Poste e Caf deserti: in Basilicata nessuno ha chiesto il reddito

Basilicata – Nei Comuni lucani un elettore su due aveva scelto i grillini Ma lo “scambio” col sostegno targato M5S non c’è: domande zero

Milioni e milioni di voti di scambio: tu dai il reddito di cittadinanza a me e io faccio la croce sul tuo simbolo. Siamo a Bella, poche migliaia di abitanti ma con un festival di cinematografia formidabile, davanti alle gole del Platano, il fiume che segna il confine della Lucania con la Campania, il territorio montano e disperso dove i Cinquestelle alle scorse Politiche hanno mangiato voti come fossero lupi d’inverno. Percentuali del 50%, in alcuni casi anche di più. Ora sarebbe dovuto arrivare il giusto ristoro. “Sono andato all’ufficio postale e ho chiesto. Per ora zero domande, zero carbonella. I miei dati sono parziali ma l’impressione è che non solo non c’è stata folla, ma nemmeno un’esile fila, nemmeno uno dei crocchi che si vedono in piazza. Magari è ancora presto, però boh…”.

Così verbalizza Vito Leone, assessore alla Cultura, che ha una sua idea: “Dal reddito sono esclusi coloro che possiedono proprietà o soldi in banca. I nostri paesi sono spopolati, quel che non ci manca sono le case. Ed è costume familiare custodire buoni postali, il dono del nonno al nipote, del papà alla figlia. È un tesoretto di poche migliaia di euro che però ostacola la richiesta. Il limite fissato a 6.000 euro spesso è superato e così anche coloro che certamente avrebbero diritto, restano impigliati ed esclusi”.

La Basilicata è stata una delle casseforti pentastellate. Mezzo milione di abitanti, fortilizio democristiano poi passato al Pd e infine ai grillini. La clientela come sistema, la mano tesa come postura. E allora? Tra le montagne e le vallate del Platano e del Marmo, l’area interna più occidentale della Regione, lo scambio previsto, anticipato, illustrato fin nei dettagli dalle analisi giornalistiche, dai commenti, nei talk show, semplicemente non esiste. Anche Anna Maria Scalise, la sindaca di Ruoti, una comunità sistemata più vicino al capoluogo, non vede corse, ansie, entusiasmi alle stelle. “Hanno pesato le restrizioni, che per alcuni hanno avuto il sapore di una presa in giro. Non ho dati certi, ma finora dico che non mi risulta nessuno che si sia presentato alle Poste ad avanzare domanda. Dobbiamo però dirci la verità: il voto ai Cinquestelle non era legato allo scambio quanto a una voglia, spesso impulsiva, di un cambiamento. Non tenerne conto nelle analisi ha significato approssimare sia le indicazioni che le soluzioni e consegnare il Sud all’idea stereotipata della clientela, dei fannulloni che attendano l’assistenza dello Stato”.Continue reading

Il piccolo Rami e i suoi diritti trasformati in un premio

Se il diritto si trasforma in un premio, se il coraggio diviene un lasciapassare e magari la timidezza un guaio, accade ciò che sta accadendo a Rami. Rami, figlio di immigrati, avrà la cittadinanza italiana ad horas per via della scaltrezza, del coraggio, dell’altruismo, del sangue freddo dimostrato durante il drammatico sequestro dello scuolabus di Crema, alle porte di Milano. È il papà che ha avanzata la richiesta, e il Viminale prontamente accoglierà la petizione.

E se Rami, bravo ragazzo, bravo studente, nato in Italia, il Paese dove vivrà, fosse stato appena più timido?

Avrebbe atteso di divenire italiano, come attendono ingiustamente, anni, anni, e anni altri suoi compagni.

Quando il diritto è inquinato dal paternalismo, le regole sono piegate al dominio della morale e non alla disciplina terza di un codice che stabilisca per tutti, a pari condizioni, pari opportunità. Che è l’unica garanzia di ciascuno di obbedire alle regole a cui tutti sono sottoposti.

Invece che chiedersi se sia giusto o sbagliato continuare a negare a chi è nato nel nostro Paese e parla, forse anche meglio di noi, la nostra lingua, ha i nostri usi e costumi il diritto di accedere ai nostri diritti, si conferisce un premio al più coraggioso, come se la Costituzione fosse lo statuto dei boy scout, e si assoggetta il diritto al carattere del premiato.

Chiedo di nuovo: e se Rami fosse stato timido? O solo se non avesse potuto aiutare i suoi compagni? Se fosse stato lui ad uscire per ultimo dal bus, come quella ragazzina impietrita dal terrore che è stata spinta a forza e fatta scendere, il suo diritto a sentirsi cittadino italiano sarebbe venuto meno?

Attendiamo con ansia quale altra prova suppletiva di coraggio debbano superare i compagni di Rami che ancora sono sprovvisti di passaporto. Attraversare nudi un cerchio di fuoco? Sgominare con un colpo di karate una banda di ladri italiani intenta a svuotare il caveau di una gioielleria? Entrare nel Campidoglio e decimare con un abracadabra corrotti e corruttori?

Da: ilfattoquotidiano.it

“Manette a uno di noi mentre salviamo Matteo”

Il volto degli onesti – La giornata del paradosso 5Stelle: “E pure oggi ci siamo guadagnati la pagnotta”

“E anche oggi ci siamo guadagnati la pagnotta”. Nel terribile slargo del disincanto in cui oggi sono confinati i senatori grillini, il cortile a piano terra di Palazzo Madama, il pensiero di Michele Giarrusso, ufficiale laudatore di Matteo Salvini, è comunicato, con il piglio del professionista che emette fattura per il cliente, alla truppa pentastellata particolarmente affranta per le circostanze malefiche in cui il voto si è dovuto svolgere.

La pagnotta è salva, l’alleato e nemico Salvini esce dal processo nel quale il Tribunale dei ministri voleva ficcarlo per merito del Movimento che sul pennone ha issato la parola giustizia. E Giarrusso, che qualche settimana fa mimava le manette col gusto selvaggio del vendicatore seriale, oggi fa i conti con le manette ai polsi di un suo compagno d’avventura, e giunge in aula a liberare dalla giustizia ingiusta “convintamente” il ministro dell’Interno.

Anche la fantasia dovrebbe avere un limite alla propria energia propulsiva, ma invece no. I volti degli onesti, cioè i figli di Beppe Grillo, giungono nell’aula sporcati dalla disonestà domestica: le mazzette che uno di essi, e non l’ultimo della fila, avrebbe intascato. Sulle mazzette hanno costruito l’università della resistenza, contro le mazzette hanno conquistato il governo, dalle mazzette oggi rischiano di venire travolti. “Non è una bella giornata, non leggo serrate analisi, non ascolto riflessioni profonde. Tutto ciò che accade viene valutato con una quota singolare di approssimazione, che è compendio di ingenuità e ignoranza. Oggi siamo a un bivio, ma chi lo sa?”. Nicola Morra presiede la commissione Antimafia ed è dell’ala sinistra del Movimento, quella parte, sofferente e minoritaria, che avvertiva dei rischi: “Mi chiamavano signor Cassandra. Ma è facile prefigurare le disgrazie quando si affronta la realtà senza prima averla studiata, capita, digerita”. Morra è tra i pochi che affronta i cronisti. Gli altri, la folla plaudente e sgargiante che affollava il Transatlantico, è nebulizzata, oppure coperta dal linguaggio della trincea: “Tutto normale, dov’è il problema?”, domanda – stupìto dello stupore altrui – Primo Di Nicola, già giornalista arrembante, oggi senatore prudente.Continue reading

Infiltrati & infrattati: la transumanza dem verso la Lega lucana

Basilicata – Il 24 marzo le elezioni regionali: il crollo del potere dei Pittellas del Pd favorisce il candidato del centrodestra

Le vie della transumanza sono infinite e in Lucania, che si fa accarezzare dalla brezza dell’opportunismo e della clientela, il sentiero è divenuto largo come un vialone. E così chi era di qua, cioè nel centrosinistra a monopolio Pd, corre nel centrodestra, ora salvinizzato, fiutando l’occasionissima. Salvatore Adduce, il presidente della Fondazione Matera che gestisce il budget della capitale europea della Cultura, è titolato a illustrare la questione: “Per fregare me, al tempo in cui ero ricandidato dal Pd a fare il sindaco di Matera, si organizzò una congiura con tanto di notaio. Alcuni dei miei grandi elettori fecero cartello col compito dichiarato di fottermi, deviando i consensi verso il centrodestra. Ci riuscirono. Ora non c’è congiura, ma semplicemente il tradizionale salto della quaglia. Il centrodestra odora di vittoria (anche se invece dico che noi possiamo vincere) e loro si imbucano, si infrattano, si infiltrano”.

Infiltrati, infrattati e motorizzati di ogni risma e colore. Gli imprenditori anzitutto rotolano con nonchalance nel campo avverso. Il presidente uscente delle Coop Paolo Laguardia – grande elettore Pd – è l’ultimo acquisto. In genere si distingue nel trapasso tutta la falange che fino a ieri si era sistemata dietro Marcello e Gianni Pittella, fratelli di famiglia egemone, di pura fede renziana, oggi in ambasce per via dei guai giudiziari che hanno costretto Marcello, governatore uscente, a farsi parecchi mesi agli arresti domiciliari e, infine, a cedere a Carlo Trerotola, farmacista di Potenza, la guida della coalizione.

Il declassamento ha provocato il successivo smottamento. Avvistata la mala parata, ha dato forfait Nicola Benedetto, arrembante assessore regionale con Pittella, e oggi arrembante sostenitore del generale Vito Bardi, un brav’uomo pescato dai berlusconiani nella caserma, per cui l’unica cosa che il militare in congedo prevede per la Basilicata è una sequela di telecamere che sorveglino mari e monti, borghi e villaggi sperduti, e diano sicurezza anche dove l’insicurezza non sembra assai patìta.Continue reading

Suore stuprate dai preti, la direttrice di Donne Chiesa Mondo: “Sono loro le nuove schiave della Chiesa”

La direttrice di “Donne Chiesa Mondo”, il mensile dell’Osservatore Romano, ha affrontato lo scandalo delle religiose violentate

Nell’abisso della propria coscienza la Chiesa ritrova le suore abusate, quelle fatte abortire, afflitte, condotte a una vita di servitù più che di preghiera. È merito di Lucetta Scaraffia, la storica e giornalista che dirige Donne Chiesa Mondo, l’inserto mensile dell’Osservatore Romano, se questo tema, nella sua scabrosità, è divenuto questione pubblica, scandalo pubblico.

“Ne parla il mondo intero. La cosa che più mi colpisce è invece l’incredibile silenzio della stampa italiana, questa assoluta e assai singolare distrazione attorno a un fenomeno così enorme e destabilizzante”.

Le suore serve, in molti casi costrette a soddisfare l’appetito (anche fuori della tavola) dei maschi, sacerdoti o addirittura vescovi.

È la condizione femminile nella Chiesa ad essere drammaticamente il cuore del problema. Per decenni questa prostrazione psicologica e fisica era coperta e negata, avvolta nel silenzio compassionevole delle gerarchie se non dall’omertà.

La Chiesa è come irretita da uno scandalo permanente. Non riesce a trovare una via d’uscita a una situazione che la obbliga a fare i conti con la propria coscienza, il proprio codice, se posso dire, la propria reputazione sociale.

Papa Francesco ha fatto tantissimo. Ricordo il suo ultimo appello al popolo di Dio affinchè sorvegli e corregga, denunci e proponga. Un appello al popolo, ai laici, non solo al ceto dirigente, alla gerarchia, è già esso un fatto rivoluzionario. E infatti l’appello non è stato accolto benissimo da chi vede nei laici una intrusione, da chi patisce indebite interferenze.

La novità, lei l’ha scritto, è che finalmente le suore sono riuscite a far denuncia, a dare scandalo, se così possiamo dire.

Sì, il fatto nuovo è che gli abusi ora hanno la forza di un atto d’accusa, di testimonianze circostanziate che impongono alla Chiesa provvedimenti esemplari e una discussione franca, aperta, sostenibile.Continue reading

Primarie, ora Zingaretti faccia scoprire al Pd cosa vuol dire sinistra

Il numero dei votanti e il nome del vincitore costringe il Pd a fare i conti con il suo doppio volto, che è anche la doppia verità che deve affrontare. Nicola Zingaretti è stato chiamato a chiudere definitivamente l’età renziana. Non lo attesta soltanto il numero dei partecipanti alle primarie, oltre ogni aspettativa, ma la percentuale dei voti con cui la base si è espressa a suo favore.

Eppure il nuovo segretario si troverà a gestire una linea politica in dissenso con i gruppi parlamentari, totalmente figli delle scelte del leader oggi rinnegato. Ma prima ancora dovrà esercitarsi alla lavagna, tenere corsi serali di aggiornamento professionale, diciamo così: dovrà infatti far scoprire al suo partito la parola sinistra e dare a questa parola il senso che merita, recuperarla dalla soffitta, dov’è stata riposta, e restituirle la reputazione che ha perduto, difenderla dal dileggio che ha subìto.

Se la destra è così forte in questo mondo è perché la sinistra è evaporata, si è alzata in cielo e si è fatta nuvola. Non a caso pure nel Pd conta oggi parecchi autorevoli nemici.

Zingaretti non dovrà quindi solo dire qualcosa di sinistra, ma, dopo aver spiegato bene come essa si debba tradurre nelle scelte quotidiane, anche fare qualcosa di sinistra.

Serve gente capace e, se non irrita troppo, persino onesta.

da: ilfattoquotidiano.it

“No, non ci sarà la crisi: Matteo deve mangiarsi B. e cambiare la Lega”

Roberto Maroni – L’ex ministro leghista rivela la strategia del Capitano per un “progetto sovranista”

“Matteo Salvini è molto più bravo di me, su questo non ci sono dubbi”.

In molti lo pensano, non soltanto Bobo Maroni.

Ed essendo molto più bravo realizzerà il sogno di Umberto Bossi: tenere a battesimo il partito egemone che copra e inglobi tutta l’area di centrodestra. Lui sarà lo speaker dei sovranisti italiani e quella cosa lì nascerà a maggio.

Quindi figuriamoci se pensa alla crisi di governo.

Per tornare da Silvio Berlusconi?

Dalla padella alla brace.

Finché c’è Silvio ed esiste Forza Italia lui starà alla larga. Figurarsi se si inguaia la vita mettendosi a fare accordi e a negoziare seggi col centrodestra. Con Salvini non esiste più né il centro né la destra. Soltanto, come detto, un’area sovranista che raccolga (in ordine sparso) la moltitudine. E proprio domani ne avremo una conferma.

Domani?

Il Consiglio federale della Lega, a quel che so, deciderà il commissariamento di tutte le sue strutture federali del partito. Bisogna preparare la rivoluzione, bisognerà cambiare da cima a fondo.

Cambieranno anche il nome?

Non mi stupirei di vedere sulla scheda elettorale per le Europee un nome nuovo, anche se non mi sembra per il momento attuale la questione. Salvini ha comunque già cambiato i colori, da verde a blu senza tumulti di piazza.Continue reading

“Siamo sulla stessa barca”: consigli per il neo segretario

Foto Valerio Portelli/LaPresse

A Nicola Zingaretti consigliamo di trovare il tempo di andare al cinema e guardare In the same boat, che non è un film ma una illuminante illustrazione di come siamo messi e soprattutto di come staremo. Molto peggio di oggi, se può interessare. Il documentario si fa largo a fatica nelle programmazioni serali e finora – benché sia da tempo confezionato – è giunto per qualche giorno a Roma e a Milano. Rudy Gnutti, il curatore di questo bel lavoro, ha girato il mondo in lungo e in largo interrogando sul nostro futuro i maggiori pensatori e ricevendo la stessa crudele risposta: siamo sulla stessa barca, ma stiamo messi peggio di come mai avremmo potuto ritenere. La produzione cresce ma il lavoro diminuisce, anche quello intellettuale, ritenuto ora superfluo, eccedente. Il ceto medio si è fatto povero, i poveri sono divenuti poverissimi. I ricchi, ricchissimi. Per la prima volta negli Stati Uniti l’1 per cento della popolazione detiene oltre il 40 per cento della ricchezza, mentre l’80 per cento dei suoi abitanti può avere tra le sue mani solo il sette per cento di quella ricchezza. La rivoluzione tecnologica sostituisce non le braccia ma il cervello dell’uomo, supera i suoi limiti e per la prima volta travolge anche la dimensione della sua esistenza.

Se Zingaretti guarderà questo documentario, avrà ancora altri elementi per comprendere perché  la paura ha trasformato il senso comune e la destra, scopertasi sovranista, ora raccoglie i consensi di chi sta peggio, mestiere che avrebbe dovuto fare la sinistra. E capirà che nonostante tutto – incredibile a dirsi – il reddito di cittadinanza è una misura di sinistra, che economisti di grande reputazione ritengono indispensabile. E soprattutto penserà che sia oggi indispensabile studiare e avviare una grande redistribuzione del reddito, e si domanderà, per esempio, perché negli anni la tassazione delle rendite finanziarie è stata ridotta del 50%. Per esempio.

Da: Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2019

“Attento Zingaretti, questo non è un voto di fiducia al partito”

Marco Revelli – Per lo storico, le primarie hanno dimostrato che esiste “una pubblica opinione di sinistra” contro il governo

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

“I numeri sono confortanti, vista la situazione, e Nicola Zingaretti, nelle condizioni date, ha ottenuto un ottimo risultato. Da qui a certificare che il Pd sia vivo e vegeto ce ne passa. Non vorrei che fosse, come dicono gli anglosassoni, il rimbalzo del gatto morto”.

Marco Revelli studia e soprattutto racconta nei suoi libri la sinistra. Ieri un popolo si è comunque visto e ritrovato.

Siamo lontani dai quattro milioni di Romano Prodi, che aprirono la stagione delle primarie. Però un segno, importante, c’è stato. Esiste una pubblica opinione di sinistra, e si è mostrata. L’occasione che aveva, le primarie, è stata colta al volo. Un pezzo di Paese non tollera più questo governo, subisce la disumanità di Salvini, la stupidità dei Cinquestelle. E ha afferrato la matita per reagire. C’erano i gazebo in piazza, e si è diretto lì. Non mi sembra un voto di fiducia al Pd, ma il senso di una presa di posizione civile prima ancora che politica. Se non ora, quando? si saranno chiesti. E giustamente aggiungo.

Lei ha votato?

Penso che si debba partecipare alle primarie se si crede nel partito che le organizza. Io non ho questa fiducia e in tutta sincerità non credo nemmeno che il Pd abbia agito da protagonista in questa consultazione.

Per Zingaretti sarà duro provare a dare un cuore e una nuova destinazione a un partito figlio di un altro tempo, che fino a ieri ha remato nella direzione opposta.

Il voto, e la dimensione straordinaria della partecipazione, dicono due cose. Il renzismo è morto, ma le scorie rimangono e non è detto che Matteo Renzi non faccia altri danni. Zingaretti deve gestire una linea politica in dissenso con i suoi gruppi parlamentari, selezionati dal leader oggi epurato. Ed è la prima questione.Continue reading

Botte, urla e “arrivederci”. La Camera litiga. Poi ferie

Parlamento ornamento – Ieri la seduta è finita male: Fico aggiorna tutti a martedì. Ma neanche le risse sono più “degne” come una volta

Il Parlamento fa sempre più rima con ornamento. La bagarre in aula è l’unico modo per farsi notare. Voci che si fanno acute, qualche spintone, con l’aggravio a volte di risse tentate oppure consumate. La casistica prevede anche duelli singoli: sputi, pugni, calci, lanci d’oggetto. Il vecchio trucco funziona sempre e porta risultati.

Ieri, proprio quando si vietava alle Camere di aprire bocca sul testo dell’accordo col quale il governo concede a tre regioni (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna) la cosiddetta autonomia differenziata, a Montecitorio il sonnacchioso tran tran post prandiale e pre festivo viene interrotto da un mimo. Il deputato grillino Giuseppe D’Ambrosio incrocia le braccia nel gesto delle manette al termine del suo intervento in aula. Guarda, a braccia ammanettate, verso Gennaro Migliore, collega del Pd. Gesto ultra offensivo (D’Ambrosio spiegherà che quelle manette erano per Francantonio Genovese, ex deputato Pd arrestato per davvero) e che Roberto Fico, presidente e grillino censura con un richiamo e non con l’espulsione. “Vergogna”, “Buffone” eccetera: è la protesta dai banchi del Pd. Le urla si fanno più forti, il Pd lascia i banchi svuotando l’aula. “Mi state salutando. Arrivederci”, li sfotte Fico. È questo il momento in cui gli giunge a mezza altezza come risposta un nutrito blocchi di fogli. Il lanciatore d’opposizione sbaglia mira per pochissimo e leviga con la carta i capelli della segretaria generale Lucia Pagano. Seduta sospesa. Il presidente della Camera si scusa per le sue parole che hanno valicato il protocollo. Poi dichiara conclusa la seduta: “Riprenderà martedì”.

Quattro bei giorni di festa, e siamo nella tradizione.

La bagarre esiste da quando c’è il Parlamento. Il primo cassetto in aria volò nel 1949 per merito del comunista Giuliano Pajetta, fratello del più noto Giancarlo. Ma allora il Parlamento contava e in discussione c’era l’adesione dell’Italia alla Nato. E le terre, la grande questione del latifondo, furono all’origine di un terribile pugno che il democristiano Albino Stella sferrò (anno domini 1952) nei confronti del monarchico Ettore Viola.

La bagarre in quel contesto assumeva, per così dire, una sua dignità. La mano fasciata del ministro Randolfo Pacciardi che difendeva la legge truffa era lo sviluppo fisico dell’opposizione, in piazza come nel Palazzo. Una memorabile rissa coinvolse tre quarti del Parlamento nel 1981. Ma lì c’era sul fuoco ben altra carne: i tentativi eversivi dentro quel grande buco nero della storia repubblicana chiamato P2. Insomma, il contesto in qualche modo autorizzava a prevedere qualche strappo alla regola.

La bagarre di oggi, così minuta, quasi insipida, in un Parlamento ringiovanito nell’età ma impedito nella funzione, vuoi perchè troppo inesperto, vuoi anche perchè troppo accondiscendente verso il governo, che infatti lo usa come cassetta postale, all’identico modo dei precedenti, ha perso pathos. Nulla a che vedere con l’immagine, quella sì enormemente incresciosa, quasi primordiale, con la quale il leghista Luca Orsenigo, al tempo di Mani pulite, sollevò in aula il cappio. Il nodo scorsoio del giustizialismo. Allora era la Lega di Bossi, dei barbari all’opposizione, che inneggiavano (prima che alcuni suoi dirigenti incappassero in manette e denunce) alla carcerazione collettiva.

I leghisti hanno fatto a botte quasi con tutti, e una rissa gustosa li vide contrapporsi a suon di manate ai forzisti berlusconiani, nel tempo in cui erano un po’ alleati del Cavaliere e un po’ avversari. E in quegli anni (1993) l’ex missino Buontempo interruppe con un megafono la discussione.

Enorme, spettacolare l’aggressione del senatore Tommaso Barbato contro il mastelliano fedrifago Nuccio Cusumano che perse i sensi e dovette essere allungato sulle poltrone di velluto. Le medesime sulle quali Nino Strano, missino di Catania, si impiastricciò di mortadella per brindare alla caduta del governo Prodi.

Oggi come ieri, tutto nella norma.

L’unica differenza, come si diceva innanzi, è che oggi, a differenza di ieri, il Parlamento è divenuto ornamento.

Da: Il Fatto Quotidiano, 15 febbraio 2019