RESILIENZA. Provano a scomparire, ma sono lì

berlusconi-meloni-salviniNon sarà mica che il partito della Nazione lo stanno facendo quelli del centrodestra? Non sarà che dopo questi due anni abbondanti di renzismo ipercinetico l’unico a essersi rovinato è il Pd? E non sarà che le parole d’ordine del ventennio berlusconiano, la triade della perfetta lotta di classe italiana (alle tasse, ai migranti e al borseggio da strada) sia l’ideologia sempiterna del vero partito della Nazione? Perché quasi ritornano, come se nulla fosse accaduto, le cifre del ventennio. Sono cambiati gli azionisti della coalizione, sono diversi gli addendi ma il totale sembra quasi identico. Perfino a Roma, dove Forza Italia si squaglia fino a divenire l’ombra di se stessa (4,23%) la destra arretra ma non scompare, si divide ma non si suicida. Con un Berlusconi mummificato, la Lega di Salvini ridotta al Sud alla inconsistenza, e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che invece al nord hanno il peso della carta velina, il centrodestra piazza sedici candidati al ballottaggio nei venticinque comuni dove si va al secondo turno, ne prende uno quasi con un plebiscito al primo, ed eguaglia sostanzialmente le performance – almeno nel cerchio delle città capoluogo – del centrosinistra.

FORZA ITALIA che ha sottoscritto il patto del Nazareno, agevolando in ogni modo il governo Renzi con l’invio di truppe e viveri in Parlamento, riesce a stracciare il partito del premier a Napoli, città sulla quale l’esecutivo aveva appena scaricato qualche centinaio di milioni di euro per la bonifica di Bagnoli, e svergognare (con un tondo 60%) la muta di deputati e possidenti renziani a Cosenza, uno snodo del potere calabrese e residenza di uno dei pitbull del nuovo corso, il deputato Ernesto Carbone, meglio conosciuto come l’onorevole “ciaone”. Che Matteo o chi per lui (Guerini? Lotti?) per buffo che possa sembrare aveva ritenuto di inviare come tutor della già disperatissima Valeria Valente, candidata napoletana, consegnandola così alla sicura sconfitta. C’è una ragione per cui Denis Verdini fa vincere il governo in Parlamento e lo fa perdere nelle città. Questo nome, che al tempo del regno di Arcore compilava le liste di promozione e proscrizione interna, teneva i conti degli ingaggi politici, delle new entry, delle compensazioni e dei risarcimenti, ora è corpo senza casa, galleggia nell’aria, nuvola che passa e oscura. Da solo Verdini, il suo fantasma o la simbologia ostruttiva che il suo nome propone, è riuscito a spingere a sinistra del Pd la costruzione di una modesta ma pur sempre fastidiosa presenza organizzata (intorno al 4%), a far perdere l’alleato ovunque avesse costruito un patto elettorale (Napoli, Cosenza e Grosseto), ma soprattutto a far fuggire una moltitudine di elettori verso altri lidi. Parte di quei fuggitivi hanno però contribuito a far guadagnare ai 5 stelle il podio di una realtà oramai tripolare, primo partito a Roma e a Torino, e a costruire il drenaggio che è servito al centrodestra moribondo, senza leader e senza idee, per restare in piedi malgrado le cadute, le defezioni, i tradimenti e gli accordi sottobanco col Pd, affermando una sua singolare capacità inerziale, una spiccata propensione alla resilienza politica.

IL RITRATTO di un tempo che ritorna a dispetto della realtà, degli anni e delle scempiaggini passate, sono, per andare a nord, le foto milanesi di Ignazio La Russa sorridente, dell’intramontabile De Corato che brinda, della falange leghista di complemento che si accoda. Il segno che un miracolo al contrario si è realizzato. Il centrodestra, o nuovo partito della Nazione, conserva i voti e anzi qualcosa di più lì dove è nato. Per la leadership sarebbe forse da spendere il nome di Stefano Parisi, l’imprenditore scaltro che è riuscito a reggere e a governare l’alleanza milanese. Dipende, e anche questa è la prova che il mondo va alla rovescia, dalla performance di Beppe Sala, il tecnocrate che Renzi ha ingaggiato e imposto al centrosinistra. Tutto sembra immutabile, pure se dai dettagli apprendiamo il tempo che passa: proprio ieri, dopo una svogliata e inconcludente campagna elettorale, Silvio Berlusconi s’è ricoverato per uno scompenso cardiaco.

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2016

ALFABETO – INNOCENZO CIPOLLETTA: Il 2009 come il 1989. È caduto il muro del capitalismo

innocenzo-cipollettaLa lista degli incarichi di Innocenzo Cipolletta è lunga quanto un foglio A4. Analista, economista, direttore di Confindustria, poi presidente delle Ferrovie, ora di Ubs Italia e anche dell’Università di Trento. La lista dei suoi errori non è acclusa al curriculum.

Quanto sbagliano gli economisti? Quanti errori fanno coloro che s’impancano, giudicano, censurano, indicano la retta via?

Le previsioni si possono sbagliare, ma non bisogna fraintenderne il senso: non sono strumento per indovinare il futuro ma una griglia delle cose da fare e di come farle perché il sistema reagisca a un rischio, rintuzzi un pericolo, mostri equilibrio.

C’erano stati anche errori ciclopici sulla valutazione della dimensione della crisi del 2009…

Bisogna dire però che alcuni colleghi avevano esattamente previsto la portata della crisi, e lo hanno fatto con un anticipo sui tempi della implosione assolutamente rispettabile.

Voi somministrate medicine quotidiane per tenere vivo e vegeto il capitalismo. Mai ricordate però che questo sistema ha in sé istinti suicidi.

Ogni sistema lasciato a se stesso, messo cioè nella condizione di debordare, mostra istinti suicidi. L’economia di mercato non esiste in natura. Un complesso di leggi, di regolamenti, di azioni e provvedimenti dell’uomo fanno sì che si sviluppi con un ordine compatibile, gestibile. Il mondo si è arricchito con il capitalismo. È emersa un’area del globo, il lontano Est asiatico, che grazie al mercato è riuscita a vincere la fame. Se questa non è una conquista, se non ritiene che l’emersione di milioni di cittadini dal mondo del sottosviluppo e della fame sia una conquista di civiltà e insieme il titolo di merito più grande del nostro sistema economico…Continue reading

ALFIO MARCHINI – “Finalmente libero. Ai borgatari dei miei soldi non importa”

alfio-marchiniÈ la prima volta che ho una relazione con la gente senza che ci siano i soldi di mezzo. Perciò sono innamorato della politica e per questo motivo, succeda quel che deve, io non l’abbandonerò mai.

Alfio Marchini e i soldi sono come fratelli e sorelle.

Ho gestito quattrini, ho ereditato quattrini, ho promosso affari, ho negoziato poteri, possibilità, occasioni. Per tutta la vita, per le mie condizioni familiari, mi sono trovato a esercitare responsabilità che avevano a che fare con il danaro e il potere. Oggi mi trovo come denudato, valutato per quello che sono.

Anche sbeffeggiato.

Ci sta, non mi offende essere preso in giro. L’esame pubblico obbliga anche a questa particolare vivisezione. I romani poi in fatto di ironia non sono secondi a nessuno.

La Ferrari lasciata sul Grande raccordo anulare, la Panda per la città.

Ma con quell’auto a Roma, nel centro storico dove abito, che ci faccio? Amo guidare, e salgo a bordo quando sono fuori città, nei percorsi più veloci.

Io so che oltre 130 chilometri orari non si può andare.

Ma che significa? A me piace provarla sul tracciato misto, ho fatto anche delle gare in gioventù, sono un esperto guidatore. Sentire il motore, l’assetto, le curve è un piacere che prova solo chi sa…

È che vengono sempre in mente i suoi quattrini, le sue società. A proposito, perché voi ricchi scegliete sempre il Lussemburgo per acquistare e vendere, fondare e dismettere?

Da lei non mi aspettavo una domanda simile. Ma così fa la figura del parvenu, di chi non sa l’Abc dell’economia e della finanza. La prego, cassiamo.

Eppure mi sembrava utile una deviazione geografica sui suoi soldi. Che in politica un aiutino lo danno anche.

Nooo, la politica mi fa sentire bene perché la gente ha con me finalmente una relazione pulita, piana. Non mi conosce, non mi chiede della genealogia, non sa di mio nonno. Avanza dei bisogni semplici, non promuove business, cordate, incursioni. Capisce la mia trasformazione? Non uno che chiede, non devo chiedere più nulla, ma uno che offre. Posso offrire un po’ di competenza, l’amore per questa città, il mio tempo. Non ho bisogno di prebende, di gratifiche economiche, non ho altre impellenze. Mi sta capendo?Continue reading

Giorgia Meloni: “Domenica vedrete: stavolta dalle urne esce la sorpresina”

giorgia-meloniL’infamia vera è l’accusa di agevolare con un po’ di trucchi il suo viso.

Uso solo l’illuminante per gli occhi.

Che sono di uno splendido e denso azzurro.

Mi hanno accusata di fare il photoshop, non sapendo che la foto sulla quale è scattato l’amichevole linciaggio, la continua burla, non era prevista, preparata. Non sapevo neanche che esistesse quel ritratto. Un signore mi chiama e dice: ho queste foto. Noto che son belle, e decidiamo di metterle sul manifesto.

Anch’io sono stato portato a pensare purtroppo che Giorgia Meloni, la volitiva, coraggiosa e giovane leader della destra italiana ricorresse a piccole levigazioni per ammorbidire le trascurabili borse sotto gli occhi.

Non metto i cerotti che mi gonfierebbero di più. Solo l’illuminante, come le ho appena certificato.

A parte che le occhiaie non hanno una decisiva rilevanza politica.

Me ne dicono di tutti i colori.

In effetti, con la sincerità che provo a rubarle, le rimproverano di essere persino un pochino coatta.

Pochino dice?

E quella carogna dell’accento così romanesco.

La denigrazione non ha confini e non ha misure.

Lei si sente sottovalutata.

Altro che! È un continuo ridurre il livello della mia prestazione politica.

Il tono oratorio così intensamente pop agevola le malelingue.

Conosco l’italiano, credo di parlare correttamente, di non abusare della consecutio temporum e di non offendere i congiuntivi.

Sabina Guzzanti dissentirebbe. Lei me fa morì. Com’è che fa? I programmi? Quarcosa sè ‘nventamo. In effetti lei si candida a sindaco di Roma e tutti le chiedono una soluzione alle rovine che affliggono la Città eterna. Non è crudele dover assicurare di risolvere ogni questione?Continue reading

Sabrina Ferrilli: “Voto la Raggi, ragazza pulita: il mio Pd non lo riconosco più”

sabrina-ferrilliE alla fine mi son detta: ma non sarà il caso di provare a votare questa ragazzetta esile, dalla faccia pulita, che fa per nome Virginia Raggi?

Sabrina Ferilli era rossa come un cocomero d’estate.

Lei mi vorrebbe far piegare la scelta verso Stefano Fassina?

Rosso lei, rosso lui.

Tra l’altro quel voto lo meriterebbe pure! Ma non vince, non ha alcuna possibilità, e io devo badare a far pesare la scheda in un tempo in cui sembra che il potere faccia l’impossibile per occultarsi, per invitare tutti noi a scordarci di lui. Com’era il consiglio amichevole per il referendum sulle trivelle? Andate a mare, fatevi un thè caldo, leggete un bel libro, guardate la partita, magnate i popcorn. La democrazia s’infragilisce se perde la sua anima popolare, la partecipazione, l’interesse.

La Ferilli vuole affidare le rovine di Roma alla giovane, inesperta, esitante Raggi.

I romani hanno votato il Marino scienziato, e abbiamo visto. E prima di lui Alemanno lo screanzato, e nun ne parl amo. Perché devo ritenere irresponsabile dare un voto all’unico movimento che cerca ancora la piazza come luogo di ritrovo, che chiede alla gente di interessarsi alla politica, di prendere parte alle decisioni? Perchè lo sberleffo a ‘sta ragazza e ai suoi compagni e tanti salamelecchi ai fetentoni che hanno ridotto la mia Roma a una fogna?

È la prima volta che tradisce il suo partito, che restava fino a prova del contrario, il Pd.

È la prima volta che disobbedisco agli ordini di scuderia. Mi domanderà: ma come, proprio adesso che al governo c’è il centrosinistra?

Ma come, proprio adesso che la sinistra prova a vincere governando?

Non sono Gastone, resto Paperino. Non mi va giù questa forma di meticciato politico, questo partito della Nazione che raccoglie l’alto, il basso, il rosso, il nero, il buono, il cattivo.

La sinistra cos’è?

Lo so che è divenuta una parola bucata, che ha perso di senso. Ma per costume familiare e per convinzione ho sempre badato ad avere presente i valori della solidarietà, dell’uguaglianza, dell’equità. E mi sento più tranquilla se faccio di tutto per rimanervi fedele.Continue reading

Giorgio Airaudo: “Renzi ha promesso a Fassino la presidenza del Senato”

giorgio-airaudoAnche i candidati del centrodestra come Osvaldo Napoli per Forza Italia e Alberto Morano, notaio candidato da Lega e Fratelli d’Italia, riservano parole buone per Piero Fassino, sindaco uscente di Torino in cerca di conferma. A sostenerlo lunedì arriverà anche il premier Matteo Renzi, che ha fatto all’ultimo segretario Ds una promessa, ci dice Giorgio Airaudo, deputato di Sinistra italiana e candidato sindaco.

Airaudo, Renzi rovinerà la campagna di Fassino o gli darà più lustro?

Io non credo che Fassino e i suoi siano scontenti del suo arrivo. Non è soltanto il loro segretario, ma anche il premier, l’uomo a cui molti hanno affidato il proprio futuro. Dentro al Pd, ad esempio, si dice che Renzi abbia convinto un indeciso Fassino a ricandidarsi promettendogli, se passa la riforma, la presidenza del nuovo Senato delle autonomie.

Sa che della riforma Fassino critica un solo aspetto, i pochi posti per i sindaci in Senato…

Confermerebbe quelle voci… ma non voglio credere che il Senato possa diventare il dopolavoro o il buen retiro di sindaci che non sanno smettere di fare politica. Se fosse così sarebbe bene che lui lo dicesse, perché i torinesi devono sapere chi eleggono.

Ormai pare che tutti sostengano Fassino. Lei è sicuro di aver fatto bene a candidarsi?

Non vincerà al primo turno, una parte di Torino vuole aprire una discussione. In una città duramente colpita dalla crisi e senza una prospettiva chiara, lui ha trascurato i più deboli colpiti da sfratti e disoccupazione. Io mi sento la Croce Rossa. È il Pd che è sempre più centrista mentre Fassino si espande a destra, imbarca gli endorsement di Ghigo e Vietti, le dichiarazioni di Napoli e Morano.

Fassino dice: ho affrontato la crisi occupazionale e delle periferie con progetti strutturali.

Torino ha sempre affrontato le sue sofferenze con interventi diretti e pubblici. Da anni invece assistiamo a interventi dei privati, così i servizi peggiorano in due modi: si riducono gli addetti e regrediscono le condizioni di lavoro. Poi c’è l’intervento delle fondazioni bancarie che hanno sostituito il welfare pubblico.

Ecco, le banche. Fassino non nasconde i suoi buoni rapporti con Intesa e con la fondazione, la Compagnia di San Paolo.Continue reading

Insulto libero, Sgarbi esulta e la Morani piange

Saremo tutti – e felicemente – dei signor Vaffanculo. Ieri si sono fatte visibili le conseguenze della depenalizzazione del reato di ingiuria deciso a inizio anno dal governo con la morte dei primi processi chiamati allo svolgimento in questa primavera. L’entusiasta Vittorio Sgarbi (pseudonimo del professor Capra Capra Capra) ha appena comunicato che il procedimento incardinato contro di lui per colpa di un sindacalista che aveva ricevuto offesa via sms è svanito come la nebbia d’estate.

SI DEVE proprio a Sgarbi se l’ingiuria nella sua interpretazione più avanzata e artistica o anche, se si pensa ai momenti d’impegno politico e televisivo del critico, nelle forme più rigorose e nette (merda, pezzo di merda, mafioso tu, ladro tu) abbia ottenuto una sua congrua presenza nei dibattimenti giudiziari. Sempre ieri, perché sembra che i fatti abbiano una loro intelligenza e volontà di compensarsi, Repubblica ha ospitato un dispiaciuto commento dell’onorevole Alessia Morani (Pd), parte offesa e denunciante del collega grillino Massimo De Rosa il quale avrebbe proceduto, nel corso di un suo intervento in Parlamento, ad additare con un cafonissimo linguaggio, di natura platealmente sessista, la carriera politica della Morani e delle sue colleghe. “E pensare che lui è salvo grazie a un reato abrogato dal mio partito”, ha commentato piuttosto delusa la Morani. Resiste in quelle parole un momento di viva introspezione psicologica sulla natura del voto che anche lei ha espresso per salvare dalla condanna tutti gli ingiuriatori e odiatori di professione, compreso colui che l’avrebbe aggredita verbalmente.

LA QUESTIONE che si apre adesso è come la valanga di peti verbali possa essere contingentata. C’è già Twitter che offre una gamma complessa e mediamente ricca di ingiurie con squadre di anonimi, detti altrimenti troll, che perlustrano il campo, dandosi il cambio solo per il tempo di un panino, ed eruttano appena il rappresentante della squadra A (in questo caso il Pd) abbia preso la parola. Uguale ed opposta condizione, volendo restare nella fanghiglia politica, ottiene il rappresentante della squadra B (il M5s).

I TROLL si radunano nei social network , esondano sui siti di informazione e a volte si ritrovano immortalati da Dagospia , che sul punto svolge una utile attività di scavo antropologico rubricando come Cafonal, sic et simpliciter, corpi che urlano offesa. È molto saggio adesso domandarsi come la depenalizzazione troverà un punto di caduta in televisione, che come sappiamo ha insegnato tanto tempo fa la lingua italiana agli italiani. È del tutto prevedibile lo sforzo di conduttori e ospiti di illustrare la nuova frontiera del mondo vaffanculo, creando anche un registro verbale adeguato. L’ingiuria secca, l’ingiuria letteraria, l’ingiuria sportiva. E poi l’ingiuria del mattino, l’ingiuria del pomeriggio, quella preserale e via dicendo. Odiatori di tutto il mondo, unitevi!

Da: Il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2016

illibraio.it: Acqua da tutte le parti di Antonello Caporale

Caporale-Acqua-da-tutte-le-partiDa una delle penne più felici del nostro giornalismo, un nuovo straordinario Viaggio in Italia: da Avegno a Favare, da Cassacco a Decollatura, da Petrosino a Fossombrone, quasi quindicimila chilometri alla scoperta delle meraviglie e delle disgrazie di un Paese che fa «acqua da tutte le parti» ma continua miracolosamente a galleggiare.

L’Italia è lunga e stretta. Se sei sull’Aurelia e scendi verso sud, il mare ti accompagna a destra; se invece guidi lungo l’Adriatico, l’acqua occhieggia da sinistra. Ma per guardare l’Italia bisogna dare quasi sempre le spalle al mare e rivolgersi verso l’interno. Per tre anni, ogni giorno ho riversato nel taccuino le tracce di ogni viaggio, dettagli anche minuscoli. Il bottino che stipavo era tutto ciò che non aveva possibilità di comparire sul mio giornale, una montagna di informazioni minute, secondarie, accessorie, o di storie che lasciavo ai margini delle inchieste nell’attesa che, dopo tanta semina, un giorno potessero germogliare e insieme costituire l’anima di un altro racconto, di un nuovo viaggio.
Così è nato questo resoconto sull’eternità di certi luoghi e certi paesaggi italiani dove il passato non finisce mai e il futuro stenta ad arrivare. Ci sono paesi che si raggiungono solo a piedi, come Topolò al confine con la Slovenia, e paesi senza tempo dove si fabbricano orologi, come Uscio in Liguria; paesi dove la terra finisce, come Depressa nel Salento, e paesi abitati da capre, come Craco in Lucania. Soprattutto, ci siamo noi italiani in questo libro: una sequenza di carità e di imbrogli, di anime morte e di anime belle, di volti sorridenti e di predoni da strada. Una volta messi in fila non si sa se abbracciarli tutti oppure darsi alla fuga il più rapidamente possibile. Antonello Caporale

 

Titolo: Acqua da tutte le parti

SBN: 9788868334659

Autore: Antonello Caporale

Collana: SAGGI

Casa Editrice: PONTE ALLE GRAZIE

Dettagli: 280 pagine, Brossura

Prezzo di questa edizione cartacea: 16,00€

In libreria il 26/05/2016

da: www.illibraio.it