“Nel cibo c’è il destino della democrazia”

Si possono illustrare le ingiustizie del mondo, denunciarne le violenze e anche valutare i crimini del capitalismo partendo da una caciotta. Carlin Petrini è – tra i pensatori del nostro tempo – colui che con più convinzione ha collegato la terra allo scheletro umano, la vita delle sementi alla nostra intelligenza o alla nostra devianza. Ha cioè connesso ciò che mangiamo, e come lo mangiano, con quel che siamo, che pensiamo. E se moriamo di fame, se migliaia di umani muoiono per fame, malgrado cinque miliardi di tonnellate di cibo finiscano ogni anno tra i rifiuti, consumando con le discariche altra terra, è il frutto di una scelta consapevolmente assassina.
Carlin, la caciotta è l’emblema di quanto siamo ignavi, votati al fallimento, alla disperazione.Continue reading

Peggio di Alemanno non c’è nessuno

Si può essere scettici perché questi tempi giustificano il timore che ci si imbatta di nuovo in una promessa farlocca, nel classico dico e non faccio. Si può dunque dubitare, e anche legittimamente, delle promesse di Ignazio Marino di cambiare il volto dell’amministrazione capitolina, una macchina gigante di produzione del consenso e dello spreco, parentopoli perenne in cui legami familiari e correntizi sporcano ogni iniziativa. Non si può però fare confusione tra lui e Gianni Alemanno. Si prenda la biografia di ciascuno, il senso dell’etica e persino il livello degli infortuni occorsi per avere sotto gli occhi la distanza siderale che separa il primo dal secondo. La giunta Alemanno ha mostrato un tale ragguardevole score di insuccessi e di immoralità da restare senza fiato. Continue reading

Carlo Verdone: “Roma, zozza e derubata Spero migliori qualcosa”

Era il 1998 e a Carlo Verdone venne in mente di fare il sindaco di Roma. “Scrissi la sceneggiatura di botto. Un quarto d’ora ed ero pronto alla discesa in campo”.
Il manifesto programmatico: Affida la città a chi ha sofferto.
Un mezzo bullo, sicuramente mitomane e una netta inclinazione all’esibizionismo. I politici, mi sono accorto poi col tempo, hanno un piacere assoluto nella mitomania, che è una pura devianza dell’intelligenza, una cosa da psicanalisi, una questione evidente di regressione fantastica, estrema necessità di stupire ed esibirsi.
Gli italiani sono affascinati dai mitomani.
Gli italiani, lei dice. È un Paese così disunito, strano, distinto. A una parte di italiani il mitomane affascina, l’eccentrico fa proseliti, il miliardario conquista simpatie chiama all’emulazione, produce milizie che ingaggiano una lotta col destino per divenire ridens e pieni di banconote. Hanno un bisogno patologico di una suggestione forte, eccessiva.
La politica ha superato il suo cinema, la curva estrema dell’impossibile.Continue reading

Alemanno-Rocky, titoli di coda dai Cesaroni

È venuto sudato e s’è seduto nell’angoletto. Che gli dici? Gnente. Posso avere un’aranciata? Eccote l’aranciata. M’è venuto il pensiero che era meglio che se n’annasse, per lui era meglio s’intende, ma come fai a dirlo, è pur sempre er sindaco. Tempo cinque minuti e c’era casino. Solo parole però. D’altronne ‘sto quartiere se chiama Garbatella e mi’ nonno era un grande comunista”.
GAETANO MONTINI è il titolare del bar I Cesaroni, divenuto il set romano più famoso e più amato d’Italia per via dell’epopea televisiva che oramai da cinque anni anni cattura – grazie a Mediaset – quantità costanti di teleutenti radunati in salotto nel prime time, la fascia serale tanto cara alla pubblicità. Questo bar è stato il teatro della tragedia elettorale di Gianni Alemanno. Tempo fa quassù, sul cucuzzetto che scivola nel traffico dell’Ostiense, anche Silvio Berlusconi è venuto a fare una capatina. Ma di mattina presto e in solitaria. Serrande appena alzate, il Cavaliere che non lascia l’auto e guarda il bar a distanza di sicurezza. Continue reading

Ascolto il tuo cuore, Italia dimenticata

IL VIAGGIO DI FRANCO ARMINIO TRA LE MISERIE E LA NOBILTÀ DELL’APPENNINO CENTRALE

GEOGRAFIA COMMOSSA DELL’ITALIA INTERNASono frammenti di cuore e d’amore, richieste d’aiuto, note dell’animo. Lui seziona le vedute, ritaglia una porta, un camino, un foglio di carta, un filo d’erba. Franco Arminio opera come un grande chirurgo dell’abbandono, scrive dell’Italia desolata e perduta, sconfitta dalla metropoli, piegata dalla vecchiezza eppure saggia, orgogliosa, coraggiosa. È l’invincibile guerriero dell’Italia interna, quella che si mantiene lungo i fianchi dell’Appennino centrale, che segna con la sua povertà l’osso dell’Italia. Arminio ha il quartier generale nella sua Irpinia, l’Irpinia d’oriente, a cavallo tra Puglia e Campania, tra campi di grano e pale eoliche. Ed è da lì che parte sempre per descrivere l’abbaglio modernista, il luogo comune del progresso, della civiltà. Questo suo ultimo libro, Geografia commossa dell’Italia interna, conclude un meraviglioso viaggio iniziato con Terracarne dentro il buco nero della memoria. Franco è un meridionale e trova ispirazione, forza espressiva e vena poetica quando si incammina per le strade del Sud, quando trova, specialmente tra i calanchi lucani, ciò che desidera: vicoli bui o aperti al cielo, alla luce. Territori scomposti e sconosciuti, vite perdute o solo affamate di un futuro migliore. Sembra poesia, elaborazione espressiva, uso virtuoso delle parole, ed invece è protesta civile, denuncia formale di come noi italiani sappiamo bruciare il ricordo, costringere la nostra vita nei cubi di cemento armato delle periferie senza aver provato, e sopportato, l’altra vita: quella del paese, la comunione delle esistenze.Continue reading

Roma al ballottaggio. Rincorsa del taglianastri

IL PONTE DELLA MUSICA È GIÀ ALLA TERZA INAUGURAZIONE. QUESTA VOLTA IL SINDACO E I VIP SONO LÌ PER L’INTITOLAZIONE A TROVAJOLI
Un filo d’erba, un tronco d’albero, due metri di rotaia di tram, il cancello del cimitero, mezzo ponte, l’asfalto nuovo o – in mancanza – anche solo una toppa di bitume. In campagna elettorale è tutto un fremito inaugurale, una fanfara felliniana che scivola via da un luogo all’altro, una truppa plaudente e peripatetica estasiata, convinta, col cuore gonfio di premure e di gratitudine. Anche stasera, e per nostra fortuna, si inaugura qualcosa. In campagna elettorale le città infatti rifioriscono di nuove opere mai viste prima, e andare al ballottaggio significa godere di quel di più, vedere ciò che non si è visto, e ogni sera fare “ohhhh”, perchè un altro sogno si è avverato. Roma è la più fortunata di tutte. Siamo al Ponte della Musica, che è un gran bel pezzo architettonico, e ci sembrava che fosse stato già inaugurato non una ma due volte. Però stasera è diverso: oggi quel ponte anonimo, bianco fuscello di ferro che congiunge il Tevere appena dopo i circoli nautici, ha un nome: Armando Trovajoli. Al grandissimo musicista si leva una targa grazie al laborioso impegno sulla toponomastica di Gianni Alemanno, il sindaco che ha fortissimamente voluto la targa (l’opera è farina del sacco di Rutelli ma non è il caso ora di ricordarlo). Continue reading

Roma: Marino primo Alemanno insegue, gli elettori scappano

NELLA CAPITALE BALLOTTAGGIO TRA I FAVORITI (MA MANCANO ALL’APPELLO MEZZO MILIONE DI VOTI)
Colpisce il numero della grande diserzione: cinquecentomila romani hanno lasciato a casa la tessera elettorale. Ed è risultato perfetto, nella sua conseguenza, lo slogan del vincitore, Non è politica. È Roma, che trascina a una vetta praticamente insuperabile, oltre il 40 per cento dei voti, Ignazio Marino, solitario cercatore d’oro, appiedato dal suo partito e perciò – forse – agevolato nell’impresa. Colpisce, prima ancora della disfatta di Gianni Alemanno, il capitombolo del Movimento 5 Stelle che ruzzola all’ingiù restituendo all’Italia l’immagine di un gruppo politico caotico, più parolaio che costruttore di sogni, incapace di tradurre la voglia di cambiamento in qualche segno visibile. Grillo lascia a casa la metà dei voti che due mesi fa aveva ottenuto e il suo leader capitolino,Marcello De Vito, si conferma gregario senza speranza. Il risultato, una piccola catastrofe, è ricondotto nei binari della normalità da De Vito: “Nulla di drammatico”. Invece, forse, qualcosa è successo.Continue reading

Roma, in pochi vanno in piazza per sentire i candidati sindaco

MEZZA VUOTA QUELLA DI ALEMANNO, ENORME (RISPETTO AL PUBBLICO) QUELLA DI MARINO. SI SALVANO SOLO I CINQUE STELLE E MARCHINI


Roma non ha fatto la stupida stasera. Non ha piovuto. Certo fa il freddo d’ottobre e già tutti i maglioni sono traslocati nell’armadio, “e con questa camicetta come fai?, non gliela facciamo più ad aspettare”. Marisa e Lina sono venute a San Giovanni ma si arrendono alla brezza gelata. È la prima fuga dalla prima delle quattro piazze che si rifiutano di riempirsi malgrado abbiano sistemato il castello gonfiabile con gli scivoli e topolini sorridenti e bambini al centro del prato, con gli stand a stringere l’inquadratura. “Macchè, siamo pochi stasera”. La mestizia con la quale Simone porta la sua bandiera non cancella l’amore meraviglioso che ancora lo costringe ad essere qua, nonostante il dolore. “E quando vi vedo in televisione, voi del Fatto, mi viene paura perchè ci date tante legnate. Non conto niente ma anch’io le sento addosso perchè il partito è la mia famiglia, papà si chiamava Palmiro. Continue reading

Potere all’ombra del Colosseo. Filosofia Bettini: senza i costruttori dove vai?

La pancia di Goffredo Bettini contiene tutta la sinistra romana. È il depositario di ogni accordo che su Roma, ai suoi lati (potremmo dire ai suoi fianchi) negli ultimi vent’anni si sono conclusi. È un uomo di potere intelligente, ama i libri, ha amato il Pci fino a patirne fisicamente la scomparsa (“mi venne la depressione e durò tre anni”). Ama la classe operaia ma gli ispira tanto stare al fianco dei costruttori. Discepolo di Berlinguer, amico di tutti i Caltagirone della capitale, ha fatto e disfatto sindaci e giunte e ha dato la spinta necessaria a Ignazio Marino, l’ultimo prescelto. Ritrovarlo con la maglietta della salute e la barba di qualche giorno nel salottino della casa “che divido con una famiglia marocchina in difficoltà”, e l’aria dell’osservatore partecipe ma sfaccendato è insieme utile e singolare. “Ignazio sarà un ottimo sindaco. Ha dato prova di grande spessore etico, è un Argan della scienza, un bel tipo”.Continue reading

Walter, ma non potevi dirlo prima?

L’ottimismo resiste a ogni dubbio come quei pesci gatto che in acqua spazzolano ogni cosa e affamano ogni competitore. Letto dalla parte di chi sfida i compagni a ritrovare la passione sopìta le idee perdute le battaglie da fare e le parole da ricordare, il pamphlet che Walter Veltroni manda oggi in libreria (E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei, Rizzoli) è un abecedario utile, un memo da tenere sulla scrivania. Aprirlo e riaprirlo per ricordare le ragioni che fecero nascere il Pd e poi i motivi che hanno reso quella sigla deformata, decomposta, inutile. Procedendo all’inverso il libro raccoglie il plurimo fallimento di intere generazioni di dirigenti per le quali Veltroni è stato leader e anche, a suo modo, profeta. Oggi, lui scrive, è tempo di ripartire e trovare attraverso nuove parole la costruzione di un senso, di una rotta. Veltroni affronta nell’introduzione, appena presa tra le dita la biro, ogni eventuale malanimo circa le sue intenzioni: non ha scritto il libro per ritornare in campo, non vuol rifare il segretario del Pd, non desidera promuovere un suo bel castello di potere. Deve scriverlo, purtroppo.Continue reading