La città lucana si prepara alle iniziative per l’anno europeo 2019, ma sull’unico palco cala il sipario (e tra poco si vota)
La paga del giudice: “Me lo merito un Rolex? Mi piace”
ANTONIO LOLLO, DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE DI LATINA, ARRESTATO SETTIMANE FA CON MOGLIE E SUOCERA CONFIDA NELLE INTERCETTAZIONI LA SUA PASSIONE PER GLI OROLOGI
Me lo merito un Rolex?”. Ancora: “Vado a vedere un po’ di Rolex per Antonia”. E tre: “Vuoi prendere il Daytona?” E quattro: “Ma un orologio, ti prego, prendilo tu”. E cinque: “Un Nautilus mi piace molto di più”. E sei: “Mamma mia che bello, segna le fasi lunari, il quadrante è blu, vero? Sono eccitato”. E sette: “Mi scoccia darle il Royal Oak (un Piguet ndr)”.
L’amministratore delegato di Rolex non si affligga, ma il migliore testimonial della portabilità, dell’eccellenza e della qualità dell’investimento da polso si chiama Antonio Lollo, 46 anni, nato e residente a Latina, capelli lunghi, dall’aspetto ambivalente: preso da destra assomiglia al cantante Gianluca Grignani, solo un po’ più pienotto, da sinistra è goccia d’acqua di Marzullo, ma meno crepuscolare. Sportivo e perennemente coperto da una selezione di aromi profumati, scia chimica che avanzava prima di lui e segnava il suo passo.
“Qui abbiamo mosso un milione”
L’apparenza inganna però. Il dottor Lollo fino al 22 marzo scorso è stato giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Latina. Uomo di diritto ma, come vedremo, soprattutto di rovescio. “Qua abbiamo mosso un milione di euro, tra un cazzo e un altro”. Tra un orologio e un altro, un braccialetto e un altro, un viaggetto e un altro, un fallimento e un altro, Lollo e il suo complice, il commercialista Marco Viola, hanno raccolto un po’ di quattrini. E hanno bisogno di spenderli: “A me frega solo dei soldi, e mia moglie è della partita. Non mi sento affatto sporco”. Le cronache nazionali si sono occupate con superbia di questo straordinario scandalo dell’agro pontino, concedendogli pochi onori. Invece hanno sbagliato. Nell’agro pontino il caso fatto giustamente registrare colonne umane alle edicole: “Abbiamo fatto un balzo nelle vendite”, comunica entusiasta il direttore di Latina Oggi.Continue reading
Mick Emiliano, riciclatore per la vittoria
Non sono soltanto questioni etiche, c’è anche l’estetica a far ritenere che Michele Emiliano abbia oltrepassato la soglia del non ritorno. Le sue liste all inclusive hanno incolonnato le più screanzate facce del centrodestra, fornendo al mercato della politica “che cambia” i protagonisti della conservazione, nella logica che De Gaulle illustrò con una frase illuminante: “Il potere non si conquista. Si arraffa”. “Sarò il domatore di questi qua e userò il frustino se sgarreranno”, garantisce il governatore in pectore e segretario regionale del Pd. Il circo di Puglia è pieno di trapezisti, saltatori all’insù, eccellenze nel movimento carpiato. Forza Italia svuota l’arsenale umano e l’Udc, un rassemblement di devoti nella virtù della famiglia, fornisce braccia e numeri di telefono. Ma lui, Emiliano il domatore, non si spaventa. “Quelli che si oppongono alla mia giunta sono tutti al suo fianco”, dice Paola Natalicchio, sindaco di sinistra di Molfetta, stordita dal fatto che i protagonisti della stagione più torbida della città che lei ha espugnato con un progetto fondato sulla pulizia e sul rinnovamento oggi festeggino all’idea che Michele, il suo candidato naturale, divenga governatore. Non c’è discussione e non c’è da temere: Emiliano stravincerà. Un sol boccone farà del centrodestra, oggi squinternato e piegato nella guerra che Raffaele Fitto ha ingaggiato con Silvio Berlusconi. E non c’è da discutere anche sulla moralità del protagonista di questa campagna elettorale al rovescio: Emiliano è onesto. Ed ha dato prova di essere un buon amministratore. Natalicchio usa la memoria per analizzare il tempo che fu: “Non posso dimenticare che qui a Molfetta lui, al tempo in cui era magistrato, ci mandò gli elicotteri della polizia per sgominare le bande criminali. E non dimentico che ha buttato giù, da sindaco di Bari, la vergogna di Punta Perotti, ha restituito il Petruzzelli alla città, ha realizzato un sistema di trasporto in ferro. Non lo dimentico perciò mi angoscio. Lo voterò, certo, ma ho paura di allestire un palco in piazza. Perché con lui rischio di trovarmi alla tribuna coloro che ritengo i più grandi nemici della mia città”. Emiliano ha invece preso per mano, anzi stretto la mano a Francesco Spina, che qualche mese fa è stato eletto dal centrodestra a presidente della Bat, una provincia nata morta che raccoglie le città di Bari, Andria e Trani.
Sette ripetizioni a Matteo sulla difficile arte di insegnare
Saliamo a turno sulla scaletta e facciamo in modo che Matteo Renzi ci senta, dice Agnese, professoressa di Storia dell’arte ad Ascoli Piceno. “Mi chiamo come sua moglie, quindi prendo la parola per prima”. Sorridono gli altri sei prof, in tutto 4 donne e 3 uomini, che arrivano ai lati di Palazzo Chigi con l’intento di realizzare un Hyde Park. Saranno 7 piccole lezioni di base, brevi rudimenti ad alta voce di scuola, insegnamento e comportamento al presidente del Consiglio.
AGNESE “Iniziamo dalla cattedra. Intanto non è vero che tutte le scuole abbiano la cattedra. In quelle più sfasciate c’è un banchetto da scolaro che segna il posto del docente. Dà l’idea di come la reputazione sociale di chi insegna sia degradata. Caro Matteo, il luogo comune più becero, qualunquista e falso che ci sia è dire che noi lavoriamo 18 ore alla settimana. Abbiamo un giornalista che prende appunti. Scusi, lei (la voce verso di me, nrd) è pagato per la quantità di tempo in cui scrive un articolo? Mettiamo che lei componga questo articolo in 2 ore, sarebbe corretto se le dicessero che la sua giornata di lavoro si riduce a 2 ore?”.Continue reading
Voglia di manganello. I picchiatori in doppiopetto si sfogano tutti su Twitter
Nel conteggio dei black bloc sono sfuggiti alla polizia i volti di alcuni tipetti in giacca e cravatta che hanno dato prova di quel che vorrebbero fare – o saprebbero persino fare – se avessero tra le mani un manganello.
Paolo Romani, che il mistero insondabile della vita ha condotto in Parlamento e persino al governo di non molto tempo fa e oggi è uno dei nostri padri costituenti (sic!), ha scotennato il suo linguaggio, tradizionalmente devoto, prudente, lezioso, omaggiante: “Mandateli dai macellai dell’Isis… Pestate questi bastardi”.
ROMANI NON ERA AL SENATO a illustrare il suo programma di governo ma elegantemente su Twitter, arena pubblica dove le contumelie valgono il doppio, e infatti ha fatto un figurone.
Prima di proporlo come ministro dell’Interno e seviziatore ad honorem, resta una domanda: era vero il primo Romani, il curato brianzolo di Silvio Berlusconi, o quest’altro in versione black?Continue reading
Il Soviet delle Poste, patria degli “inabili” e regno della Cisl
IL SINDACATO BIANCO FA TESSERAMENTI RECORD. TRA GLI ASSUNTI CHI NON PUÒ ALZARE PACCHI, CHI NON PUÒ FARE LA NOTTE E CHI NON PUÒ STARE NELLA POLVERE
Ogni giorno che Dio manda in terra 14 mila dipendenti delle Poste restano a casa. Sono il dieci per cento dell’organico. Settemila di essi si ammalano: febbre, artrite, mal di testa, di pancia, di gamba, di schiena. Ogni mese 19mila dipendenti delle Poste restano a casa tre giorni extra per accudire, a norma della legge 104, la mamma anziana, la moglie invalida, la nonna immobile. Ogni giorno decine di postini risultano inidonei a fare i postini. C’è chi non può sopportare carichi sulle braccia, e dunque i pacchi restano a terra. Chi non è idoneo a fare i turni notturni. E dunque la posta non la può preparare. Chi non è idoneo a soggiornare in luoghi polverosi, e purtroppo la polvere si annida tra le lettere e dunque la posta non la può smistare. Ogni giorno è una battaglia nel grande Soviet delle Poste Italiane che questo governo vorrebbe privatizzare entro novembre e ricavarne una decina di miliardi di euro, uno dei cosiddetti tesoretti da spendere magari cash. Ma che sarà un capitombolo all’ingiù se il Soviet continuerà a perdere quote di mercato, come gli sta succedendo nella divisione corrispondenza, e di fatturato.Continue reading
Il razzismo di Razzi: “sono come me, solo più renziani”
IL SENATORE DI FORZA ITALIA, SIMBOLO DEI VOLTAGABBANA, CONTA I “COLLEGHI” PRONTI A SALIRE SUL CARRO DEL VINCITORE: “TUTTI FANNO QUELLO CHE FACCIO IO, SE NON PEGGIO”
Eccolo qua Antonio Razzi: i baffetti furbetti al solito posto, gli occhiali con supporto trasversale color acciaio, i capelli gonfiati al phon e quella parola magica che l’ha reso macchietta perfetta: “Fatti li cazzi tua”. Ridiamo di lui, ma oggi lui ride di loro. Nel suo studio di senatore sembra Crozza in gita premio e il Parlamento un grande paese delle meraviglie.
Contare tutti i Razzi in circolazione, questo esercito di cacadubbi, di lotta e di poltrona, è impegnativo ma per il capostipite del voltagabbanismo un esercizio davvero gratificante. “Quello lì si fa i cazzi sua”. Nel partito del premier il professor Giuseppe Lauricella, insigne studioso di diritto costituzionale, aveva esaminato per mesi e con spietatezza tutte le malizie e le nefandezze dell’Italicum, ieri è giunto alla conclusione che “piace quasi a tutti”. Piacendo a tutti, piace anche a lui nonostante i suoi studi contrari. Anche Laura Puppato, pur a lei spiacendo, si è convinta che è meno sgradevole: “Invito tutti a votare”, ha chiesto con un comunicato. E Francesco Sanna, il consigliere di Enrico Letta per gli Affari costituzionali, le riforme eccetera? Ma sicuramente sì, anche lui è della partita e brinderà. Fatti li cazzi tua. I baffi di Razzi sono un grande affresco neorealista: “Io l’ho fatto per la paga, mi mancavano tre anni di contributi per andare in pensione, mi ero licenziato da operaio e se mi mandavano via dal Parlamento non sapevo come campare. Questi altri, invece, si fanno i cazzi loro anche se potrebbero evitare. E poi sfottete me?”.Continue reading
Il Grand Tour.Nel cimitero dei pini, tra russi cafoni e nonni in amore
IN VIAGGIO NELLA TOSCANA DELLE VACANZE DOVE I TURISTI MOSTRANO I PROPRI SOLDI E VOGLIONO SENTIRSI PADRONI
I russi, veri cafoni del benessere, sono giunti qualche estate fa. Molto prima della tempesta di vento, un uragano pazzesco che a marzo scorso ha fatto salire al cielo, come matite impazzite, i pini marittimi oramai spiumati del Forte. Venendo da nord, con il ricordo dei torrenti esondati lungo i fianchi delle Apuane, e prima ancora i disastri liguri, l’impressione è che il meteo si sia accanito con uguale impegno. Ha sbrindellato le case dei poveri, ma ha fatto fuori anche la cinta di verde dentro cui si rinchiudeva l’alta società italiana. Forte dei Marmi è oggi un cimitero di pini, e le motoseghe sono state chiamate a una impressionante tumulazione ambientale che sta durando settimane. Cataste di tronchi vengono allineati nello slargo adiacente a quella che fu la pineta più rigogliosa e ben tenuta d’Italia. Vigilantes ancora dirigono il traffico di camioncini che trasferiscono in falegnameria le tonnellate di legno oramai affettato. Del resto, Forte dei Marmi ha con i pini lo stesso rapporto che Linus ha con la sua coperta. I pini rendevano infrangibile e chiusa allo sguardo la borghesia vacanziera, potente, affluente e riservata, nascosta dietro le paratie perimetrali di verde naturale, dentro ville dai lineamenti puliti, dall’architettura mai eccessiva, realizzate sull’orlo del centro storico dove in estate scintillano i negozi del lusso in trasferta da Milano, Firenze o Roma. Continue reading
Il Grand Tour. Speculazioni e mafie. In Liguria tutto liscio come l’olio
DAL PICCOLO BERLUSCONI DI AVEGNO, GIÀ PADRONE DELL’INDUSTRIA DELLE OLIVE AL SUMMIT DELLE CHITARRE
Con la val di Vara alle spalle ripetiamo la formula slow. Tornanti a ripetizione, discese e risalite fino ad Avegno. È il paese di un berlusconoide, Ezio Armando Capurro, politico itinerante ma anche imprenditore itinerante. Con l’olio di sanza, il nocciolo dell’oliva da cui si spreme l’ultimo e più degradato succo, ha fatto begli affari. In Liguria come in Puglia. Per anni ha conosciuto il successo detenendo il marchio dell’olio Sasso ed è stato con i suoi concittadini il promotore del perenne scambio civile: lavoro contro inquinamento. La gente lo ha accolto come un grande benefattore, acclamandolo poi nelle urne, e se ne è infischiata se dalle ciminiere usciva fumo puzzolente. Meglio la puzza che la disoccupazione. Meglio deviare il corso del torrente, come è stato necessario per far posto alla fabbrica, che rinunciare alla fabbrica. Quando il business è finito, l’impianto ha cessato la produzione e si è trasformato in una discarica illecita fino a che nel 2004 l’area è stata posta sotto sequestro dall’Autorità Giudiziaria.Continue reading
La bad company del Conte Max
ALLA CENA DI FINANZIAMENTO, D’ALEMA SIEDE CON L’IMPRENDITORE ARRESTATO PER MAZZETTE
Qui è questione di scalogna. Perché a cena Massimo D’Alema è democratico e fa sedere alla sua sinistra chiunque abbia desiderio di una parola di conforto, o voglia destinare la discussione a un confronto serrato sulla politica europea. E il 14 febbraio scorso, giusto per parlare di Europa e raccogliere fondi per la sua Fondazione, era sceso nell’amato Salento, terra incantata e amica e – incidentalmente – anche piena di passione per le prossime elezioni regionali.
ALLA CENA sovrintendeva Ernesto Abbaterusso, da sempre riconosciuto procuratore politico dalemiano e – incidentalmente – candidato per Michele Emiliano governatore di Puglia. Anzi, per la precisione candidato in sostituzione. Doveva correre suo figlio Gabriele, vicesindaco di Patù. Ma una condanna in appello per bancarotta fraudolenta accorsa al figliolo ha fatto pendere la bilancia verso il papà. Torniamo alla cena. Al tavolo di D’Alema si accomoda un grande sostenitore della Fondazione, l’imprenditore Tommaso Ricchiuto. La sala affollata, il clima è disteso, i volti sorridenti. Alla fine le foto.Continue reading