Coronavirus, la lezione di matematica di Angela Merkel

 

La lezione di matematica dura solo due minuti ed è disponibile sul web. È un utile promemoria per coloro che non vedono l’ora di riaprire tutto. Fabbriche, chiese, case, alberghi, lidi, piscine. Tutto tutto, e prima che si può… Angela Merkel li chiama i “presuntuosi”, e sono quelli che sfidano la matematica. In un messaggio a uso interno, dove immagino esista una scolaresca nutrita di iper ottimisti, ha spiegato che in Germania se il contagio si attestasse sulla moltiplicazione 1×1 (un contagiato ne contagia soltanto un altro. Da qui la formula R=1) i posti di terapia intensiva sarebbero prevedibilmente pieni entro il prossimo ottobre. Se il rapporto aumentasse del venti per cento (R=1,2) quei letti sarebbero tutti occupati entro il prossimo luglio. Se il rapporto dovesse aumentare ancora di più (R=1,3), la disponibilità si esaurirebbe invece già a giugno. Certo, è lo scenario peggiore preso in esame. Ma un dovere di un politico illuminato è di assumere come possibile anche ciò che è meno probabile.
Malgrado la Germania abbia un sistema sanitario più efficiente e capillare del nostro e un numero di letti disponibili in terapia intensiva quattro volte superiore al nostro, e un numero di morti infinitamente minore a quelli che noi contiamo, la professoressa Merkel invita a fare queste semplici moltiplicazioni. Spiega ai “presuntuosi” che tutto il mondo sta camminando su una lastra di “ghiaccio sottile” e che basta poco perché si squarci e ingoi tutti nel fondo delle sue acque gelide.

Antonio Gramsci diceva: la storia insegna ma ha cattivi scolari.

Faremmo bene, ora che abbiamo tempo, a impegnarci in un piccolo ripasso e invitare Salvini e soci, tutti quei governatori con l’ansia da prestazione (compreso il neopresidente di Confindustria), di emulare questa breve ma utile fatica.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, gli italiani inflessibili: la legge va rispettata. Ma solo se c’è di mezzo il virus

 

Breve di cronaca: marito multato (533 euro) per essersi intestardito ad andare a recuperare con l’automobile la moglie infermiera impossibilitata a rientrare a casa da sola dopo il turno all’ospedale. Non c’è che dire: la legge è legge perbacco!

Il vago senso di nausea che prende rispetto all’ottuso piacere con cui si impone la norma anche a colui (e colei) che della norma sono vittime incolpevoli deriva dalla constatazione che l’inflessibilità con la quale oggi si esercita la funzione pubblica (sindaci che ordinano, poliziotti che fermano, droni che sorvegliano, vigili urbani che inseguono) verso cittadini generalmente pacifici è inversamente proporzionale al lassismo (se non alla connivenza) con le quali i medesimi esercitano le funzioni in tempi di pace. C’è una sorta di ribaltamento del rigore, un’attenuazione dell’obbligo del rispetto, una sistematica accondiscendenza verso i gaglioffi, per non dire i violenti.

Forse siamo troppo in ansia, presi dall’angoscia di essere infettati. Ma quando gridiamo all’uomo che passeggia in campagna intimandogli di fermarsi (altrimenti infetta la cicoria?) siamo noi, sempre noi, gli stessi cioè che invece restiamo silenti quando, sul pianerottolo di casa nostra, sentiamo mariti pestare le proprie mogli? Siamo noi, siamo dunque sempre gli stessi, che in tempo di pace non alziamo un dito quando assistiamo a un’illegalità conclamata, di piccolo o di grande taglio? Siamo noi. Sei tu. L’uno e il suo opposto.

Oggi così attento e puntiglioso, domani – scommettiamo? – così distratto e comprensivo.

Da: ilfattoquotidiano.it

Aiuto, arriva la patrimoniale! Quando i lupi si scoprono agnelli

 

Aiuto, arriva la patrimoniale! Un urlo sofferente si alza nell’opinione dei più. Possiamo noi italiani contribuire in ragione delle nostre possibilità al sostegno di un Paese in ginocchio? Dovremmo noi, secondo la ricchezza di ciascuno sostenere le enormi spese a cui il sistema pubblico è chiamato a far fronte? La logica direbbe di sì. Se c’è una situazione eccezionale si prevede una risposta eccezionale. Se le casse pubbliche avranno meno entrate fiscali (in tanti non pagheranno o verseranno assai meno perché il loro reddito sarà ridotto o azzerato) e molte uscite straordinarie cosa si fa? Gli eurobond, sui quali pure il governo si mostra fermissimo a richiederli, non dobbiamo scambiarli per la porta del paradiso. Sono titoli di debito. Soldi che chiederemo in prestito agli investitori di tutto il mondo. Il disaccordo in Europa è sulla condivisione del prestito, sul fatto cioè che non tanti Paesi europei vogliono, come noi chiediamo, farsene garanti: uno per tutti e tutti per uno, qualora il debito non fosse onorato. Ma in ogni caso quei soldi saremo tenuti a restituirli. Ciascuno si paga il suo debito. Non c’è mica il mago a farlo al nostro posto? E il debito dell’Italia lo dovranno pagare gli italiani versando le tasse che – immagino – nel prossimo futuro di certo non diminuiranno.
Dal momento che storicamente la virtù di essere in regola col fisco è divenuto un vizio di pochi, una parte dell’Italia le paga e un’altra Italia no, il carico fiscale futuro sarà prevedibilmente altrettanto diseguale.

Dunque chiedere, come timidamente propone il Pd e contro cui già si è levato lo sdegno dei più, ai ceti abbienti (coloro che dichiarano un reddito superiore agli ottantamila euro l’anno) di contribuire in misura straordinaria e progressiva alla “una tantum” mi parrebbe una misura giusta, tollerabile, logica. Tassare il patrimonio, invece che il reddito, farebbe venire alla luce i furbi del 740: coloro che dichiarano poco o nulla ma posseggono molto o moltissimo.

Chi più ha più dà. O no?

Da: ilfattoquotidiano.it

Sicuri sicuri che odiamo la burocrazia?

 

La burocrazia ci soffoca, ci stritola. Ostruisce e danneggia. Se va bene rallenta i nostri progetti, se va male uccide. Siamo tutti d’accordo: la burocrazia è il nostro virus permanente, l’infezione che ci tiene perennemente sospesi tra la vita e la morte. Tutto questo unanimismo contro i burocrati d’ogni razza o specie è sospetto. Temo che odiamo la burocrazia soltanto quando intralcia noi. In effetti siamo abituati a utilizzare codicilli e ordinanze, i commi e loro sub dalla tenera età. Ricordo con raccapriccio quel che i miei colleghi genitori riuscivano a combinare già alla scuola elementare. I figlioli, povere anime, senza colpe. Tutto un fiocco di frecce intinte nell’inchiostro del diritto e del rovescio. Per una passeggiata fuori d’ordinanza, una mela bacata, un ordine di servizio, una porta schiodata. Lettere e osservazioni. In punta di diritto e di rovescio. Si sale con l’età e altri diritti (e rovesci) alla porta. Fai il concorso? Chi lo vince può perderlo, perché chi l’ha perso può vincerlo. Un appalto? Idem. Sotto ogni richiesta è accampata la domanda furtiva, e ogni provvidenza prevede una furbata all’ingresso.Dunque, ricapitolando. Siamo tutti contro la burocrazia, e siamo tutti per sveltire le azioni, fare i fatti e non pestare nel mortaio della maldicenza. Vorremmo essere veloci, e dunque i burocrati ci rallentano. E questo è il diritto. Il rovescio della questione è che quando noi subiamo una esclusione, perdiamo punti nella categoria dei protetti, invochiamo l’odiato burocrate e la sua ultima ordinanza che capovolge la precedente che a sua volta modificava il testo originario reinterpretando la norma. La verità è che amiamo il diritto (ma il rovescio ci piace troppo).

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, baroni in corsia. Cinquanta prof accettano la “retrocessione”

Un bando di arruolamento straordinario e insolito. Il direttore generale del Policlinico di Napoli, Anna Iervolino, ha chiesto ai professori della Scuola di Medicina e Chirurgia del polo universitario delle più diverse materie di dare la disponibilità a fornire supporto da ausiliari ai colleghi nei corridoi delle malattie infettive dell’ospedale. Cattedratici di fama, come l’oncologo Sabino De Placido, l’ematologo Giovanni De Minno, gli endocrinologi Annamaria Colao e Domenico Salvatore, hanno accettato questa speciale “retrocessione” e si sono resi disponibili ad attraversare le corsie del Covid e affrontare non più da prim’attori l’emergenza.

In tutto, riferisce il Corriere del Mezzogiorno, sono cinquanta i titolari di cattedra che hanno risposto alla insolita chiamata. Noti al grande pubblico come “baroni”, plenipotenziari della sanità in grado di decidere carriere e prebende, e spesso coinvolti, purtroppo a ragione, in storie di intramontabile familismo, cinquanta di essi (il dieci per cento del totale) ha risposto all’appello.

Cinquanta baroni, ora ex, in corsia.

Tra i miracoli che una disgrazia produce, questo è senz’altro speciale.

Da Napoli è tutto, a voi Italia.

Da: ilfattoquotidiano.it

“Voi ci infettate”. La storia triste di tre ragazzi volontari della Croce rossa

Tre ragazzi di Taranto, volontari della Croce rossa, sono appena tornati in città, nella loro casa, dopo sette giornate infernali trascorse in Lombardia. È la loro prima notte di pace, dopo sette giorni trascorsi nell’inferno lombardo. È la loro prima notte di sonno. Due ragazzi e una ragazza convivono nello stesso appartamento osservando scrupolosamente tutte le prescrizioni di distanziamento e isolamento. I coinquilini – accortisi del loro ritorno – bussano con i pugni alla loro porta. Urlano: “untori!”, “ci infetterete tutti!”. “Non ci aspettavamo un grazie, non pensavamo all’applauso. Ma ascoltare quegli epiteti proprio no”, raccontano in un video pubblicato sul sito della Croce Rossa. I tre giovani volontari, simboli di un’Italia veramente solidale e veramente coraggiosa, avevano scelto non solo di soccorrere ma per farlo di mettere a repentaglio la loro salute. Lo hanno fatto in silenzio. Come in silenzio, chiusi nella loro casa (“naturalmente il massimo che facciamo è affacciarci al balcone”), erano quella sera, in procinto di riposare finalmente.

Invece il rumore della cattiveria, di una crudeltà che solo l’uomo sa far provare, li ha svegliati e inchiodati al loro reato: essere stati troppo generosi e coraggiosi e audaci. Dunque dei piccoli, anonimi eroi di questo tempo doloroso.

Da: ilfattoquotidiano.it

Fontana&Gallera, il duo della spocchia

Al liceo avevo, tre file avanti a me, un compagno di classe che – finita la lezione – ci spiegava quanto era stato bravo. Quanto bravo e, modestamente, anche un pochino più sveglio di noi. Perché lui studiava e sapeva. E dunque: professore posso rispondere io? Ricordo con enorme disprezzo quel ditino perennemente alzato. Oggi, nel tempo sospeso di questa ecatombe sociale, rivivo quel film grazie alle quotidiane prestazioni del presidente della regione Lombardia Attilio Fontana e del suo assessore al Welfare Giulio Gallera. Ogni giorno, verso le cinque del pomeriggio, ci ricordano come sono bravi ed efficienti e rigorosi. E come seno bravi i lombardi, e quanto sono generosi. E quanti amici hanno nel mondo: grazie ai loro amici che hanno le mascherine i ventilatori e ogni altra cosa. Fosse stato per l’Italia, addio vita.

Fontana&Gallera sono quelli del ditino alzato. E ogni giorno alle cinque mettono in riga tutti. I ministri, il presidente del Consiglio, il Parlamento. Fontana&Gallera sono i perfetti interpreti del “so tutto mi”, sono quelli che se le cose vanno bene è merito loro, se vanno male è colpa degli altri. I due del ditino alzato hanno fatto il possibile e l’impossibile. Gli altri? Solo guai. Per fare prima degli altri, e naturalmente meglio degli altri, hanno inaugurato ieri, con una fanfara tipica delle feste nazionali, un ospedale che andrà in funzione tra sette giorni. Sette giorni, in questo momento, valgono sette mesi. C’era bisogno di tutte quelle trombe? L’avessero aperto in silenzio chi se ne sarebbe accorto del miracolo lumbard?

La Lombardia sta vivendo una tragedia terribile. Non era preparata ad affrontare anche il ciclotimico duo della spocchia.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, la spedizione albanese. La lezione della memoria

Donare una fetta di prosciutto per chi ne possiede solo altre tre nel frigo è un atto di generosità incomparabile rispetto a chi compie lo stesso gesto avendo però in cantina un prosciutto intero.

Perciò i trenta medici e infermieri che il governo albanese ha inviato in Italia per aiutarci a vincere questa guerra ha il sapore di un sacrificio rilevante, di un gesto di particolare e intensa solidarietà. E le parole del premier Edi Rama, in un italiano così pulito e elegante, che in un video accompagnano questa spedizione, paiono piene di una sincerità insospettabile, di una amicizia profonda. “Non siamo ricchi, ma non siamo privi di memoria”, dice Rama ricordando che migliaia e migliaia di suoi connazionali hanno trovato ospitalità, lavoro e una nuova vita in Italia.

Gli ospedali albanesi non hanno le risorse tecnologiche dei nostri centri, i medici albanesi non godono delle competenze e del supporto su cui possono contare i loro colleghi italiani. La società albanese, ancora in larga parte priva delle protezioni sociali che noi conosciamo, non può contare su un sistema sanitario capillare come il nostro.

Eppure trenta dei loro medici e infermieri, preziosissimi in tempi di pandemia in un Paese che ha risorse umane limitate, sono qua per dimostrare che la memoria regala una grande lezione di civiltà.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, faremo altri errori. Se riusciremo a costruire la società del rimedio

Tra le tante necessità che abbiamo una supera tutte: quella di sbagliare in fretta. Davanti al mistero di questo malanno che conduce alla morte tanti, possiamo soltanto avanzare per approssimazione.

Se è vero che stiamo sperimentando un evento mai sperimentato, è chiaro che gli errori successivi a quell’evento saranno tanti. Ha ragione Alessandro Baricco: la nostra capacità sarà quella di sbagliare il più velocemente possibile. Di capire in tempo l’errore dov’è, e di trascinarlo via dalla nostra operazione quotidiana.

Esempio 1: Il commissario per l’emergenza Arcuri ha capito che le dotazioni per la protezione individuale non arrivano ai sanitari nello stesso momento. Coloro che vivono in città vicine ai grandi centri di smistamento ricevono mascherine e tute prima dei colleghi che operano lontano da quei centri. Rendere indifferente la distanza sarà una grande conquista.

O ancora: abbiamo fatto bene o male a chiudere quasi tutto? Esempio 2: Per quanto tempo ancora saremo in grado di reggere lo stress non solo sociale ma anche economico? Chiudere l’Italia per un altro mese creerà più tensioni o le diminuirà? Avremo più sicurezza? Capirlo in tempo, capire se stiamo facendo la cosa giusta e capirlo più in fretta possibile.

Si dirà: la fretta è cattiva consigliera. In questo tempo, e in quello che ci aspetta, dovremo riuscire a sovvertire il motto. Essere più veloci senza essere temerari, avventurieri. L’unica soluzione che abbiamo è di sommare le nostre forze, cioè le nostre intelligenze. Capire che l’intelligenza collettiva, quel che sai fare tu e quel che so fare io, se sommata ci renderà meno stupidi, o meno superficiali, o solo meno prede della paura. Facendo così ridurreremo il margine di errore. E quindi: meno errori, meno problemi. Provare per credere.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, alla guida della macchina dei soccorsi giovani zero. Solo anziani

Il virus attacca maggiormente gli anziani, gli ultrasessantenni. Ma la prima linea del fronte che deve respingere l’attacco è formata da ultrasessantenni.

Questa grande epidemia ci fa conoscere ancora di più come l’organizzazione della macchina dei soccorsi, la gerarchia del potere a livello periferico, escluda i quarantenni e i trentenni da ogni responsabilità di rilievo. Regioni e ospedali sono, quasi esclusivamente, nelle mani degli anziani.

È insieme un problema e un paradosso.

Il problema è quello di sempre: non riuscire a innestare nel grande corpo burocratico dello Stato e nelle sue diramazioni periferiche, le passioni, le capacità e le competenze di chi ha meno di cinquant’anni. Il paradosso è che invece a livello centrale la classe politica propone una leadership assai più giovanile. Il premier Giuseppe Conte, il più anziano, ha 55 anni. Più giovani di lui sia Zingaretti che Di Maio, per non dire di Salvini, di Renzi e della Meloni.

Invece facciamo fatica a scorgere tra i presidenti di Regione loro coetanei. Eccetto Bonaccini, il presidente dell’Emilia Romagna, tutti avanti con l’età. Un generale in pensione in Lucania, un signore assai attempato in Lombardia, e così l’Umbria, il Molise, la Sicilia, il Piemonte, la Campania per citare solo i governatori più stagionati. E tra le decine di volti di scienziati, primari, direttori delle unità intensive, responsabili delle Asl, manager pubblici, pochissimi sono i quarantenni. Si dirà che gli incarichi di responsabilità prevedono un cursus honorum, ma è evidente che esiste una distorsione, un’incapacità e anche un atto culturalmente ostruttivo verso la promozione delle giovani leve.

L’Italia ha dimostrato di avere tanti ragazzi su cui contare. Molti di essi, guarda un po’, sono “fuggiti” per guadagnarsi altrove la responsabilità che qui veniva loro negata specialmente nel sistema sanitario pubblico e nelle università.

E in queste tragiche giornate la grande ingiustizia diviene quotidiana prova visiva.

Non può essere che i giovani siano solo i barellieri.

Da: ilfattoquotidiano.it