LA VITA IN TUNISIA NEL 1994 CON LA MOGLIE. LUI SPIEGÒ: “QUI CI SONO SERPENTI, SCIACALLI E QUALCHE VOLPE, MA I CONIGLI SONO IN ITALIA”
Era una strada sterrata che si inoltrava verso la campagna, meno di un chilometro, ornata ai lati da maestosi fichi d’India e piccoli cumuli di immondizia. C’era un carrozziere, un venditore annoiato di arance, un’officina meccanica zeppa di vecchie Peugeot da riparare. “Potrebbe essere a Parigi o ad Hammamet. Tu vai in Tunisia”mi disse il caporedattore di Repubblica, il giornale per cui lavoravo. Bettino Craxi era sparito qualche giorno prima che il Gip di Milano Italo Ghitti, accogliendo le richieste della Procura, gli imponesse il divieto di espatrio. Il passaporto perduto è l’unica connessione dolorosa che lega Silvio Berlusconi al suo primo tutore politico poi ripudiato per convenienza (e forse per necessità). Silvio ha scelto di rinchiudersi a nord, nel recinto imponente della villa di Arcore. Bettino volò invece verso sud dopo un intermezzo parigino. Differente lifestyle. Il grigio metallurgico meneghino contro il bianco splendente; la pioggia ricorrente della Brianza invece che il sole luccicante dell’Africa del nord. Sfarzosa la residenza del Caimano, essenziale quella del Cinghialone. É vero, con la C iniziano pure i nomi della loro seconda vita, quella da “perseguitati” dalla giustizia.Continue reading
Il voto segreto su B? Il Pd teme i killer che colpirono Prodi
DELRIO AVVERTE: “SE CI DIVIDIAMO SUL DESTINO DI QUELLO SIAMO MORTI E SEPOLTI”. FASSINA: “IL SOSPETTO È INEVITABILE”
La paura è che questo partito possa di nuovo debosciarsi. Tradire e tradirsi. Come un alcolista che malgrado gli sforzi cade nel vizio. Il terrore è giungere a metà ottobre al punto di non ritorno: contarsi ancora una volta nel nome di Silvio Berlusconi. Provare a essere rapiti persino nella valutazione della sua condanna. Essere trascinati nell’aria zozza di chi pugnala alle spalle, di chi vende l’onore altrui senza la forza di consegnare alle stampe il proprio viso. È il terrore di annotare, nel buio fitto del voto segreto, il numero di chi ha osato dire no alla decadenza. “Posso garantire la nostra determinazione, e la puntualità con cui la Giunta emetterà il suo verdetto. Lei però mi parla del dopo: dell’aula del Senato, dell’ipotesi che il voto da palese divenga segreto e che la segretezza porti quella robaccia con sé. Il Pd ha conosciuto i 101 che hanno votato contro Prodi, quindi la possibilità esiste, anche se il rischio è remoto. Temo, certo che sì”. Tremano tutti, e anche a Felice Casson, che è stato un giudice integro e oggi resta il teorico della linea della fermezza, tocca ponderare l’eventualità che Berlusconi sia così abile e così spericolato da condurre il Pd e grappoli di senatori di ogni altra foggia e misura (da Scelta civica ai terribili grillini) a condurlo alla salvezza, portarlo nella nebbia fitta e da lì fuori pericolo.Continue reading
No Olimpiadi, no grandi eventi. All’Italia servono le piccole manutenzioni
Proiettato oltre i confini della ragione il premier Enrico Letta segna l’orizzonte del riscatto: l’Italia alla conquista della candidatura per le Olimpiadi del 2024. Dico subito che l’unico apprezzamento che sento di ricordare e riconfermare a Mario Monti è stata la sua decisione di negare alla città di Roma, indebitata fino al collo, di spendere altri milioni di euro per candidarsi alle Olimpiadi del 2020. Se non ricordo male il piccolo Letta era tra i grandi sostenitori del governo Monti, e un pizzino consegnato nelle mani dell’allora premier (e intercettato dai fotografi a Montecitorio) confermò l’amore vero, totale per il governo del Professorete: “Ritienimi a tua completa disposizione”.
Oggi quel Letta ha nuovi amori e non ricorda più che i grandi eventi hanno massacrato le casse pubbliche e sviluppato una lunga teoria di malversazioni. L’Italia è ammalata di opere faraoniche e incompiute, di progetti costosi e inutili. Il mare tra Scilla e Cariddi ha inghiottito circa un miliardo di euro grazie al fantastico progetto del Ponte sullo Stretto, oggi seppellito. I Mondiali di nuoto hanno lasciato a Roma cadaveri milionari, scheletri di cemento, piscine mai entrate in funzione, stazioni ferroviarie destinate all’abbandono, alla ruggine, ai vandali. Abbiamo prodotto la più orrida mistificazione, erigendo a La Maddalena un monumento alla ignavia nazionale, una frode continuata alle nostre tasche in nome del G8. Siamo stati capaci persino di bruciare 18mila euro per l’acquisto dei posaceneri (posaceneri, si!) a L’Aquila per l’orrida messa in scena del vertice internazionale sul luogo della morte e del dolore.Continue reading
Non solo Ignazio. Prodi, Pisapia e Pitonessa: il partitone delle due ruote
Chi va in bici non pedala soltanto. Documenta col suo sudore la resistenza alla fatica, la tenacia con cui affronta la risalita, la tempra da combattente. Il ciclista con il suo giro d’anca non fa solo sport, non passeggia e gode ma denuncia i vizi della città, le devianze cafonal, lo spartitraffico interrotto, la criniera di una fabbrica abusiva, il mare sporco, la costa sciupata. Il ciclista non è solo un pedalatore ma un predicatore itinerante. Con le sue ruote, e a volte anche la borraccia e il casco anticadute, propone un modello, un’idea, uno stile di vita. E se il ciclista è un politico la forza espressiva del suo agire si duplica, si espande, si fa ideologia, totem. Cosa sarebbe stato Romano Prodi senza bici? Meno della metà di quello che è. La bici è stato il suo partito, con la bici ha traghettato l’Italia verso l’Ulivo, lui davanti sempre gli altri dietro. Continue reading
Li chiamavano rottamati, l’alfabeto dei convertiti a Matteo
Pier Luigi Spompo no, ma Nico Stumpo? Chi potrà negare anche a un fedelissimo dell’ex capo Bersani – appena ritargato da Renzi come signor Spompo (da spompato, consumato, diesilizzato, dunque finito), come Nicola il calabrese, pancia dell’apparato del Pd, calcolatrice vivente di Pierluigi, una improvvisa ma legittima crisi di coscienza? Se persino la F di Fioroni si rialloca e si riadegua, con la V di Veltroni già stabile e posizionata a fianco di Matteo, e la D di D’Alema, dopo un periodo interrogativo (“Volevo conoscere che libri leggesse, quale fosse il suo pensiero. Non l’ho capito”), sembra essersi adagiata nei pressi del sindaco, sta per concludersi la più riuscita operazione di salita sul carro. Con le migliori o peggiori intenzioni, la fila indiana s’ingrossa e il carro già è diventato treno. Tempo qualche settimana che sarà bastimento e per Renzi il Sol dell’avvenire s’alzerà dietro casa senza un filo di nebbia o una nuvola a fargli ombra.
NON SARÒ Brontolo e non voglio il partito dei sette nani”, assicura lui. Continue reading
Hanno chiuso pure la stazione di Einaudi
ULTIME TAPPE DEL GIRO LUNGO LE FERROVIE ABBANDONATE: DA DOGLIANI, DOVE IL PRESIDENTE ASPETTAVA IL CONVOGLIO PER ROMA, ALLE 25 LOCOMOTIVE COMPRATE PER I SARDI E DISTRUTTE A BARI. PASSANDO PER LE DUE STORICHE TRATTE, FANO-URBINO E ORTE-CIVITAVECCHIA, UCCISE DIVIDENDO ANCORA DI PIÙ L’ITALIA
Se Garibaldi è fermo a Marsala, con il ricordo della spedizione seppellito dall’incuria e la sua statua divenuta un arbusto di indegnità dentro il recinto di soldi buttati in un cantiere sequestrato dalla magistratura, il treno che aspettava Luigi Einaudi a Dogliani e lo conduceva a Roma è sparito, la stazione sigillata, i binari prepensionati.
Le Langhe hanno conservato il barolo, ma perso la strada ferrata. L’alluvione nel Piemonte del 1994 spezzò la linea Torino-Savona tra Bra e Mondovì e immediatamente il governo stanziò i milioni di euro necessari per il ripristino della tratta, con le necessarie opere di risanamento idrogeologico. Impegni altissimi e concreti. Infatti i soldi vennero dirottati altrove, servirono (forse) a formare un bel gruzzolo per dare alla cittadina di Asti la sua tangenziale (450 milioni di euro), lasciando alle corriere singhiozzanti tra le curve collinari il diritto unico di trasportare persone e merci. “Andavamo in Liguria, il nostro mare, col treno e in città, a Torino, in treno. Il treno non è solo un vettore ma un connettore di comunità, un serpente che striscia e accompagna lo sviluppo di una intera zona. Mio nonno era ferroviere. Fu il primo comunista, il primo a scioperare e il primo a essere licenziato”. Mangiare a Pollenzo nella serra creativa di giovani cuochi di ogni cultura e latitudine – c’è qui il corso di laurea in Scienze gastronomiche – restituisce a Carlin Petrini il senso di una epica sfida globale (la forza rivoluzionaria della tavola come produttrice di sostenibili stili di vita e di consumo della terra) ma lo consegna, con il ricordo delle rotaie sparite, alla precarietà della provincia, all’asfalto che conquista la sua terra e alla terra che perde se stessa. Il treno ha fieri oppositori, alcuni anche illuminati, come Marco Ponti, esperto di trasporti. Parla con la calcolatrice in mano: “Fare andare un treno locale costa circa tredici euro e cinquanta centesimi a chilometro, contro i 3,3 dell’autobus. Esattamente un quarto, senza tener conto dei costi per l’infrastruttura (stazioni, passaggi a livello, deposito dei treni, ecc.) che incidono tanto di più quanto meno treni percorrono la linea. Un autobus porta senza problemi cinquanta passeggeri, un treno locale 250 o più. Quindi se in una certa ora ci sono in media 200 persone che prendono il treno, costa di meno allo Stato fornire 4 autobus all’ora, anche gratis. E si possono avere anche orari più comodi, e servizi più capillari”.Continue reading
I 101 che fecero fuori Bersani
E PURE PRODI. L’EX SEGRETARIO: “IN AZIONE UNA SALA MACCHINE”. I RICORDI DI ALCUNI NOTABILI DEMOCRATICI
Ci fu una regia, più mani che insieme costruirono una “sala macchine”nella quale si congegnò l’ordigno per far fuori Romano Prodi dal Quirinale e Pierluigi Bersani dal Pd. Con quel che ne è seguito e che nel disegno era evidentemente pianificato: la richiesta di un supplemento di presidenza a Giorgio Napolitano e la cooptazione di Silvio Berlusconi al governo, il timbro del nuovo corso, delle grandi intese, della “cooperazione” tra gli opposti per la salvezza del Paese. C’è un po’da sussultare nella verità che Bersani, il protagonista sconfitto, elargisce, facendosi cadere le parole dalla tasca, sul finire di un’intervista a Repubblica. Parla di questa sala, e offre limpida l’immagine cruenta di un putsch, un complotto per cambiare il corso della storia, sovvertire, con un accordo segreto, la linea ufficiale. È dentro il Pd che bisogna indagare, andare ancora più a fondo, sembra dire Bersani, verificare fino a che punto si sia spinta l’intelligenza col nemico, i dettagli dell’accordo, la stesura del compromesso.Continue reading
Cécile, il ministro espiatorio del governo Letta
Non passa giorno senza che Cécile Kyenge, ministro dell’Integrazione, venga fatta oggetto considerazioni di vario e chiassoso razzismo. È bersaglio naturale, destinazione attesa e insieme occasione imperdibile per liberare chili di rancore e individuare nel turpiloquio la difesa dell’identità nazionale. Questo giornale non ha mai mancato (né lo farà in futuro) di segnalare e denunciare l’inciviltà, l’aggressione a volte squadristica e insieme segnalare la dignità con cui la ministra rintuzza le provocazioni e le parole d’odio. Se però andiamo alla radice della questione, la scelta di affidare a una immigrata il ministero dell’Integrazione acquista, al fondo, un sapore ugualmente sospetto. È una decisione, malgrado ogni buona intenzione del premier, che rasenta – per paradosso – il confine sottile di un atto intimamente e inconsapevolmente ghettizzante. Fa domandare: perché proprio a questa signora emiliana, cittadina afro-italiana, di professione oculista, è toccata in sorte la cura della più drammatica delle emergenze civili del nostro tempo? Continue reading
Garibaldi è ancora fermo a Marsala
L’EROE DEI DUE MONDI ASPETTA IL MONUMENTO ALLA SUA IMPRESA DAL 12 MAGGIO 1860, IL GIORNO SUCCESSIVO ALLO SBARCO DEI MILLE IN SICILIA. TERRA DOVE È TUTTO FERM O, A COMINCIARE DAI TRENI: DA CASTELVETRANO A PORTO EMPEDOCLE-AGRIGENTO LE STRADE FERRATE E LE STAZIONI SONO ORMAI ABBANDONATE DAL LONTANO 1986
La stazione di Alcamo è un bel covo di rondini. Lasciata in territorio franco, una campagna aperta e assolata, è stata presto conquistata dall’aria e dalla terra agli animali. Le rondini hanno deciso di realizzare nel salone desolato e lungo la pensilina defunta una piattaforma mediterranea di partenze e arrivi, una centrale demografica della loro specie, un sistema di cure per volatili infermi o affaticati, per gli appena nati, rondini-baby bisognose di attenzioni. Da terra, i cani randagi presidiano la piazzola d’ingresso in un via vai impressionante, un traffico di bocche affamate e assetate, meste testimoni dell’inoperosità dell’uomo. C’è, è vero, un capostazione. È solo al comando. Qualche vagone ancora parte, direzione Palermo. Quanti viaggiatori si affaccino fin quaggiù è questione aperta al mistero.
La ferrovia va a scartamento ridotto, i treni la raggiungono quando possono, come possono. Meglio l’auto o, naturalmente, il bus. La costa meridionale della Sicilia occidentale è un lungo, impressionante binario morto. Ramo secco non solo la ferrovia, ma gli arbusti, i terreni, le case, i paesi e le città. Limpida metafora dell’inutilità, della superfluità, di un’Italia da mandare in cantina, sotterrare alla vita civile, lasciarla deperire, mortificare, annullare in un’agonia disperata. Non c’è Stato quaggiù. Ed è così visibile l’assenza di un ordine che la bellezza straripante della natura riesce a malapena a mitigare lo sforzo della classe politica di rendere inospitale un’esposizione universale della cultura classica e di quella araba, incrocio formidabile di conquiste, terra da sbarco, terra da guerre e di fede. Di là c’è Marsala, e i Mille di Garibaldi. Ma prima, verso Calatafimi, il treno dei desideri, se solo ci fosse, ci condurrebbe a Segesta, antica città dorica. Il suo magnifico tempio domina la valle e alla sua ombra è defunta la ferrovia. Roba vecchia, inutile, dismessa. Non c’è nulla che funzioni più, l’ultimo treno è passato da qui il 25 febbraio di quest’anno. “Allontanarsi dai binari, treno in transito”: è il nastro registrato che continua a fare imperterrito il suo lavoro. “Si avvertono i signori viaggiatori”… Si piange o si ride?Continue reading
Dove le ’ndrine si sono mangiate anche i treni
DELLA MEGA STAZIONE DI COSENZA RIMANE SOLO IL PARCHEGGIO INTERRATO RIDOTTO A PICCOLA DISCARICA URBANA, L’ATRIO DESOLATO E LA LITTORINA DIESEL CHE ASPETTA DI PARTIRE VERSO IL NULLA. IN DIREZIONE CATANZARO SOLO POCHE FERMATE POI BISOGNA LASCIARE IL CONVOGLIO PER SALIRE SULLA CORRIERA SU GOMMA
A Cosenza la stazione ferroviaria è divenuta una escrescenza, un abuso, un punto dell’anoressia sociale. I treni si sono ridotti al punto da sostenere il traffico delle poche tratte locali, lo scalo merci è chiuso, chi deve partire di certo non ha cuore di mettere piede qui dentro. Resistono due tassisti sotto il sole di luglio. Il primo ha sistemato una poltroncina di tela sul marciapiede. C’è da aspettare molto e da avere fede nel prossimo. Chiesero allo studio Nervi di progettare questa stazione, e farla grande, importante. Infatti furono spesi tanti soldi, e al solito, oggi, di quei soldi restano grandiosi vuoti tecnici. Il parcheggio interrato ridotto a piccola discarica urbana, l’atrio desolato, la littorina diesel che aspetta, afflitta e sola, di partire verso il nulla. Hanno chiuso ogni speranza ai binari, tutti hanno l’obbligo di viaggiare su gomma attraverso le strade interrotte, le frane ricorrenti, i lavori in corso. Bisogna fare la fila, stare in fila anche qui, anche in questo territorio che non conosce metropoli, ma solo affari metropolitani.Continue reading