C’è qualcosa di esagerato nella tragica vicenda del pluriomicida Cesare Battisti, ora assicurato alla giustizia. Perché l’esultanza, legittima ed opportuna, delle autorità italiane che sono riuscite a catturare un latitante che ha goduto di così tanti sostegni, sta deviando verso forme gradasse di euforia. Trasformare Battisti in una preda, consumare il pasto (un tiramisù dice Salvini) intorno al suo arresto, utilizzare parole da stadio (“ora marcisca in galera”) fanno venire il dubbio che del profilo criminale dell’arrestato in fin dei conti interessa poco. Molto di più cercare il dividendopolitico di questa brillante operazione di polizia. Intendiamoci, anch’esso è un conto legittimo ed è giusto che chi ha avuto il merito di consegnare alla giustizia colui che per anni altri inutilmente hanno inseguito, adesso raccolga i frutti del proprio impegno. Ma c’è un contegno, un limite, una forma che se si fosse rispettata non avrebbe ridotto il senso di questa operazione, insieme giudiziaria e politica. Che due ministri, quello dell’Internoe quello della Giustizia, debbano correre all’aeroporto per timbrare il cartellino del vincitore e fare in modo che l’uno (il leghista) non si abbuffi troppo di onori a spese dell’altro (il pentastellato) fa appunto venire il dubbio che Cesare Battistida criminale sia divenuto già preda. Pietanza gustosa da apparecchiare al banchetto della politica.
Claudio Baglioni e la corte dei pavidi
Quanti, pur avendone le capacità e lo status, rinunziano a dire la propria opinione in pubblico per timore di intaccare la carriera? Quanti calciatori, allenatori, critici televisivi? Quanti scienziati, quanti filosofi, quanti imprenditori, quanti giornalisti, quanti politici, quanti cantanti, quanti dirigenti? Claudio Baglioni ha detto quel che pensa, e se lo può permettere. Merita un plauso non foss’altro che per questa considerazione. Sono tanti, troppi che pur avendo la forza economica e la reputazione in ragione del proprio talento, si riducono in un miserevole silenzio per non essere costretti a fronteggiare ipotesi di contrasti o eventi futuri ostili.
La pavidità è un effetto collaterale dell’ambizione. Il male che arreca è enorme, ancorché essa spesso venga contrabbandata come illuminata prudenza.
La pavidità va a braccetto con l’ipocrisia. Sono merci stoccate in quantità industriali al mercato dell’opinione pubblica.
Atac, per una volta da Roma una buona notizia (senza esagerare)
Non dovrebbero farci schifo le buone notizie. Il fatto che Atac, la disastrata azienda dei trasporti romani, sia stata ammessa al concordato, abbia cioè trovato un accordo con i creditori storici, ripulisce il suo bilancio (1 miliardo e 400 milioni di euro la massa debitoria concordata) e la fa respirare un po’. L’esercizio di bilancio 2018 si chiude per la prima volta con un utile (2 milioni e 181 mila euro). Il suo amministratore delegato Paolo Simioni promette per questo anno 350 nuovi bus e (intervista al Sole 24 ore) garantisce che i dirigenti sono già stati ridotti del 25% e riallocato in ruoli operativi il 33% dei dipendenti “inidonei”.
In una città allo sbando, molto più sporca e assai più rotta di quanto potessimo mai immaginare, è un piccolo sollievo sperare che almeno qualcosina funzioni meglio e riconoscere, quando sarà, sia il buono che si è fatto come il cattivo a cui si assiste.
Giornalisti de l’Espresso aggrediti, chi manganella e chi guarda. La replica di Franco Gabrielli
Il pubblico ufficiale deve obbedire soltanto alla legge. Chiederne il rispetto e farla rispettare. Il pubblico ufficiale che garantisce l’ordine pubblico ha a disposizione mezzi di coercizione di cui deve fare uso nei casi previsti dalla legge. Chi si trova in pericolo, perché minacciato, aggredito, insultato, deve poter contare sull’ausilio, anche armato, delle forze dell’ordine. Abbiamo la fortuna di avere un sincero democratico a capo della polizia.
Il prefetto Franco Gabrielli si opporrebbe con tutte le sue forze, impugnando la legge, se l’autorità politica per disgrazia dovesse mai chiedergli di violarla. Perciò, prima ancora che interpellare il ministro dell’Interno, la cui disinvoltura a usare i fatti per denigrare le sue stesse parole è ormai nota (una per tutte: selfie con l’ultras violento e poi dichiarazioni contro la violenza degli ultras) bisognerebbe chiedere al capo della polizia perché ieri i poliziotti in servizio per garantire l’ordine pubblico durante un ritrovo commemorativo neofascista, abbiano atteso che due persone venissero prima accerchiate, poi insultate, infine picchiate e venissero loro sottratti e distrutti gli strumenti di lavoro (macchina fotografica e telefonino) senza intervenire. Le due persone sono giornalisti dell’Espresso ed erano lì per compiere il loro lavoro: testimoniare, documentare, raccontare.
Questa inerzia delle forze dell’ordine diviene clamorosa, e fuori dai confini della legge, se confrontata alla sollecitudine, anch’essa frutto di un abuso, di cui hanno dato prova l’8 dicembre scorso due agenti in borghese che in piazza del Popolo, dov’era in corso la manifestazione leghista, hanno prima strattonato e poi condotto fuori dalla piazza, obbligandolo a una umiliante identificazione di polizia, un manifestante pacifico e silente che impugnava il seguente cartello: “Ama il prossimo tuo”.Continue reading
Giornalisti de l’Espresso aggrediti, chi manganella e chi guarda. Il lungo sonno del capo della polizia
Il pubblico ufficiale deve obbedire soltanto alla legge. Chiederne il rispetto e farla rispettare. Il pubblico ufficiale che garantisce l’ordine pubblico ha a disposizione mezzi di coercizione di cui deve fare uso nei casi previsti dalla legge. Chi si trova in pericolo, perché minacciato, aggredito, insultato, deve poter contare sull’ausilio, anche armato, delle forze dell’ordine. Abbiamo la fortuna di avere un sincero democratico a capo della polizia.
Il prefetto Franco Gabrielli si opporrebbe con tutte le sue forze, impugnando la legge, se l’autorità politica per disgrazia dovesse mai chiedergli di violarla. Perciò, prima ancora che interpellare il ministro dell’Interno, la cui disinvoltura a usare i fatti per denigrare le sue stesse parole è ormai nota (una per tutte: selfie con l’ultras violento e poi dichiarazioni contro la violenza degli ultras) bisognerebbe chiedere al capo della polizia perché ieri i poliziotti in servizio per garantire l’ordine pubblico durante un ritrovo commemorativo neofascista, abbiano atteso che due persone venissero prima accerchiate, poi insultate, infine picchiate e venissero loro sottratti e distrutti gli strumenti di lavoro (macchina fotografica e telefonino) senza intervenire. Le due persone sono giornalisti dell’Espresso ed erano lì per compiere il loro lavoro: testimoniare, documentare, raccontare.
Questa inerzia delle forze dell’ordine diviene clamorosa, e fuori dai confini della legge, se confrontata alla sollecitudine, anch’essa frutto di un abuso, di cui hanno dato prova l’8 dicembre scorso due agenti in borghese che in piazza del Popolo, dov’era in corso la manifestazione leghista, hanno prima strattonato e poi condotto fuori dalla piazza, obbligandolo a una umiliante identificazione di polizia, un manifestante pacifico e silente che impugnava il seguente cartello: “Ama il prossimo tuo”.
Gabrielli è un prefetto della Repubblica chiamato a garantire a tutti gli italiani l’incolumità e la libertà di espressione e a fare rispettare la legge anche con l’uso della forza nei confronti di ciascuno che dovesse violarla. Quindi pure di Matteo Salvini, se mai uscisse di senno e chiedesse, mettiamo il caso, di manganellare chi non è leghista. Figurarsi dei neofascisti.
Se proprio dobbiamo odiare, scegliamo il meglio
E se dovendo scegliere chi odiare decidessimo, per par condicio, di odiare la mafia almeno quanto i migranti? E i camorristi almeno quanto la Juventus? E gli evasori almeno quanto i clochard? E i corrotti almeno quanto Renzi? Se proprio dobbiamo odiare qualcuno, scegliamo il meglio. Oppure – se non ne siamo capaci – ritiriamoci dalla gara e scegliamo di odiare gli odiatori.
Senza cure il Sud fugge verso Nord. Così l’autostrada del Sole diventa la via dell’esilio
In queste ore l’autostrada del Sole è il luogo perfetto per illustrare l’Italia divisa. Dal lato sud la carreggiata è intasata, una colonna di auto si reca al Nord, torna al lavoro, agli affari o agli studi e conclude il percorso che due settimane fa aveva iniziato: tornare al paese almeno per Natale, per ritrovare i genitori, o i nonni, se ancora in vita. Aprire casa, farla respirare per un po’ e riassaporare il cibo dell’infanzia, salutare le proprie pietre. Una parentesi, in una vita che si svolge altrove. Il Sud ogni anno perde gli abitanti di una città grande quanto Foggia, ogni anno si allontana dal Nord, ogni anno si fa più vecchia e fragile. Il Sud Italia oggi è l’area più grande e più sottosviluppata dell’Unione europea. Tra due mesi, quando il Parlamento suggellerà l’autonomia allargata richiesta da tre regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) il raffronto sarà ancora più duro perché le risorse non saranno divise soltanto in ragione degli abitanti e dei relativi bisogni (quanti malati, in quale territorio; quanti studenti e quante scuole) ma anche, come chiede il governatore leghista del Veneto Luca Zaia, in proporzione al gettito fiscale.Continue reading
Luca e Paolo i nuovi epurati? Da ridere. Se Freccero alza il calice di Luttazzi, ma sotto il tappeto nasconde Sangiuliano
Tenere a mente le proporzioni, quando si raffronta un evento con un altro, è come mantenere la distanza di sicurezza quando si guida. Ci preserva dall’errore e dal pericolo. Questa levata di scudi per il fatto che il direttore di Rai Due abbia in mente di sostituire i comici Paolo Kessisoglu e Luca Bizzarri è un po’ fuori luogo e, se vogliamo dirla tutta, anche abbastanza ridicola. Usare il termine epurazione perché la Rai gialloverde si accingerebbe ad oscurare la satira antigovernativa di Luca e Paolo contrasta il principio fisico della gravità. Luca e Paolo, nella loro onorevolissima carriera, non hanno mai infastidito alcuno, e men che mai sbeffeggiato. Neanche un’anatra si è sentita presa in giro dalla loro comicità. E il fatto di essersi trovati a fare la parodia del ministro Toninelli (pure abbastanza riuscita ndr) non li conduce sull’altare del sacrificio. E infatti le giunte di centrodestra della Liguria e di Genova – ambedue a trazione leghista – l’anno scorso hanno tributato a Luca un solenne encomio, nominandolo presidente della Fondazione di Palazzo Ducale.
A Freccero, il bravissimo ex e neo direttore di Raidue (copyright Travaglio), semmai si potrebbe dire che l’ingresso di Daniele Luttazzi, lui sì ingiustamente epurato dalla Rai, è una bellissimaidea ma non ancora un fatto. Resta un auspicio. Mentre un fatto è che i nuovi approfondimenti giornalistici che la seconda rete si appresta a realizzare vengano appaltati a Gennaro Sangiuliano, il direttore del Tg2 (che sarà allungato di altri dieci minuti). Di antica fede almirantiana, dopo appena due giorni dalle elezioni di marzo posta su Facebook una foto che lo ritrae insieme a MatteoSalvini. Tanto per capirci. Sangiuliano, napoletanissimo, ha riverito l’indimenticabile ministro De Lorenzo, poi Gianfranco Fini, poi un pro’ di Berlusconi ed oggi eccolo qua: tanto Salvini. Agiografo di Putin e Trump, si è fatto ritrarre con Freccero e senza sprezzo del ridicolo ha sibilato che loro due sarebbero in lotta contro il “politicamente corretto”. Come Sangiuliano ricorderà, Totò diceva: Ma mi faccia il piacere!
Nel cerchio di fuoco delle lobby
Cosa succede se un movimento apre le braccia a ogni richiesta? Che rinuncia a indicare una direzione e accetta di essere sballottolato da ogni lobby. Mercoledì i noleggiatori hanno bloccato Roma e bruciato una bandiera dei Cinquestelle perché nella finanziaria un emendamento riduceva i margini di attività che i tassisti, loro acerrimi nemici, giudicano illegalmente concorrenziali. L’emendamento punitivo è stato aggiustato, dal ceffone si è passato alla carezza, e allora in piazza sono scesi i tassisti che sempre dai Cinquestelle si aspettavano maggiori tutele. E oggi Roma è bloccata dai bus turistici perché il comune di Roma ha deciso di bloccare il loro ingresso nel centro storico. Una decisione sacrosanta che però è contestata con l’arma di sempre: bloccare tutto, fin quando la forza della pressione non si farà così forte da allontanare da sé il rigore della legge.
Sono poche le lobby che possono permettersi queste attività di ostruzione e regolare, a propri fini, le norme che dovrebbero invece tutelare la collettività. Nel cerchio delle lobby chi è dentro è dentro, chi è fuori là rimane. Pensate a cosa è successo per le concessioni demaniali delle spiagge. I gestori pagano allo Stato meno di quanto paga un ambulante per un banchetto 5X3. Il giro d’affari è di due miliardi l’anno e le casse pubbliche incassano royalties per 103 milioni di euro. Praticamente nulla. Anche per questo l’Europa chiedeva di rimettere in gioco le concessioni, aprendole a una concorrenza salutare e virtuosa. Invece i Cinquestelle, ascoltando solo la campana dei possessori delle licenze, hanno da subito trasformato quella norma che apriva al mercato come una legge che affamava i cittadini. Nemmeno si è voluto affrontare il problema, magari mitigandolo e correggendolo (tutelando chi avesse appena investito risorse per quell’attività). Semplicemente si è deciso, qualche giorno fa, di allungare di altri quindici anni le concessioni in scadenza, e prorogare così i detentori a cui quel pezzo di carta frutterà parecchio.
In questa proroga si vede chiaro chi ha vinto ma non si nota chi ha perso. Perché le imprese che non potranno concorrere allo sfruttamento di un bene pubblico non hanno un registro, un sindacato, non hanno voti da offrire e nemmeno la possibilità di bloccare Roma.
Una lobby è infatti per sempre.
Il bitume armato e ad alta precisione
Il bitume armato ci salverà.
Le buche per strada, che notoriamente necessitano, per essere riparate, di tecnologia ad altissima precisione, saranno curate dal Genio militare. L’amica geniale di Virginia Raggi è Elisabetta Trenta, ministra della Difesa di nomina grillina, a cui il governo si affida per agevolare la risoluzione dei problemi stradali della Capitale.
Siamo contenti che finalmente i militi del Genio potranno dimostrare sull’asfalto romano del talento di cui dispongono. Si terranno in allenamento quando scoccherà l’ora X e intanto faranno una buona azione.
Potendo estendere la logica bituminosa ad altre attività, si potrebbe pensare di affidare agli ospedali militari le cure per i malati in eccedenza, alle cucine delle caserme i poveri da sfamare o anche gli immigrati da tenere al caldo. La gran mole dei bus, che pure l’esercito ha in dotazione, potrebbe essere utilizzata per agevolare l’Atac, notoriamente in bolletta e senza pezzi di ricambio.
Per sindaco, e perché no, anche premier, il capo di Stato maggiore. Si risparmierebbero tempo e soldi. Una sola pistola al comando, e tutti in riga.