Bersani è fuori, ora nomi nuovi

Stiamo ruzzolando verso le urne. Giugno, ora si dice. Un capitombolo ai confini dell’ignoto, una prova senz’appello di suicidio collettivo. Il vincitore, se mai dovesse accadere di vederne uno prevalere sugli altri, si troverebbe seduto sopra un cumulo di macerie. Pier Luigi Bersani dovrebbe guardare oltre la sua porta e la sua poltrona e valutare se non sia il caso, prima ancora di chiederlo a Grillo, di esibire un suo gesto di responsabilità. Come non comprendere che il proprio nome in campo, malgrado ogni buona volontà, edifica solo un muro di insulti, strangola la vita del Partito democratico dentro il rito consumato di una prova di forza inconcludente? Non è lo sconfitto che “stana” il vincitore di queste elezioni. E poi: perché mai il Movimento 5 stelle dovrebbe concedere la fiducia al capostipite dei suoi detrattori? Qual è la formuletta magica, la domandina finale: o così oppure a casa? Il tono padronale di questo aut aut, invece che ricomporre, allarga, dilata, chiama alla battaglia. Battaglia già persa, sconfitta annunciata. E se è impensabile per il Pd fare un governo della moralità pubblica col sostegno del più grande corruttore in circolazione, è indiscutibile che la sfida a cui è chiamato il maggior partito della sinistra è cercare, in ogni modo, un sistema che ponga l’Italia al riparo da una ulteriore prova elettorale che forse la manderebbe definitivamente in rovina. Servono occhi nuovi per guardare questo nuovo mondo. Esistono nomi di valore, personalità dal profilo adeguato a sollecitare nel variegato e caotico movimento grillino una riflessione, una prova di fiducia, magari tecnica, per segnare l’idea di un cambiamento possibile, da subito. Questo giornale ha già illustrato l’esperienza e le qualità di Stefano Rodotà. Altri, come per esempio Fabrizio Barca, potrebbero ugualmente essere chiamati a immaginare (servirà uno sforzo davvero creativo!) una via di fuga, una luce alla fine di questo tunnel.

da: Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2013

Elezioni 2013, cari (e)lettori, facciamo due conti?

Cari amici, utilizzo in queste ore in modo piuttosto intensivo lo spazio che ilfattoquotidiano.it mi mette a disposizione. Credo che la situazione politica e civile del Paese meriti però il massimo dell’attenzione e della riflessione.
Andiamo dunque per ordine.
Il capo dello Stato sta orientadosi chiaramente a incaricare una personalità al di fuori del Parlamento (si parla insistentemente del governatore della Banca d’Italia), che trovi sulla base del suo programma la maggioranza sufficiente per comporre un governo di emergenza. Delle quattro forze rappresentate, una è dichiaratamente indisponibile a farne parte. Una seconda, quella intorno a Monti, non ha i numeri per segnare col suo voto la tenuta dell’esecutivo. Non c’è altra scelta: Pd e Pdl dovranno votarlo.Continue reading

Etica e Internet, Stefano for president

Ha conosciuto la politica senza esserne mai sopraffatto e ha respirato l’aria del Potere senza venirne intossicato. Stefano Rodotà ha superato indenne questa prova da sforzo civile: entrare ed uscire dal Palazzo, conservando la medesima passione e riponendo fiducia nella sua condizione di perenne estraneità ai flussi magici del comando, alla trasmigrazione da poltrona a poltrona nella sua oramai lunga e densa vita nelle Istituzioni.
ORA CHE L’ITALIA conduce il grillismo al governo (o almeno nelle sue immediate vicinanze) e una intera classe parlamentare, in un modo caotico e per certi aspetti selvaggio, raggiunge Roma per possederla, dominarla e svuotarla dei vizi che la compongono e la fanno prosperare, spunta il profilo di questo professore di diritto civile per dare un volto possibile, plausibile magari è solo una suggestione – a questo nuovo mondo. Smilzo, dal tratto severo, ha frequentato l’elite divenendone membro, ha conosciuto il Parlamento finanche rappresentandolo, ha conosciuto i partiti, il potere, le cariche pubbliche. Senza perdersi mai però. Rodotà è uomo dalle virtù civili, in gloria ai tempi dei cosiddetti “in dipendenti” del Pci, classe sociale contigua ma non integrata nel comando di Botteghe oscure, e poi panchinaro della Repubblica durante il ventennio berlusconiano, quando invece una nuova antropologia politica ha preso il sopravvento e anche la sinistra si è adeguata promuovendo, nei passaggi che ne hanno scolorito identità e passione, figure nuove, a volte disastrose.Continue reading

Berlusconi, De Gregorio e il golpe contro Prodi

Siamo tutti così presi dalle vicende elettorali, e dai fuochi e dai fumi di Grillo e di Bersani, che abbiamo perso di vista la centralità di uno scandalo politico straordinario: l’acquisto, tramite comode tranche, del governo della Repubblica. L’acquirente, secondo l’accusa della procura di Napoli, è Silvio Berlusconi. Il percettore si chiama Sergio De Gregorio. Quest’ultimo ha confessato, e due giorni fa riconfermato, di aver ottenuto tre milioni di euro allo scopo. L’ha fatto per smentire l’affermazione di Berlusconi di essere stato indotto a millantare la corruzione pur di schivare il carcere. Lo stesso De Gregorio anticipò al Fatto Quotidiano il 16 dicembre scorso la sua intenzione di vuotare il sacco e avvertì, in quella intervista, anche Berlusconi: meglio che non ti candidi.
Chi ha assistito alla caduta del governo Prodi non cova dubbio alcuno: l’odore delle mazzette era nitido. Continue reading

Gli incazzati della porta accanto

DELUSI E DISILLUSI: NON VOGLIAMO TESTIMONIARE ORA VOGLIAMO GOVERNARE QUESTO PAESE
Fanno un po’ paura i ragazzi col giubbetto del servizio d’ordine. Sembrano infanatichiti dal loro destino di servitori del nuovo ordine: “Tu non puoi entrare, e stop!”. Fanno tenerezza invece i loro compagni e amici che raggiungono piazza San Giovanni con un sorriso e la voglia di cambiare ogni cosa, nel più breve tempo possibile. “Mi chiamo Paolo e vengo dall’Umbria e davvero non ne posso più. Ho votato Rifondazione per tutta una vita, adesso basta: mi hanno obbligato a cambiare strada”. Paolo ha 40 anni, e con lui Andrea e Gianni. In tre da Marsciano, convinti che questa è la volta buona: “Non vogliamo testimoniare, vogliamo governare”. La palingenesi, o qualcosa di simile. Sbuca questo popolo ed è pieno di buonumore. Galvanizzato, compresso come quei fucili a pallettoni: “Ciao caro, per te è finita!”. È lo slang grillino, nuova lingua che li accomuna per il nuovo mondo che li attende. Giulio e Maura, quarantenni disoccupati: “Devono andare tutti a casa. Aspettiamo lunedì: io ti dico che almeno il 25 per cento prenderemo. E vedrai che casino”. Casino, cioè caos. “Un momento, perchè ci dipingi così? Noi siamo gente perbene, io mi chiamo Francesco, sono di Arezzo, ingegnere informatico. Non vogliamo il caos ma il governo. Vogliamo go-ver-na-re”. “Piacere, Carmelo, sono una persona pulitissima. Sono candidato, lei vota?”.Continue reading

La mia guerra perduta

Ora che ci accingiamo a votare facciamo tutti il conto con la realtà, con le nostre angosce che sono purtroppo più delle speranze. Ieri ho dovuto assistere in piazza San Giovanni al più degradante spirito di obbedienza. Da Milano, diceva un giovanotto col giubbetto del servizio d’ordine grillino, era giunto l’ordine di selezionare i giornalisti per cittadinanza. I buoni dentro, i cattivi fuori. Buoni (gli stranieri) cattivi (gli italiani). Non era solo una buffonata, era (è) anche una grande vigliaccata, un colpo ferale alla dignità altrui, al rispetto del lavoro altrui e delle idee altrui. Dire che molti giornalisti sono stati collusi col potere è una grande verità che non sposta di un millimetro la questione fascista. Vietare, anche con la forza, l’ingresso è una fascisteria che in Europa adotta solo la Marine Le Pen. Quel ragazzo che diceva no ai giornalisti reggicoda del regime non sapeva, e non mostrava alcun interesse a saperlo, che centinaia di essi, parecchi perfino in quella piazza, sono onesti, hanno fatto sempre il loro dovere. Se Grillo ha iniziato a battere le strade sette anni fa, altri lo fanno da molto prima. Hanno denunciato prima, scritto prima, preso querele prima di lui. Non è una gara a chi è più figo, è la storia, sono i fatti che lo documentano.Continue reading

Anche a Vercelli qualcosa si muove

FINO A IERI È STATO UN INCROLLABILE FEUDO DEL BERLUSCONISMO, CON ACCENTI LEGHISTI: ORA QUESTA TERRA DÀ SEGNI DI STANCHEZZA


C’è un luogo, un punto geografico, dove il berlusconismo è insieme materia e spirito. È stile di vita, parametro essenziale nelle relazioni quotidiane, carburante indispensabile per l’avanzamento sociale. A Vercelli Silvio Berlusconi non ha mai perso da quando è sceso in campo. Non c’è turno elettorale che abbia visto incrinata la fiducia, non un singhiozzo, un colpo di tosse, un momento di defaillance. In vent’anni solo vittorie. E adesso? “Anche questa terra dà segni di stanchezza, nulla a che vedere con altre zone d’Italia però l’incrinatura è significativa, finalmente percettibile. Qualcosa persino qui succederà”. Siamo a casa di Giorgio Simonelli, esperto di linguaggio televisivo (insegna a Milano), ma in passato impegnato in politica, è stato segretario cittadino del Pd, partito minoritario per eccellenza. “Voglio troppo bene a questa città anche se è così immobile, ferma, chiusa al nuovo”. Vercelli è infatti stretta tra il riso e le zanzare. Piatta come un tavolo da biliardo, dà le spalle alle montagne e apre gli occhi verso la pianura padana che qui prende forma. Da queste parti votano e basta. Ciechi nella loro fedeltà, non hanno mai visto atterrare Berlusconi eppure lo amano, e non c’è scandalo che scalfisca l’ardore della comunità.Continue reading

Smotta la Seconda Repubblica e Grillo attacca i magistrati

Doveva capitare che Berlusconi e Grillo iniziassero a competere nella speciale classifica dei “perseguitati” dalla giustizia proprio durante la tramortente settimana delle mazzette, sequel che incrocia e riassume i destini della classe politica e di quella imprenditoriale in un mesto epilogo criminale. Merito di Grillo, questa volta, che da Ivrea si abbandona ad enumerare i processi pendenti sul suo capo: “Sono ottanta e Berlusconi da presidente del Consiglio ne ha 22 meno di me”. Il Cavaliere, sensibilissimo al tema, è scattato: “Non dica sciocchezze, ho 2700 udienze sulle spalle. Nessuno più di me”. Ecco fatto: primo e secondo. Grillo ieri ha aggiunto: “La magistratura fa paura”. Stessa frase che a scadenza regolare l’ex premier non ha mai mancato di pronunciare. Certo i due sono agli opposti e magari la prosa grillina, così densa di approssimazioni, era diretta a contestare questo modello di Stato, implacabile con i deboli ma distratto con i forti. Magari il comico spesso tramortisce anche oltre la propria volontà. Gli accade in ogni comizio, per via di un utilizzo smodato dell’iperbole. Grillo pratica la disinibizione verbale al punto di mettersi fuori anche dalla logica delle cose. Attacca la magistratura allo stesso modo di coloro che dice di combattere. È solo una coincidenza, ma c’è e da sola basta a far presagire un futuro pericoloso corto circuito.
PERCHÉ IN QUESTO cattivo tempo si sovrappongono, in un format oramai indistinguibile, volti di finanzieri arrembanti e capitani d’industria, politici di lungo corso e cravattari di periferia, banchieri collaudati e servi di Cristo. Milano, Siena, Roma, Bari: un tour delle manette segna i giorni che ci separano dalle urne. Questo enorme e diffuso deficit di legalità si somma però a una drammatica crisi economica e si espone a una ferocia di massa finora sconosciuta. La recessione ha condotto migliaia di cittadini a trovare insopportabile quel che fino ad oggi si sono rifiutati di considerare come tale. È quella stessa società immortalata negli anni del berlusconismo che si ribella. Oggi è rivolta. “Il Nord est non esiste più” dice Luca Zaia, presidente leghista del Veneto. Significa che lo smottamento di un intero popolo è in atto e si dirige prevalentemente verso il voto a Beppe Grillo, colui che più chiaramente coniuga alterità al potere, determinazione nella protesta e capacità pervasiva della rivolta sociale. Il ciak dalle piazze è già impressionante: a est come ad ovest è tutto un fuggi fuggi. Corrono da quale disgrazia? E soprattutto verso quale approdo? Sembra pacifico: fuggono via da uno Stato esattore e corrotto, sentono il peso dello spreco e dell’in giustizia sociale come una bomba ambientale che mina la loro vita e quella delle proprie famiglie. Contestano l’immoralità della classe politica. È il peso dell’illegalità a condurli verso Grillo. Invece ieri il leader del Movimento 5 Stelle riposiziona il suo popolo e lo mette in marcia contro i palazzi di Giustizia.
DOPO IL VOTO cambieranno volti e biografie di decine e decine di parlamentari. Palazzo Madama e Montecitorio saranno abitati da inquilini che non avranno esperienze politiche. Sarà cospicuo il numero degli esordienti che gli studiosi di flussi elettorali illustrano come trasversali e mobili nella loro dislocazione ideale. Chi viene da sinistra, chi da destra. Chi è imprenditore e chi studente. Molte donne, molti giovani, molti laureati, secondo le analisi sulle candidature selezionate. L’ingresso di tanti cittadini senza potere nel palazzo del Potere promuove un cambio d’aria benefico per la democrazia, perchè trova persone libere e non già soggiogate dagli apparati e dalle gerarchie. Serviranno però idee da coniugare alla libertà e soprattutto servirà che il leader non eletto (Grillo ha scelto di non candidarsi) abbia chiaro che il suo potere già ora è tale da avergli cambiato i connotati sociali: da uomo comune, benché famoso, a potente. E ieri, magari sovrappensiero, ha appunto fatto un discorso tipico della famiglia allargata dei potenti: guarda che ci sono anch’io, e non permetterti di toccarmi…


da: Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2013

La poltrona che si svuota e ne mette in bilico altre tre

È l’evento choc per eccellenza, la tempesta perfetta si abbatte sulla campagna elettorale svuotandola di ogni carisma e capacità pervasiva. Le dimissioni di papa Benedetto sono un gesto di tale portata rivoluzionaria, perché uniche nella storia degli ultimi otto secoli, che di per sé valgono a coprire e annullare mediaticamente nel mondo ogni altro tipo di evento pubblico. Figurarsi in Italia, la cui Capitale è sede del Papato, con quanta forza una scelta così contro corrente si svilupperà dividendo oltre le gerarchie ecclesiastiche anche la società civile. La campagna elettorale perde anzitutto il primato della visibilità televisiva proprio quando tutti i protagonisti politici – eccetto Beppe Grillo – destinavano alla televisione, l’unico media capace di trasformare le simpatie in voti, ogni interesse e ogni utile approdo. Proprio l’amatissima televisione in questa circostanza è divenuta l’unico sportello informativo, l’unico e ultimo palco per i comizi.Continue reading

La7, Cairo: “Se me la vendono, Santoro e Mentana non si toccano”

L’imprenditore piemontese si difende dall’accusa di essere un ‘piccolo Berlusconi’: “Con lui ho rotto 20 anni fa. Sono un editore e vendo pubblicità. Quelli di Telecom mi conoscono”. E intanto chiede un aiuto al venditore, chiedendogli di finanziare parte dell’acquisto


Urbano Cairo è il più probabile acquirente de La7, e già in queste ore potrebbe divenirne proprietario. I tratti del suo carattere, sempre gioviale, sono a volte rumorosi. È ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio: ha proposto al venditore di finanziargli in parte l’acquisto. Ha ottime amicizie sulle spalle. L’appuntamento con lui è al caffè Sant’Ambreus, dietro piazza San Babila.
“Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il berluschino che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. Va a finire che a furia di dire certe cose ci crediate voi e qualcun altro, perciò sento il bisogno almeno di illustrarvi la mia vita. Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. Continue reading