Ero rimasto al mondo animale: adotta un cane. Un modo per restituire felicità all’amico più fedele dell’uomo. Poi nel tempo il corso delle adozioni si è andato espandendo e abbiamo conosciuto la bella campagna del Fai per i monumenti: “Adottane uno anche tu”. Le adozioni si sono fatte a distanza: abbiamo potuto adottare i figli denutriti del terzo e quarto mondo che in qualche modo sono divenuti nostri figli. Oggi Silvio Berlusconi chiede ai suoi deputati e senatori di corrompere con la bontà l’animo dei colleghi eletti dei 5 stelle. “Fateveli amici, convinceteli e conduceteli uno a uno dalla nostra parte”. Evitando di ricordare che l’ultimo amico che l’ex cavaliere si è fatto in Senato gli costò qualche bigliettone e anche un processo, è chiaro che il suggerimento è ora di sperimentare forme di amicizia senza sovrapprezzo. Per esempio si può chiedere al senatore grillino, uno qualunque, appena eletto e ancora all’ingresso di palazzo Madama: “Ti andrebbe un caffè e un cornetto?”. Sarebbe un bel dire e anche una manifestazione di bontà che giorno dopo giorno, cornetto dopo cornetto, costruirebbe un sodalizio senza pari. Per gli eletti sotto peso si potrebbe tentare con l’invito irrifiutabile: “Conosco un posto dove fanno una pizza meravigliosa. Ti andrebbe di assaggiarla?”. L’amicizia si costruisce a tavola e via via si allarga. Dopo il cornetto e la pizza si potrebbe avanzare ancora un po’: “A casa ho Netflix. Io e te soli, in compagnia di un bel film”. E poi, se viene il resto, ci sarebbero due opzioni: il governo o l’isola dei famosi. Ambedue prodotti Mediaset.
La miseria ci disturba, multiamola per 200 euro
“Chi cerca cibo finisce per lasciare i rifiuti a terra e questo è un richiamo per i ratti”. Questa frase è stata pronunciata dall’assessore alla Sicurezza di Genova per spiegare le ragioni che hanno consigliato alla giunta di centrodestra della città di emettere un’ordinanza per il decoro urbano della zona nobile e che vieta, tra l’altro, di rovistare tra i cassonetti. L’assessore ha spiegato che la misura è contro gli ubriaconi, gli sporcaccioni che imbrattano di cartacce il centro storico. Con chi ha solo fame verrà usato un riguardo.
Resta ugualmente sbalorditiva, e ai confini dell’incredibile, il modo di affrontare la questione che è appunto la fame. Genova è il nord industriale eppure nelle sue strade vede patìre una miseria che trabocca e insozza. E solo per questo oggi diviene insopportabile. Combattere la fame con le multe dà il senso esatto di ciò che stiamo divenendo: estranei a questo nuovo mondo affamato che inizia a scocciarci perché esonda dai ghetti in cui era rimasto seppellito e giunge, allagandolo, fin dentro il nostro portone. Ce la prendiamo con chi ha fame non con chi lo ha ridotto a mangiarequel che noi buttiamo dalla finestra, come fosse un ratto o poco più. Ecco dunque l’ordinanza comunale: vietato essere miserabile e scegliere di vivere come un topo di fogna, senza un soldo in tasca. Chi non rispetterà il divieto pagherà duecento euro di multa.
Guai a chi molla! Laterina, la geolocalizzazione e il Pd
“Guai a chi molla” ha scritto su Twitter l’eurodeputato del Pd Damiano Zoffoli, da Cesenatico. La virtù della rete è che non nasconde niente e Zoffoli, forse suo malgrado, si è geolocalizzato: l’altro ieri, mentre incitava alla resistenza, twittava da Laterina, il paese di Maria Elena Boschi. I due sono della stessa corrente e presumibilmente sognano la stessa cosa: non mollare mai. Un signore, Claudio Corbella, di passaggio su Twitter, ha domandato a Zoffoli: “Molla cosa?”. Claudio, che nel suo status si dice “riflessivo” perciò si chiede: cosa mai non si dovrebbe mollare?
Guai a chi molla. I missini di ieri dicevano Boia chi molla, i fascisti di sempre forse ancora lo ripetono. Più del (cattivo) refrain a noi piace la domanda del signor Corbella: cosa il Pd non deve mollare? La poltrona? Sembra improbabile. Non deve mollare il principio che bisogna assolutamente andare all’opposizione? Sembra possibile. Ciò che non dice Zoffoli e che però chiede Corbella, è forse altro ancora: basta dire no? Basta non mollare? O è il tempo di riflettere e di pensare?
Il pensiero, si sa, ha gambe pesanti e passo lento. È più faticoso dell’azione ed è anche meno visibile. Pensando, riflettendo su ciò che è giusto e ciò che non lo è più, su cosa per esempio, è divenuto il Partito democratico e cosa sarebbe potuto essere, su chi ha il merito della disfatta e chi è invece innocente si potrebbe giungere – pari pari – al desiderio opposto di Zoffoli: mollare alcuni atteggiamenti, alcuni capricci, alcune cravatte, alcune compagnie, alcune idee strambe. Mollare alcuni candidati, alcuni modi di essere, alcune cattive pratiche, alcune postazioni strategiche. Mollarle significa sottrarle al palmo della mano che le esibisce e verificare che – stretta la mano in un pugno – restino solo le idee e non le mosche cocchiere.
I Cinquestelle e la lezione del silenzio del prof. Casalino
Sulla Stampa c’è un prezioso articolo di due valenti colleghi che sono riusciti ad ascoltare la lezione di Rocco Casalino, responsabile della comunicazione del M5S, ai neo parlamentari. Elenco i passaggi decisivi: “Non vi fate fregare quando i giornalisti vi diranno: dammi una notizia che sennò vengo licenziato. Pensate sempre che il loro fine è di danneggiarci”. “Non serve a nulla parlare con loro. Serve solo a spaccarci e a dirci che siamo divisi. Non abbiamo più bisogno di giornali e tv. Riusciamo ad arrivare a milioni di persone e già nel 2013 abbiamo preso il 25% senza la comunicazione tradizionale”.
Auguro ogni successo ai Cinquestelle. Se lo otterranno significherà che l’Italia avrà goduto dei frutti del loro impegno. Auguro, insieme al loro successo, che riflettano e bene su cos’è la democrazia, cos’è l’informazione e cosa la libertà. Auguro che sappiano far buon uso della loro parola, e che siano – anche nei limiti della convenienza politica – sinceri nelle intenzioni. Perché se un giornalista dovesse rispondere per le rime al signor Casalino, oggi fantuttone a molte stelle, gli ricorderebbe che senza informazione non c’è libertà, e senza libertà resta solo la manipolazione. E che il mondo non divide i buoni dai cattivi ma purtroppo li mischia: uova, farina, latte e poi impasta. Ci sono cattivi giornalisti, vero. Ma anche cattivi dentisti, cattivi tubisti, cattivi elettricisti. E persino nei Cinquestelle, tra chi li ha votati e, temiamo, persino tra coloro che sono stati eletti, ci sono gli integri e i coccodè, i faziosi e gli impegnati. Gli onesti e i furbacchioni. Casalino, fantuttone di alto rango, ripassi la storia dell’umanità e nei due minuti di tempo libero che gli rimangono da giornate presumiamo intensissime avanzi nell’indagine: pensi a ciò che è stato, ciò che è, ciò che dice e ciò che pensa. Misurerà la distanza esatta che separa la virtù pubblica dal vizio privato e la vicinanza del male al bene, e comprenderà quando la scaltrezza si fa spocchia e la rettitudine si trasforma in dabbenaggine magari – incredibile ma vero – persino a sua insaputa.
Mertens il fuoriclasse, i poveri, e lo stupore dei diseredati
Restiamo stupìti quando vediamo i nostri beniamini del calcio vivere un dolore comune al nostro. Vederli piangere al funerale ci commuove al punto da salutare con un applauso quel loro gesto di umanità, così simile al nostro eppure incredibilmente così inaspettato, enorme, straordinario. Sono campioni e le loro vite si svolgono secondo riti che ci appartengono nei limiti della cornice prestabilita: loro protagonisti e noi spettatori, loro campioni e noi tifosi, un po’ più che adulatori un po’ meno che compagni di viaggio. Pari, noi e loro, non siamo.
Così accade quando uno di essi, è capitato qualche settimana fa a Mertens, l’attaccante del Napoli, destina una briciola del suo tempo e una briciola del suo benessere a chi è sfortunato, diseredato. Questo stesso atto di generosità compiuto da un nostro amico o conoscente non produce affatto lo stupore e l’ammirazione che riversiamo al nostro campione. E la ragione è appunto che lui è un campione e noi no. Lui è ricco e noi no. Lui è estraneo ai patimenti, noi purtroppo no.
Chi conosce il bisogno è più disponibile alla generosità, quella minuta e trascurabile e quella più rilevante e straordinaria. È in qualche modo allevato all’idea che il bisogno sia compagno di vita e destino comune. Colui che è ricco, affrancato dunque dal bisogno, ha una percezione diversa della solidarietà e degli obblighi che ne derivano. Vive la solitudine, perché la propria fortuna è merito esclusivo del proprio talento, e deve anzi tutelarla dagli attacchi (le tasse? i ladri? la malattia), è più piegato dentro il confine esclusivo dei suoi impegni e delle sue frequentazioni. Una società che conosce il bisogno finisce però per essere più giusta e rispettosa. Se ha fame si mette in fila senza dire: prima io.
Il M5s è il partito del po’, inteso come troncamento di un poco di tutto
“Un po’ democristiani, un po’ di destra e un po’ di sinistra”. La rappresentazione data da Beppe Grillo del movimento è perfetta, il suo dna è interclassista: si pone al centro della scena e raccoglie le istanze più sentite dei diversi ceti sociali. Non ideologia ma programma. Non bla bla ma cose concrete da fare.
È l’ora giusta di interrogarci su quel “po’”, il troncamento della parola poco. Esistono diverse idee di società, e sono legate alla natura degli uomini e ai loro propositi. Ed esistono diverse idee di governo, che subiscono il condizionamento di quelle scelte.
Non ce n’è una che sia neutra. Se diciamo che siamo contro il governo delle élite, dei pochi, è perché riteniamo che le loro scelte sia state a favore dei pochi e a danno dei molti. È un giudizio di valore, quindi.
È probabile, per fare un altro esempio, che la politica di Trumpnon danneggi i ricchi. È meno probabile che aiuti i poveri se non nella misura del ricasco generale ma indeterminato nel tempo, di una ricchezza che si espande a tal punto che come la pioggia finirà per bagnare tutti.
Se io sono a favore della tassazione progressiva, chi più ha più dà, perché ritengo che la distribuzione della ricchezza debba favorire i ceti più svantaggiati, aumentare loro le tutele. Ma se aumento le tutele ai più deboli, le riduco a coloro che stanno meglio nella convinzione che essi hanno sostanza economica per difendere il proprio status.
Se invece sono a favore della flat tax, percentuale lineare fissa, aiuto maggiormente chi più ha. Elementare Watson.
E se sono dei Cinquestelle? Qui ci viene in aiuto Beppe Grillo col suo po’, troncamento di poco. Con una mano aiuto i più poveri, a cui concedo il reddito di cittadinanza, con l’altra però agevolo anche coloro che stanno meglio, riducendo le tasse più ingiuste, “tartassando” di meno.
E un po’ aiuto coloro che vanno in pensione, riformando la legge Fornero, un po’ aiuto i giovani a trovare lavoro, riducendo gli sprechi.
La teoria del po’ è infinita ma cozza, ahimè, contro il principio di realtà. Lo spreco non è solo ruberia, corruzione. Quella è illegalità. Lo spreco è anche lavoro improduttivo, finanziamenti senza coperture, tasse inevase.
Siamo certi che tutti i tartassati siano degli angioletti? Secondo me, no. Siamo certi che tutti gli evasori siano con l’acqua alla gola? Secondo me, no. Siamo certi infine che tutti i lavoratori lavorino, producano? Anche in questo caso avrei dei dubbi.
Dunque essere un partito un po’ di tutti, che distribuisce un po’ a tutti, che tiene un po’ per il ricco e un po’ per il povero, che aiuta un po’ il pensionato e un po’ il disoccupato rischia, malgrado le ottime intenzioni, di dare un po’ a chi merita e un po’ a chi no, di trasformare il furbo in bisognoso, e di giustificare anche le nostre cattive pratiche, ritenendole figlie del bisogno quando non lo sono e fondando così – magari senza volerlo – la categoria del privilegio, che è il cardine della società diseguale contro cui si era deciso di lottare.
Il ripescato. Se anche la politica ha i suoi raccomandati
Ce lo ricordiamo tutti il figlio di papà. Ciascuno di noi ha avuto la sfortuna di averlo al suo fianco. Era un tipo che aveva stampato sulla fronte la sua diversità: soldi in tasca senza averli sudati, lavoro assicurato senza competenza, diletto senza fatica, ozio senza riposo. Il figlio di papà, nella lunga tradizione familistica italiana, è il raccomandato e appartiene a tutte le classi
sociali. Ogni mestiere ha il suo, ogni famiglia ne conosce uno.
Ora la politica ha inventato questo speciale tipo di raccomandatoche è il ripescato: un tizio che farà il parlamentare a prescindere. E’ più stronzo delle altre tipologie possibili perché è sfacciato, non ha nascosto la sua faccia di bronzo anzi ha avvertito tutti prima ancora che la gara iniziasse. Grazie a questa legge elettorale il ripescato veniva pre-giudicato, incasellato tra gli umani col sopracciò, i figuri che non sanno nulla ma devono insegnare a tutti. Con le pluricandidature era chiaro che la faccia di bronzo, qualunque fosse l’esito elettorale, l’avrebbe fatta franca. Non gli fregava della competizione, era escluso dal novero della conta democratica. O così o così. Un altro buon motivo per odiare all’infinito e oltre il Rosatellum.
La nuova (e sconosciuta) Italia
È un’Italia nuova e sconosciuta. Sono successe tante cose e tutte straordinarie e storicamente mai accadute: la rivolta silenziosa del Mezzogiorno che ha dato a un Movimento con alle spalle una sola legislatura, una messe di voti mai raccolta da nessuno, dal 1948 ad oggi. E sempre dal ’48 non si ricordava un fallimentocosì totale della sinistra. Sommando le percentuali di quella di governo (Pd) e quelle di opposizione (LeU e Potere al Popolo) si giunge a un risultato, il 25 per cento, che è sotto di dieci punti a quella che i politologi definirono la disfatta del Novecento (Pci e Psi al 35%). Il centrodestra ha i caratteri nazionalisti con venature anche razziste della Lega che fa cappotto al Nord e si mangia quel che resta di Silvio Berlusconi.
È un voto che sancisce la fine politica di Matteo Renzi e del signor B., la fine di ogni possibilità di un grande inciucio perché i due partiti sono stati declassati a comprimari. Un risultato così netto della protesta e così vivo nelle forme in cui essa si è esplicata (voto popolare al M5S e alla Lega) si riduce, grazie ai prestidigitatori della politica a una grandiosa polpettaavvelenata. La legge elettorale, congegnata in modo che nessuno potesse avere la maggioranza, costringe al caos, anzi infila l’Italia nel caos. I Cinquestelle sono il primo partito e a chi possono chiedere i voti, con chi possono allearsi? Se guardano a sinistra è il deserto. Il Pd ridotto al lumicino esprime nel gruppo parlamentare una quota quasi assoluta di fedelissimi di Renzi, il grande sconfitto. Tutti i voti che non si ritrova il Pd sono finiti a Di Maio. E tutti i deputati e i senatori di Renzi sono i grandi nemici del capo dei Cinquestelle. Guardare dall’altra parte, allearsi con la Lega sarà altrettanto problematico. Elettorati vicini nella protesta ma distanti nelle politiche. È impensabile coniugare il reddito di cittadinanza con la flat tax, a meno che non si voglia il default immediato delle casse dello Stato. Resta una terza opzione: governo di centrodestra con Salvini premier più transfughi dal centrosinistra. Ma il risultato della Lega è così imponente e l’alleanza con Forza Italia così fragile da far immaginare la fine di una coalizione che appariva e oggi lo è solo di carta. Vi domanderete: e dunque? Già, e dunque?
Il voto inutile: la capacità del Rosatellum di indebolire le scelte degli elettori
La tecnica legislativa disciplina un atto stabilendo i principi entro i quali si svilupperà il suo esito. In materia elettorale il voto, oltre che essere personale, libero e uguale, dovrebbe vedere garantita la volontà di chi lo esprime: voglio premiare tizio piuttosto che caio. Ma la tecnica può efficacemente derogare dal principio. Il Rosatellum è congegnato in modo da indebolire la forza del voto, al punto da renderlo inefficace, quindi inutile.
L’ipotesi che un partito o una coalizione produca consensi in grado di fargli ottenere una maggioranza di governo è stata minuziosamente sottoposta a una serie di misure ostruttive da renderla implausibile oltre che improbabile. Il Rosatellum dispone e teorizza il voto inutile, lo disossa di ogni vertebra costruttiva, lo dematerializza, lo virtualizza, lo rende ininfluente. Lo elimina cioè dal gioco della democrazia.
Invitare quindi al voto utile, quando la chiamata all’urna è stata progettata per essere largamente inutile, è riconducibile a una pura espressione teatrale. Andremo a votare senza la possibilità di una scelta decisiva e ci troveremo ciò che è stato previsto: l’esito inutile di una prova inutile.
Gentiloni e il caos predittivo
Caro Paolo Gentiloni,
ho letto e apprezzato la cortesia usata e lo stile della lettera che mi ha inviato per illustrare la sua candidatura nel collegio uninominale di cui sono elettore.
Se è vero, come lei dice anche oggi in un’intervista al Corriere, che questo è un voto decisivo, mi spiega però perché ha proposto e fatto votare, con ben otto fiducie e contro l’impegno che aveva preso di lasciar fuori la questione dal programma di governo, una legge elettorale che invece è congegnata per non decidere, per restituire al Paese un carnevale di quasi vinti?
Persino Denis Verdini, uno che ha molti più peli sullo stomaco della criniera di un leone della savana, aveva proposto un sistema più potabile (metà dei seggi attribuiti col proporzionale, metà col maggioritario e sbarramento all’1 per cento per consentire il diritto di tribuna alle minoranze) e più concludente.
Lo so, in tanti hanno fatto pressioni su di lei, e so anche che questo sistema è stato fortissimamente voluto e concordato con Renzi, Berlusconi e Salvini, quest’ultimo bravissimo a lanciare il sasso e nascondere la mano.
Ma aveva il dovere di fermarli, di spiegar loro che l’ingovernabilità è il male assoluto. Oppure – nel caso di diverso avviso – di spiegare a noi oggi che è molto meglio l’ingovernabilità che affidare il Paese a persone che ritiene dilettanti allo sbaraglio.
Nell’uno e nell’altro caso Lei però non può invitare a evitare il caos, che è purtroppo frutto dell’inchiostro della sua penna, dell’intelligenza dei quasi vinti, della resistenza di chi non vuol mai perdere.