ne è stato il territorio più colpito.
Solo De Luca, il Re modesto, purtroppo non lo sa. E seppure lo sapesse ora non lo ricorda. E se anche lo ricordasse che senso avrebbe ripeterlo quando c’è da festeggiare?
Ora che anche Ezio Bosso se n’è andato pare proprio che i migliori si siano dati appuntamento e abbiano scelto di fregarsene della pandemia e lasciare la vita per cavoli propri e senza avvisare. Non è soltanto il sorriso di Bosso che ci mancherà, il corpo aperto a ventaglio a raccogliere ogni filo di vento, ogni residua energia per rendere docile con la musica la malattia e privarla della sua crudeltà, e gioirne anche, per quanto si potesse.
Pure Alberto Arbasino, il sofisticato, funambolico, imprendibile Arbasino, ha voluto mettersi in viaggio. Lo scrittore sempre in movimento, mai conforme, ha deciso di dire bye bye. E subito dopo Aldo Masullo, filosofo illuminato, schivo oltre la misura, è stato un dono per Napoli, la città che ama apparire più che essere. “L’anima umana è come l’acqua ferma in uno stagno – scriveva Masullo mentre il virus, che non si è permesso di fargli visita, stava mietendo le sue vittime – Col tempo si imputridisce”.
Alla pandemia si è fortunatamente sottratto Franco Cordero, il giurista più dotto che sia venuto alla luce nel ventesimo secolo, troppo colto per poter essere letto da tutti. Eppure a lui dobbiamo il più prezioso ritratto, chiuso in un nomignolo, di Silvio Berlusconi: Il Caimano.
Gli eccellenti se la sono squagliata. Il filosofo, lo scrittore, il giurista.