Alberto Barachini e Maurizio Gasparri. L’eletto e il dirottato La lunga mano di B. che ha convinto M5S

“Mi sento frullato, senza forze in una giornata senza tempo”. Alberto Barachini, stanco ma felice, era fino a qualche mese fa un giornalista Mediaset. Poi Berlusconi ha deciso di nominarlo senatore e i Cinquestelle, pur di non votare Maurizio Gasparri, hanno scelto di eleggere lui presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza.

Gasparri, io ancora non ci posso credere. Questo è uno sfregio alla sua storia, anche alla sua carriera. Sostengono un dipendente Mediaset pur di non farle aprir bocca sulla Rai.

Chi conosce il sottoscritto sa che è una personalità politica forte. Hanno invece optato per una figura debole. Tutto si tiene.

Barachini, immagino abbia chiarito subito con il suo amico Gasparri.

La prima cosa che ho fatto. Tenevo a dire a Maurizio la mia assoluta correttezza, e credo che possa testimoniarla. Ci mancherebbe anche questo, poi”.

Gasparri: Comunque io sono anche membro della Commissione di Vigilanza. E adesso verrà il bello.

Barachini: Io sono buono come il pane. Mi faccio concavo e convesso.

Gasparri: I Cinquestelle presto impareranno a conoscermi meglio, sapranno di che pasta sono fatto. Almeno un’ora al giorno, per tutta la legislatura, la dedicherò a loro.

Li attenzionerà, come scrivono nei verbali i militi dell’Arma, di cui è fan accanito.

Gasparri: Hanno tentato di giustificarsi dicendo che sarei in conflitto di interessi avendo firmato la legge sull’emittenza. Sono balle. Mi temono, ecco.

Sono questioni interne di Forza Italia, non mi va di mettere becco.

Barachini: La realtà a volte supera l’immaginazione. La politica sta vivendo un momento storico.

Gasparri: Credono che io dimentichi le cose. Da domani si riapre il dossier sulla colf di Fico, il presidente della Camera.

Barachini: Ho lavorato al Tg4, poi alle all news di Mediaset, infine al Tgcom. Mi ha voluto Berlusconi qui al Senato, dopo avermi messo al lavoro per seguire la comunicazione di Forza Italia e di curargli la campagna elettorale.

Gasparri: Comunque io sono presidente della Giunta per le elezioni. Mi hanno dato questa nomina un po’ come suggello della mia attività. Honoris causa, si potrebbe dire.

Barachini: Ho un buon carattere, rispondo col sorriso a tutti. Secondo me il sorriso è il più potente dei balsami. Fa campare meglio, fa vivere più a lungo e cambia il registro del confronto, anche il più duro e acceso.

Gasparri: Da parte mia nessuna rappresaglia, non ce n’è motivo. Solo che farò al meglio il mio mestiere di oppositore. Prendo semplicemente atto, conosco la politica e gli italiani conoscono la mia storia. La personalità ce l’ho, inutile girarci intorno.

Barachini: Non vorrei finire nel tritacarne, già so che questa intervista è ad alto rischio. Io chiedo: non abbiate pregiudizi. Ho garantito la mia imparzialità.

Gasparri: Una presidenza forte è molto meno disponibile al compromesso, molto più autorevole. Si vede che do fastidio.

Barachini: Milito nell’Azione cattolica, ho tre figli. Alla messa domenicale non manchiamo mai.

Gasparri: Voi del Fatto siete pericolosi, io con voi non dovrei parlare.

Barachini: Voi del Fatto siete pericolosi, lo dico con simpatia. Per favore trattatemi con equità, senza pregiudizio. Ho un buon carattere ma non significa che non ho carattere.

Gasparri: Sono vaccinato, ormai non me la prendo. Ma mi toglierò lo sfizio di documentarmi sul mondo a Cinquestelle e non mancherò di segnalare, come del resto è mio dovere.

Barachini: Mi sono dimesso da Mediaset, sarò aperto al confronto e utilizzerò il mio ruolo di garanzia.

Gasparri: Farò sia il presidente della Giunta che il membro della Vigilanza. Perché, ha qualche problema?

Barachini: Effettivamente, sento molto questa responsabilità.

Gasparri: Ogni cosa a suo tempo. Garantito.

Da: Il Fatto Quotidiano, 19 luglio 2018

Dopo l’orrore c’è l’indifferenza. E Salvini è il nostro ministro della Paura

Oltre l’orrore c’è l’indifferenza, solo quella.
Abbiamo dimenticato la lezione di Antonio Gramsci che ci ricordava come l’indifferenza fosse abulia, parassitismo, vigliaccheria. “Non è vita”, diceva.
Quei morti in mare già non ci trasmettono l’emozione della prima volta, e neanche della seconda. Ricordate come accogliemmo quella foto, l’istantanea della disgrazia e dell’orrore, che raffigurava Aylan, tre anni, il corpo riverso sulla battigia, il capo appena spostato verso le sue tenebre. Quel fagotto rosso scannato dal mare e dagli uomini, a Bodrum in Turchia.
E oggi è già il giorno dopo di un’altra tragedia, l’ultima o la penultima, l’ultimo bimbo o il penultimo che affoga e muore.
Stiamo divenendo platea esausta, corona di spettatori impauriti e fragili, al modo di quelli che nel West assistevano in piazza alle impiccagioni decise dallo sceriffo.
Sono queste a loro modo impiccagioni di Stato, e noi, noi occidentali, decidiamo la vita e la morte, approntiamo questa barbarica selezione naturale.
Matteo Salvini ha visto giusto: il mercato della paura è florido, la solidarietà è divenuta merce invendibile. E lui alimenta la paura con certosina perizia, badando a tenerla viva come fiaccola di speranza. Lui, il più bravo, e gli altri leader europei ugualmente feroci ma più ipocriti. Lui però è il nostro ministro della Paura.
Arriverà il momento in cui ci stupiremo di noi stessi, della nostra dignità che arranca, di quel che siamo divenuti grazie all’indifferenza che ci ha colti e presi tra le sue dita, come fiori di campo.

da: ilfattoquotidiano.it

L’ombrello di Stato e l’invasione invisibile. Il calcio dello zar di Russia

Più della papera del portiere francese, della forza atletica di Mbappè, di quel delizioso tiro da fuori area di Pogba, del volto scarnificato e depresso dello sconfitto Moric, mi rimarranno in mente due altri frame della finale mondiale. L’invasione di campo, quasi impercettibile, e l’ombrello di Stato che tutela dal diluvio solo la pelata dello zar di Russia, il padrone di casa, a dispetto di ogni cerimoniale.

Il primo episodio, benché inquadrato nelle cose che non si fanno, lo giudico delizioso per due motivi. Il primo: l’intelligenza ha sempre la meglio sulla forza, e si vede. Disturbare anche solo simbolicamente la perfezione del regime poliziesco e repressivo che si vive in quel Paese è segno di una energia vitale non scomparsa, è dimostrazione di un talento non appannato. A conferma è venuta la sostanziale invisibilità dell’atto. Avete notato come immediatamente la regia abbia coperto con precedenti azioni da rete i tre magnifici incoscienti invasori moscoviti?

Nessuno ha visto e capito bene. Né il telecronista di Mediaset, forse distratto dal suo amore per il calcio, ha rilevato che il pallone è il più grande testimonial che il potere ha per procacciassi simpatie e amicizie. E infrangerlo assume anche una sua rilevanza, Non c’è pass partout migliore, chiedetelo a qualunque industriale, per fare affari che acquistare una squadra di calcio. Lo zar di Russia organizzando i campionati voleva proprio dimostrare, purtroppo riuscendovi, la sua supremazia nel panorama mondiale.

E infatti l’ombrello che a fine partita si è aperto solo sulla sua testa, lasciando gli altri capi di Stato (e uno di essi era una signora) sotto il diluvio, è testimonianza che la forza si misura anche con la maleducazione. È il segno dei tempi e poteva Putin non esserne l’interprete perfetto?

da: ilfattoquotidiano.it

Arcelor Mittal e quel bond acquistato dalla Lega

Luigi Di Maio, ministro per le Attività produttive, ha passato a Raffaele Cantone, il presidente dell’Anac, l’anticorruzione, il dossier sulla vendita dell’Ilva alla multinazionale indiana Arcelor Mittal. Che veda, controlli, indaghi, verifichi se l’acquisizione è corretta dopo che il governatore della Puglia Michele Emiliano ha denunciato zone d’ombra.

Molto impressionato è rimasto Carlo Calenda, predecessore di Di Maio, che di quella vendita è stato tutor.

Poco impressionato invece Matteo Salvini, l’unico che avrebbe da perdere qualcosa, avendo la Lega, ai tempi belli, investito 300mila euro in un bond corporate proprio di Arcelor Mittal.

Guarda tu come il mondo è strano!

da: ilfattoquotidiano.it

Il mistero delle bandiere blu

E’ un miracolo che si compie ogni anno, come il sangue di San Gennaro. E ogni anno dà soddisfazioni. Questo 2018 promette non bene ma benissimo per chi ama il mare perché le bandiere blu, il riconoscimento alle spiagge più belle e pulite d’Italia assegnate ai comuni virtuosi sono aumentate: erano 163 e ne sono diventate 175 per un totale di 368 spiagge.

Tra coloro che hanno conquistato la bandierina virtuosa c’è anche Sorrento, che è meta internazionale di turismo, località imprescindibile per chiunque voglia dell’Italia farne cartolina da asporto.

Il miracolo è dovuto al fatto che lo scorso 17 giugno il Corriere del Mezzogiorno segnalava le analisi batteriologiche effettuate dall’Arpac che lungo il tratto poi acclamato come blu rinvenivano “molteplici sforamenti nelle concentrazione di enterococchiintestinali ed escherichia coli, batteri che oltre un certo limite rivelano una contaminazione del mare da scarichi fecali tali da sconsigliare la balneazione”.

Analisi negative a Sorrento, ma anche a Meta e a Vico Equense.

Noi però vogliamo bene alla costiera sorrentina e ci mancherebbe! E’ bellissima.

E crediamo anche agli organizzatori di questo riconoscimento, che assicurano indagini rigorose, analisi approfondite, premiando i migliori.

E crediamo che dove la scienza non arriva c’è il mistero che soccorre. Miracolo!

da: ilfattoquotidiano.it

Un solo giorno da migrante per Matteo Salvini

Con gli occhi di un clochard. Così un titolo del Corriere della Sera sulla esperienza visiva di un uomo senza tetto e senza pane. Ha avuto in regalo dal fotografo del Papa una macchina fotografica per raccontare ciò che noi altri non vediamo.

Avremmo bisogno tutti di fare questa esperienza. Usare la fotografia per ritrarre la realtà in cui siamo immersi e che non vediamo più. Il pane che si butta, l’acqua che scorre inutilmente, il condomino scostumato, il conoscente litigioso, l’impiegato fannullone. Per quel che mi riguarda – se avessimo potuto – avrei voluto usare la macchina fotografia per ritrarre il volto dello studente super raccomandato, quel figlio di papà di Matera che ha ottenuto dall’università di Bari di poter dare in cinque giorni cinque esami fondamentali al corso di laurea in Giurisprudenza.  Trenta e poi trenta e poi due ventotto e un ventisette. E avrei voluto ritrarre il volto dei professori che si sono piegati per viltà a questo oltraggio e del rettore che è riuscito a dire che in teoria è possibile superare in un sol boccone e con successo queste prove. La laurea in tre settimane, week end esclusi!

Io vorrei fotografare i volti d’odio di quei parlamentari che usano i migranti per coprire le loro vergogne, per lanciare a noi affamati un bocconcino gustoso da addentare. Vorrei fotografare Giorgia Meloni mentre si fa il selfie, lei che da più di un decennio gode di una busta paga che supera i tredicimila euro al mese, per irridere Gad Lerner ritratto con la maglietta rossa e il rolex al polso.

Vorrei ritrarre gli invidiosi e gli accidiosi, coloro che non fanno, non sanno ma parlano, commentano, giudicano.

Vorrei ritrarre Matteo Salvini mentre, solo per finta, si imbarca per l’America in cerca di fortuna, come ha fatto suo nonno, o un suo pro zio, o il nonno del più caro suo amico.

Vorrei ritrarre la nostra memoria, fotografarla come se fosse un cofanetto di  pietre preziose in modo da leggere noi cosa abbiamo cosa abbiamo fatto per gli altri, cosa abbiamo detto degli altri. E poi, come un selfie tematico, cosa gli altri hanno detto e pensato e fatto per noi.

Avremmo così, tra le altre cose, l’esatta misura dell’ipocrisia, della viltà che ci prende quando invece di riflettere su ciò che dovremmo essere, vomitiamo parole rotolando nel fango, incolpando poi gli altri degli schizzi che ci lordano il volto.

da: ilfattoquotidiano.it

Il bisogno di eroi dalla pelle scura. Per riscattare l’onore che sentiamo perduto

Il dritto e il rovescio di una notizia che stupisce, rallegra e fa però pensare. Quattro atlete, tutte e quattro italiane di colore, hanno vinto l’oro della staffetta 4X400 ai Giochi del Mediterraneo.  Ragazze fortissime, che hanno issato sul podio la bandiera del Paese che le ha accolte e del quale sono divenute cittadine e protagoniste. È l’Italia aperta al mondo che sconfigge quella che oggi si vuol chiudere, s’è detto. È il Paese che offre opportunità e in cambio ne riceve l’onore più grande: vederle vincere, raccogliere nelle mani quell’oro che consacra la loro integrazione, un successo comune. E nei giorni scorsi abbiamo ascoltato le parole di orgoglio e di dignità di un altro nostro concittadino, Aboubakar Soumahoro, che ha rivendicato la morte di quel suo compagno colpito dal fuoco razzista di un italiano nelle campagne calabresi e ricordato a noi le migliaia di braccianti, italiani e no, clandestini e no, la loro fatica, la schiavitù praticata contro i poveri, gli ultimi. Abbiamo ascoltato le sue parole fiere, contenti che finalmente ci fosse uno, uno solo, capace di parlare il linguaggio della dignità, della semplicità e della verità e orgoglioso di farlo. Aboubakar è del Mali, come il suo “fratello” ucciso, riportato in patria dopo una colletta fortunata. Le atlete sono nate chi in Nigeria, chi in Sudan, chi a Cuba. Il rovescio della medaglia è che abbiamo bisogno di eroi in questo tempo così povero e triste, così pieno di parole violente e di paura e li cerchiamo altrove. Li cerchiamo con la pelle scura, lontani dalla nostra vita, perfetti nell’orgoglio e nell’onore che forse sentiamo di aver perduto.

da: ilfattoquotidiano.it

Cosa ce ne facciamo dell’Europa se mette le mani in tasca?

Diceva don Milani ai ragazzi che definiva “i sovrani del futuro”: Che te ne fai delle mani pulite se poi le tieni in tasca? E noi, ditemi, cosa ce ne facciamo dell’Europa se si benda gli occhi e si lega mani e piedi pur di non prendere posizione, di non scegliere, di non aiutare, di non risolvere le contese tra gli Stati membri?

Cosa ce ne facciamo di questa Europa che nel verbale di intesa dei capi di Stato non coniuga mai all’indicativo il verbo dovere? Nessuno deve fare: se gli va, potrebbe anzi “dovrebbe”. Il “dovrebbe” è la resa alle nostre paure e ai nostri egoismi, è la premessa per il disastro prossimo venturo.

Nessuno Stato ha l’obbligo di accogliere e dividersi i migranti. Nessuno Stato  ha l’obbligo di solidarizzare con l’altro. Nessuno Stato ha l’obbligo di attuare politiche di rallentamento dell’ondata migratoria attraverso aiuti verso le terre di provenienza di questa umanità disgraziata né l’Unione europea si obbliga di coordinare urgentemente un piano straordinario di finanziamento e cooperazione allo sviluppo. Non vogliamo aiutarli a casa nostra, non vogliamo aiutarli a casa loro. L’unica decisione presa è che nemmeno le Ong, le uniche barche pronte al salvataggio, dovranno aiutarli.

L’Unione europea ha semplicemente stabilito che se vanno in mare e poi muoiono non è colpa di nessuno. Ha reso ufficiale il genocidio di Stato, il crimine collettivo contro l’umanità. Sono tanti i Salvini, che almeno mette le sue parole truci nel vocabolario dello sterminio organizzato: Macron, il fringuello riformista francese, il socialista spagnolo Sanchez, la conservatrice tedesca Merkel, il fascista ungherese Orban, i clericali polacchi.

Ciascuno provvederà al suo benessere curando che i disgraziati del mondo – se provano a fare i furbi – abbiano la sepoltura che meritano: in bocca ai pescecani. Rubo a Matteo Salvini la sua parola d’ordine: che schifo!

da: ilfattoquotidiano.it

‘Matteo Salvini, il ministro della paura’, come il leader della Lega ha conquistato gli italiani

Matteo Salvini vende la paura al mercato della politica. E’ una merce richiestissima e lui la offre a buon mercato. La paura dell’altro, la paura dello straniero, la paura del ladro, la paura di restare senza lavoro, la paura di impoverirci. La paura del futuro.

Quando Marco Lillo, che dirige la collana di Paper First, la casa editrice del Fatto Quotidiano, mi propose il lavoro che oggi è il volume disponibile sia in libreria che in edicola, non ebbi motivo per non accettare. Grazie all’aiuto prezioso di Bianca Terracciano, studiosa del linguaggio e della comunicazione non verbale, ho immaginato che Salvini potesse essere raccontato, e con dovizia di dettagli, anche solo attraverso i tweet, i post su Facebook, i video e le foto pubblicate su Instagram negli anni della sua lunga carriera politica. La relazione che il ministro dell’Interno ha con gli italiani si struttura infatti nell’utilizzo sistemico, a volte molte oltre la misura, dei social con i quali evita qualunque intermediazione.

E’ stato il suo successo, insieme alla capacità di entrare nelle viscere profonde degli italiani senza ambire a spurgarle dei cattivi sentimenti. Anzi. Matteo il Capitano, come i suoi fan lo chiamano, è divenuto il potabilizzatore della nostra coscienza sporca e il semplificatore di questioni complesse. Ogni cosa difficile nelle sue mani, meglio dire sulla sua bocca, diviene facile, semplice, persino banale. I Rom? Serve la ruspa (la ruspetta per i bambini nomadi). Non basta una ruspa a far sparire questo popolo, per fortuna. E tutti noi lo sappiamo. Ma vale, per Salvini e per coloro che in lui credono, il non detto: la ruspa è il segnale che si possono asfaltare le loro capanne, distruggere le loro roulotte e in qualche modo, non sappiamo come ma certo lo speriamo, liquidare così le loro vite. Sui migranti abbiamo visto come si è comportato: basta crociere! E tutti hanno applaudito. E davanti all’annosa questione del peso fiscale, delle tasse che ci inseguono e ci fanno ammattire, Salvini ha proposto la flat tax. Abbassarle ai ricchi per aiutare i poveri. Ancora applausi. Nessuno si è fermato un momento a pensare: ma davvero i soldi che i ricchi risparmieranno saranno fonte di gioia per i nullatenenti? A noi basta la promessa, e più grande è, ridondante è, incredibile è, più ci rende felice.

Salvini ci conosce bene, sa quali sono i nostri vizi e le nostre virtù. E vellica i secondi, nascondendo i primi. Ha però qualche buona ragione dalla sua parte. Che il libro, per chi vorrà leggerlo, elenca minuziosamente.

da: ilfattoquotidiano.it