Il Tav e il costo del pregiudizio

Quando parliamo del costo della politica pensiamo unicamente alle poltrone. Al loro costo vivo, al bisogno urgentissimo di tagliarle perché in fondo consideriamo che rappresentare il popolo sia un modo per fregargli il portafoglio. Ci accontentiamo di azzannare il dito e trascuriamo invece di puntare lo sguardo sulla luna. Come si spendono i nostri soldi, dove si investono, dove invece si arrestano: quello è il vero, mostruoso costo della politica. Una scelta sbagliata quanto ci costa? Una norma inapplicata quanto ci costa? Un investimento scellerato quanto ci costa? Perciò ci sono degli ambiti della decisione politica, quello dei lavori pubblici, dove dovremmo tutti concordare sulla necessità dell’analisi preventiva dei costi e dei benefici che essa produrrà. Valutarne l’impatto, spiegare bene quanto conta farla e cosa succede se non si fa. Svestire di ideologia un’opera toglie senso a una contrapposizione inutilmente feroce come quella che da anni si combatte sul Tav. Alla luce di ciò che sappiamo oggi, e che avremmo potuto sapere ieri (il costo della sua costruzione è enormemente superiore ai benefici, quasi nulli, che essa apporterà) dovremmo comprendere il senso del pregiudizio. Col pregiudizio non si giudica. Si pregiudica soltanto.

da: ilfattoquotidiano.it

La disfida di “Sara” tra un fascio romano e il grigio Legnini

Abruzzo – Il 10 febbraio si vota per le Regionali: Marcozzi (M5S), Marsilio (centrodestra) e l’ex vicepresidente del Csm inciucista

La questione prima che politica è meteorologica. Nevicherà il 10 febbraio? “Con i fiocchi bianchi vedo bene la grillina, con il sole splendente il centrodestra è avvantaggiato, a meno che lui…”. Fabrizio Di Stefano, farmacista, già deputato, già senatore di Alleanza nazionale, zeppo di voti e di clienti, ma attualmente disoccupato, riceve nel Bistrot Camuzzi, a Pescara. “Il centrodestra con me avrebbe stravinto, trecento per cento sicuro. Ma amano il rischio e adesso ballano. Avrei anche tirato la carretta. Marco Marsilio, l’attuale candidato, mi chiese di dargli una mano: il programma, qualche nome da coinvolgere, il territorio da fargli conoscere. Gli risposi: ‘Va bene, ma poi quando bisognerà decidere chiederai a me?’ E lui, stupito: ‘No, faccio io’. E allora sai che c’è? Bello mio, buona fortuna”.

L’Abruzzo è andato a Giorgia Meloni. Dopo il sindaco di L’Aquila Giorgia ha indicato – su proposta di Fabio Rampelli (l’amministratore delegato di Fratelli d’Italia) il tesoriere e senatore Marco Marsilio alla carica di governatore d’Abruzzo. “Roma è la mia città, Roma è nel mio cuore e io voglio il meglio per il luogo in cui vivo”. Il video del 2016 è la pietra d’inciampo del Marsilio neoabruzzese che ogni giorno è costretto a ricordare genitori, nonni e avi viventi e defunti di Tocco da Casauria, il paese d’origine.Continue reading

Gli immigrati ci fanno stare meglio o peggio? Rispondiamo con le cifre (e non con le suggestioni)

Ma gli immigrati per gli italiani sono stati un costo o un guadagno? Ci hanno resi più ricchi o più poveri? Ci fanno star meglio o peggio? Si può utilizzare la suggestione oppure le cifre. Scegliere una delle due strade conduce a esiti diversi e ci consente di misurare la distanza siderale che separa l’apparenza dalla realtà. Matteo Salvini tiene inchiodata l’Italia ormai da anni sulla questione e parla di invasione. L’Africa nera mangia l’Italia bianca, toglie lavoro, produce reati, muta in peggio le condizioni economiche della nostra società e incrina anche la sua coesione sociale.

Ancorché non recenti (anno 2016), le cifre che qui leggerete non hanno subito sostanziali mutamenti e perciò è bene ricordarle. Gli immigrati occupati regolari sono 2,4 milioni e producono un valore aggiunto pari a 130 miliardi di euro, equivalente all’8,9%del nostro Pil. Contribuiscono, con un saldo nettamente positivo, anche ai numeri dell’Inps, versando contributi pari a 11,5 miliardi di euro.

Con gli immigrati siamo dunque divenuti più poveri o più ricchi? Salvini potrebbe rispondere tenendo a mente queste cifre. Ma lui e forse Luigi Di Maio ci diranno che il problema non sono i regolari ma i clandestini, coloro che non hanno arte né parte. Sull’arte andremmo cauti, perché non conosciamo, essendo appunto clandestini, il numero di essi impiegato nel lavoro nero, specialmente in agricoltura o nei servizi alla persona (colf e badanti).

Le stime più attendibili ci dicono che attualmente gli immigrati senza permesso di soggiorno dovrebbero essere 491mila, meno comunque dei 600mila annunciati. Nel 2008, cioè dieci anni fa, si stimavano invece in 650mila le persone senza regolare permesso di soggiorno. E l’invasione di cui parla Salvini? A rigor di logica doveva esserci più ieri che oggi. Tra l’altro proprio il suo ministero ha emanato il decreto flussi per il 2018 stabilendo in 30.850 (trentamilaottocentocinquanta) il numero dei lavoratori extracomunitari di cui l’Italia per quest’anno ha bisogno. Al ministro gliel’hanno detto?

È vero, con questo governo sono diminuiti gli sbarchi del 95%rispetto al 2017 e del 96% rispetto al 2018. Il ministro dell’Interno può agevolmente riferire se gli sbarchi sono diminuiti anche (o soprattutto) in virtù degli accordi del governo che l’ha preceduto con la Libia (io ti pago e tu li tieni in cella), oppure se grazie al suo personale impegno siamo giunti a questo esito.

Impegno quotidiano che però purtroppo non ha dato i suoi frutti sul tema dei rimpatri. Era Salvini che prometteva di rimandarli a casa loro. L’anno scorso sono stati 6.833 i lavoratori rimpatriati, contro i 6.378 dell’anno precedente. Con un irrisorio segno più (81 persone in tutto). Oggi Salvini ha riferito i dati di questo gennaio: sono 306 i migranti rimpatriati. Un numero miserello che proiettato sull’intero 2019 darebbe un numero altrettanto incredibile: 3.672. La metà dei rimpatri del 2018! Salvini fa flop, ma perché non lo dice?

Da: ilfattoquotidiano.it

Felicità, così l’abbiamo eliminata dall’elenco delle nostre aspirazioni

La radice del buon vivere è il buon governo. Cos’altro dovrebbe infatti essere la politica se non la cura dell’organizzazione sociale, e a cos’altro noi dovremmo tenere se non al raggiungimento della felicità? Gli americani giustamente l’hanno messa in Costituzione, noi invece immaginiamo che la felicità sia una condizione così tanto impossibile che non soltanto l’abbiamo quasi eliminata dall’orizzonte delle nostre aspirazioni, ma abbiamo impegnato il nostro tempo per scavare e tenere illuminato il senso opposto: quello cioè della nostra infelicità, delle nostre frustrazioni, delle nostre debolezze. Per dare una ragione alla nostra infelicità abbiamo poi dovuto individuare un responsabile. Prima la politica di casa nostra, che abbiamo chiamato casta, il potere che ci governa e, a nostro dire, ci regala pena e ingiustizie e poi siamo entrati in casa altrui (l’Europa? La grande finanza?), infine ce la siamo presa con gli africani disperati, colpevoli di farci vivere peggio di come potremmo.

Elencando i nemici abbiamo risolto la nostra questione di fondo, e cioè la nostra infelicità permanente, eliminando la domanda cruciale: e noi, in tutto questo tempo, dov’eravamo, chi abbiamo votato, cosa abbiamo fatto per la felicità?

Luciana Garbuglia, mamma di San Mauro Pascoli, quattro figli da mantenere e una casa da portare avanti, si è ritrovata ad essere la sindaca del paese. Come spiega oggi in un bel reportage il Fatto Quotidiano, la prima urgenza che la sindaca ha posto nel suo programma è stata la ricerca della felicità. Fare qualcosa per essere un pochino più felici. Ha convocato nella biblioteca tredici donne e ha chiesto loro cosa ne pensassero, quali fossero i primi atti amministrativi da compiere. Tutte hanno convenuto su un punto: troppo il tempo dedicato al lavoro, troppo poco quello dedicato alla famiglia e alle relazioni umane. Se gli orari degli uffici pubblici e anche delle aziende private fossero stati disposti per favorire questa esigenza primaria, allora il tempo libero sarebbe stato maggiore, e con esso la propensione a vivere, a incontrare, a incuriosirsi della vita più che ad odiarla.

da: ilfattoquotidiano.it

Per un pugno di dollari

Come si scrive in cifre un miliardo di euro? Lo sapresti scrivere? E sapresti come spenderli quei soldi? Nel mondo ci sono 1900 miliardari e quest’anno la loro ricchezza è aumentata di novecento miliardi di dollari, circa 2,5 miliardi al giorno. E nello stesso mondo ci sono 3,4 miliardi di poveri e poverissimi. In Italiail 5 per cento dei suoi abitanti è così tanto ricco da possedere quanto il 90 per cento dei concittadini.

Queste cifre sono contenute nel rapporto sulla povertà (e sulla ricchezza) che Oxfam, la più nota tra le organizzazioni non governative, annualmente rende pubblico. Oxfam non tiene solo il conto della diseguaglianza che cresce, dell’enorme e oramai irresolubile ingiustizia di miliardi di affamati contro un pugno di affamatori. Non ci dice solo che questa è una strada cieca, che ci porta allo scontro frontale. Oxfam, come tanti altri, si occupa e si preoccupa di aiutare gli africani a casa loro, proprio così. A casa loro. Con i contributi e le donazioni di tante migliaia di cittadini, con il lavoro volontario di persone meravigliose. E la responsabilità più grande che imputo a questo governo è quella di aver fatto immaginare che le Ong siano organizzazioni che, più o meno, trafficano con gli esseri umani, che si arricchiscono sulla loro disperazione.

Oxfam tiene anche il conto di quanti milioni di ettari sono conquistati (la media è di 10 dollari l’anno per l’affitto di un ettaro) in Africa dai ricchi ai danni dei poveri, di quale sia il livello di depredazione (il cosiddetto land grabbing) e quanto sia esso colpevole, perché spinge i diseredati a migrare, e noialtri a tenere il conto dei morti affogati, perché certo, l’Europa non può ospitare tutti, men che meno l’Italia, già troppo generosa, vero? Quando la falsità, l’ipocrisia, le cattive pratiche giungono a questo livello allora è chiaro che il mondo è depredato della sua civiltà.

da: ilfattoquotidiano.it

Se il sindaco raccomanda la pulizia agli immigrati e dimentica la sporcizia degli italiani

Il sindaco di Palma Campania, alle porte di Napoli, per favorire, cosi dice, l’integrazione oggi ha fatto distribuire alla sua comunità bengalese un opuscolo “per insegnare a loro come si vive da noi”. Il decalogo, opportunamente tradotto, invita a “lavarsi i denti ogni sera, farsi una doccia al giorno, usare il sapone e il deodorante per il viso e per il corpo, lavare gli abiti che vengono indossati, tagliare i capelli ogni 4/8 settimane, pulire casa, tagliare le unghie di mani e piedi, coprirsi il naso e la bocca quando si tossisce e si starnutisce, non condividere rasoi, asciugamani o trucchi con altre persone”. Il giovane sindaco, Nello Donnarumma, spiega che “curare il proprio aspetto”, aiuta a vivere meglio e nega ogni intento razzista: “Intendo comunicare un codice di comportamento comunemente rispettato dagli italiani. Ed è giusto che i nostri ospiti lo sappiano e si adeguino”.

Al sindaco facciamo i nostri complimenti: la pulizia innanzitutto. Consigliamo però, se volesse riflettere sul tema e allargarlo anche ad altri aspetti, che una società puzza non solo per via della saponetta che non c’è. Perché è possibile, per esempio, che negli uffici pubblici i visi siano puliti, le unghia tagliate e i capelli in ordine, ma le mani comunque sporche di mazzette. E può sempre darsi che sui nostri balconi si senta il profumo dei gerani e delle rose, ma se esistono le discariche abusive l’aria pulita non sarà. Trovandosi, il sindaco e anche i suoi colleghi di tutt’Italia, potrebbero ricordarci – con un decalogo di pari cortesia – che la Costituzione, sulla quale pure giurano, dice che le tasse devono essere pagate da tutti, per avere la coscienza pulita e non sporca. E infine, se proprio volessero essere pignoli, che chi ha le mani zozze di sangue, come gli affiliati ai numerosi clan che compongono la geografia criminale del nostro bel Paese, dovrebbero essere esclusi dal consesso civile, emarginati, condannati. Che la dignità non è biodegradabile, non può essere salvata con una doccia quotidiana.

da: ilfattoquotidiano.it

Racket, oggi è toccato al negozio di Grazia. Ogni giorno una bomba. La malavita è dentro di noi

E’ la seconda volta che il suo negozio salta in aria. E’ la seconda bomba che il racket mette davanti alla serranda del negozio di Grazia, specializzata in forniture per parrucchiere. A Foggia, come purtroppo in tante città del resto di Italia, la malavita va all’incasso imponendo un sopruso orribile, ineguagliabile. O paghi il pizzo, oppure sparisce il lavoro e il tuo avvenire. Grazia già ieri ha deciso insieme a suo marito Giuseppe di riaprire subito: “Non ci fermeranno, rimettiamo le cose a posto e riapriamo. Però non ce la faccio proprio più”, ha detto.

Questo episodio sarà una breve di cronaca. Simile a cento altri che ogni mese si contano. Non ci riguarda, o se ci riguarda, ci interessa poco, ci indigna ancor meno. Se una quota della nostra attenzione, anzi della nostra ossessione, per i migranti fosse destinata a questi fenomeni, se dieci minuti del suo tempo il ministro dell’Interno li destinasse ad aiutare questi italiani disperati e a chiedere conto alle forze dell’ordine perché non vengono fermati questi altri italiani farabutti che spadroneggiano, devastano, intimidiscono, sarebbe un bel giorno.

Se infine la stampa non seguisse lo show della politica, e obbligasse invece la politica a seguire la realtà, a occuparsi di ciò che non vuole vedere perché non fattura simpatia e quindi voti, tante vite come quelle di Grazia e Giuseppe sarebbero più tranquille, tante fatiche più produttive, tanti criminali meno impuniti. L’aria più pulita e l’Italia più civile.

da: ilfattoquotidiano.it

Non ci basta un annegato. Per farci piangere abbiamo bisogno di più

E se quel naufrago di 14 anni fosse stato trovato morto, denudato e con la pancia gonfia, come i suoi compagni di sventura? Come quelli che ogni giorno muoiono sotto i nostri occhi, bimbi e adulti, maschi e femmine. Se Cristiana Cattaneo, medico legale, al momento dell’autopsia non avesse ritrovato ancora i suoi vestiti e miracolosamente intatta, cucita in una tasca, la pagella scolastica con tanti bei voti, segno insieme di identità e di sincerità dei suoi buoni propositi, noi saremmo stati così colpiti? Avremmo cioè provato la commozione, il dispiacere, la pietà che oggi, anche grazie alla struggente vignetta di Makkox che l’ha rappresentata, sentiamo per questa vita perduta, per l’oltraggio che le istituzioni dell’Occidente compiono, per la regressione e l’immoralità di decisioni politiche così ciniche?

Oppure, e purtroppo, stiamo divenendo così crudeli, cosi tanto abituati alla morte di questi sventurati, che l’indignazione e la commozione si provano solo quando qualcosa di straordinario accade, essendo l’ordinario, cioè la strage quotidiana di innocenti, oramai acquisito e indiscutibile.

Abbiamo bisogno di strazi spettacolari, di morti indicibili, come quella del piccolo Aylan, il bimbetto di due anni, un bambolotto vestito di rosso riverso a terra sulla spiaggia di un’isola turca. Siamo abituati e anzi giustifichiamo persino queste forme di sopraffazioni e ingiustizie. Al diritto preferiamo il rovescio, l’abuso o la omissione. Siamo divenuti così tanto crudeli che per scuoterci dal torpore abbiamo bisogno di una dose sempre maggiore di raccapriccio, qualcosa di ultra sconvolgente.

Non un annegato qualunque, ma un annegato coi fiocchi.

da: ilfattoquotidiano.it

Operazione contro i caporali di Latina: abolire la schiavitù o la lattuga?

Vi piace la lattuga? E il rafano? Le fragole sono buonissime, anche il fiordilatte è sopra la media. L’agro pontino ci riempie di soddisfazioni a tavola. E gli imprenditori agricoli sono soddisfatti perché Fondi, città a sud del Lazio, è il più grande mercato ortofrutticolo del Mezzogiorno, uno snodo commerciale che fa divenire Latina capitale dello smistamento dei beni da mangiare. Purtroppo stamane, e davvero non si capisce perché, la polizia ha arrestato alcuni bravi lavoratori chiamati ingiustamente “caporali” che trasferivano la merce, in questo caso uomini con la barba lunga, dai luoghi di ristoro e di residenza ai campi di lavoro. I sikh, che vengono dal Punjab, lontana regione che non conosciamo nemmeno, fanno a meraviglia il loro mestiere: sono per metà uomini e per metà animali.

Nel senso che possono essere collocati anche in una stalla dove riescono incredibilmente a trovare refrigerio e infatti la chiamano casa. E non fanno casino, non hanno il sindacato, non hanno bisogno di mangiare molto, non si stancano, e si accontentano della paga. Tutti stranieri, tutti senza permesso di soggiorno. Una vergogna, vero? Con questo stratagemma – trasformarsi in schiavi, cioè – rubano il lavoro agli italiani. Almeno settemila posti di lavoro, molto ben retribuiti: due anche tre euro l’ora, dal momento che fa luce al momento che fa buio più l’alloggio gratuito e il trasporto. Mi domando, ma sono sicuro che ve lo domandiate anche voi: perché loro sì e gli italiani no? Perché loro devono essere i primi? E noi? Non abbiamo per caso braccia a sufficienza da impiegare nell’agricoltura? La polizia ha appena fatto una retata e gli imprenditori, che puntano tutto sulla crescita, non aspettano altro che nostri connazionali a cui concedere ciò che finora è stato tolto: il lavoro. La pacchia è finita. Ma resta insoluta la questione: se si abolisce la schiavitù poi la lattuga (e il rafano, e le fragole, le melanzane, i finocchi, i cetrioli, eccetera eccetera) chi li raccoglie da terra?

da: ilfattoquotidiano.it

Sempre sia lodato lo chef Rubio

Sempre sia lodato lo chef Rubio. L’unico cuoco che non abbia solo farina in testa, e granchi e sgombri e filetti, e tagliate con l’ananas e frutti di bosco, ma anche idee e una dignità. Tra i pochi professionisti che fatturano esattamente e completamente. Rubio si domanda: prima gli italiani? Dobbiamo fare posto a tavola a tutti, ma proprio a tutti gli italiani? Anche a quelli che ieri notte hanno messo una bomba nella storica pizzeria di Gino Sorbillodi via dei Tribunali a Napoli? Anche a quelli come Flavio Briatore, che è dovuto scappare a Montecarlo dove ha portato anche il suo 730? Prima gli italiani, dunque? Tutti gli italiani? Anche quelli che ieri si abbuffavano di provvidenze dello Stato e oggi protestano perché la legge finanziaria non prevede investimenti per la crescita? Anche quelli che fregano i disabilifottendosi l’indennità prevista dalla legge 104? Anche quelli che vedono scialare 49 milioni di euro di finanziamenti pubblici in spese pazze e poi fanno finta di non sapere, non ricordare? E dicono: prima gli italiani. Prima gli italiani? Tutti tutti?

da: ilfattoquotidiano.it