ALTA VELOCITA’: QUELLA RESISTENZA CONTRO IL BUCO

Nella ridotta del Polcevera il comitato no Tav cerca di resistere all’indifferenza. “Il nostro più grande problema è che questa ferrovia non si vede, i cantieri sono dispersi tra vallate. Smontano pezzi di montagna, cementificano le valli ma nessuno se ne accorge. E chi ha occhi poi si acconcia sull’altro slogan in voga: tremila posti di lavoro! Di questi tempi buttali via”. Il cantiere è allestito in un pianoro che si allarga tra due costoni, siamo all’ingresso del buco, a Isoverde, frazione di Campomorone: “Qui inizia il cosiddetto Terzo valico. Sono trentanove chilometri di ferrovia in galleria su 53 di tracciato. Prima si pensava di far viaggiare le persone e si ipotizzò un flusso di 50 mila pendolari. Ma erano stime farlocche e allora il progetto è stato convertito sulle merci”. Porta gli occhiali, tra le mani due faldoni di documenti. È Mauro, ingegnere. “La cosa che più amareggia è che questo mostro di opera non poggia su una necessità, non ha una motivazione”. Il gruppetto dei contestatori è una fragile linea di resistenza. C’è Gianluca che fa l’operaio metalmeccanico. Poi Lorenzo, falegname, Lucio è tecnico di laboratorio, Silvana è impiegata presso uno studio notarile, Federico è disegnatore, Fiorella lavora in un’agenzia di assicurazioni, Andrea è pompiere, Laura avvocato. Gianluca non ci può credere: “Qui si spendono soldi per aprire buchi, dall’altra parte della montagna non c’è un euro per riparare le frane e consolidare i costoni scesi giù. È un paradosso eppure nessuno s’allarma. Qui c’era un bosco e quando lo hanno spianato i residenti si sono litigati la legna”.

Grumi di case lungo la strada che dovrà subire anch’essa delle rettifiche per far posto alle betoniere e agli autoarticolati: Borgo Fornari poi Voltaggio. Per dormire bisogna salire sui monti. Saliamo attraverso i boschi della Val Lemme, in provincia di Alessandria, proprio sul crinale che divide la Liguria dal Piemonte, il treno merci ad alta velocità passerà di sotto. Quassù si tengono le riunioni operative della resistenza. “Quanto costa un’opera, che beneficio darà, cosa potrebbe esserne di tutti quei soldi se fossero investiti in un altro modo”– dice Roberto, l’oste –. La gente pensa che sia un’opera utile e in realtà è dannosa e nel nostro piccolo abbiamo fatto tre giornate dal titolo ‘Adotta un ignorante’”. Per favorire gli indifferenti le serate sono state condite con lezioni di ballo. Finora tre gli appuntamenti musicali con i rudimenti del mambo, alcuni passi di bachata e un’infarinatura di sirtaki.

Da: Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2016

Vasco Errani: “Allucinante pensare che io abbia un conflitto d’interesse”

vasco-erraniCommissario Errani, il timore è che ad Amatrice e negli altri comuni del sisma si stia preparando una ricostruzione show. Soldi ovunque, forse più del necessario.

Noi faremo una verifica puntuale dei danni, ma tenga conto che il terremoto è avanzato molto in profondità fin verso le Marche. Entro il 15 novembre avremo un quadro ancora più minuzioso degli interventi da finanziare.

Se si gonfia il danno si gonfieranno i bisogni. Più bisogni, anche fittizi, e più tempo per realizzarli. Lo spreco non brucia solo risorse ma danneggia la vita dei residenti.

Il mio compito è di non sprecare neanche un centesimo. Furbate non sono ammesse.

Intanto le casette provvisorie costano 200 euro in più al metro quadro del prezzo medio di una villa in muratura in provincia di Rieti, dati dell’Agenzia del territorio.

La Protezione civile, non io, ha bandito una gara ben prima dell’evento di Amatrice nell’ottica di avere disponibili nel più breve tempo possibile soluzioni per l’emergenza in aree colpite da calamità. È stata una scelta preventiva di grande lucidità.

Il fatto che non siano correlate al disastro di Amatrice non riduce l’entità del costo che sembra esagerato.

La gara è stata effettuata dalla Consip con criteri di assoluta trasparenza e con tabelle altrettanto certificate.

Non la imbarazza l’appalto aggiudicato da imprese vicine alla Lega Coop?

Un processo alle intenzioni.

Lei è emiliano, già governatore, con legami solidi con quel mondo. La ragione della mia domanda è dentro la sua storia personale.

Non c’è nessuna attinenza tra quel fatto e il mio incarico, la mia persona o i miei atti. È allucinante che lo si pensi.

Il problema più grande quando si ricostruisce è fare in modo che non si formino cartelli di imprese e di tecnici, i grandi monopolisti.

Abbiamo previsto criteri molto stringenti per la selezione delle imprese e dei tecnici. Circolarità degli affidamenti, controllo permanente e trasparenza dei dati.

L’Italia è tremula soprattutto lungo la sua dorsale appenninica. E questa Italia interna è punteggiata da paesini dove il circuito familiare e anche quello politico condiziona fin nei dettagli ogni singolo atto.

Cosa vuol dire?Continue reading

ALFABETO – TULLIO DE MAURO. Italia, Repubblica popolare fondata sull’asineria

tullio-de-mauroSiamo la Repubblica dell’ignoranza, degli asini duri e puri, degli analfabeti di concetto, di concorso, di condominio, da passeggio e da web. Passano gli anni ma restiamo sempre stupiti della mostruosa cifra dei concittadini incapaci di comprendere o persino leggere una frase che non sia un periodo semplice (soggetto, predicato e complemento) e un’operazione aritmetica appena più complessa dell’addizione o della sottrazione a due cifre.

Tullio De Mauro è il notaio della nostra ignoranza.

Sono ricerche consolidate, l’ultima dell’Ocse è del 2014, che formalizza il grado italiano di estremo analfabetismo. Mi succede ogni volta di dover spiegare che la sorpresa è del tutto fuori luogo, i dati sono consolidati oramai.

Professore, asini eravamo e asini siamo.

Abbiamo una percentuale di analfabetismo strutturale intorno al 33% in misura proporzionale per classi di età: dai 16 anni in avanti. Il 5% di essi non riesce a distinguere il valore e il senso di una lettera dall’altra. Avrà difficoltà a capire ciò che divide la b con la t la f la g. Cecità assoluta. Il restante 28 ce la fa a leggere, ma con qualche difficoltà, parole semplici e a metterle insieme: b a c o, baco. Singole parole.

Qui siamo al livello 1: totale incapacità di decifrare uno scritto.

Il cosiddetto livello degli analfabeti strutturali.

Passiamo al secondo livello.

Gli analfabeti funzionali. Riescono a comprendere o a leggere e scrivere periodi semplici. Si perdono appena nel periodo compare una subordinata o più subordinate. E uguale difficoltà mostrano quando le operazioni aritmetiche si fanno appena più complicate della semplice addizione e sottrazione. Con i decimali sono guai.

Dentro questo comparto di asineria alleviata c’è un altro 37% di compatrioti.

Purtroppo non ci schiodiamo da queste cifre.

Quanta gente ha una padronanza avanzata di testi, parole e concetti?

Il 29%. Si parte dal terzo gradino, quello che definisce il minimo indispensabile per orientarsi nella vita privata e pubblica, e si sale fino al quinto dove il forestierismo è compreso, si ha la padronanza della lingua italiana e anche di quella straniera.

Con gli anni si peggiora.

È un processo di atrofizzazione del sapere costante e lievitante.Continue reading

REPORTAGE: Dal cratere a L’Aquila “Qui tra le macerie ormai da sette anni”

schedaAmatrice, Accumoli e Arquata, le regine sfortunate di questa nuova tragedia nazionale, fanno da specchio rifrangente. Il disastro è dentro i confini di questa tripla A, solo lì, sempre lì. E ogni telecamera, ogni cura, attenzione, aiuto si dirigono naturalmente verso questa frontiera del dolore. Invece la strada che punta verso L’Aquila accosta Comuni che hanno tremato ma non sanno dir come.

Montereale, per esempio, sussulta dal 2009, da quell’altro sisma. Alla farmacista, piazzata in un box all’ingresso del paese che diversamente dai suoi vicini si distende in piano, hanno detto di aspettare. “Sono sette anni che sto così. Dobbiamo ricostruire, ma quando?”. Cinzia Lolli pensa al vecchio sisma, quello che colpì L’Aquila e danneggiò il suo negozio. Il sindaco parla del nuovo: “Sono già stati compiuti 421 sopralluoghi su 1832 segnalazioni. Ma io sto parlando di questo terremoto qua”. Il municipio è già al suo secondo trasloco. Dalla sede originale, inagibile nel 2009, alla casa dei forestali. In sette anni non c’è stato tempo di renderla sicura e così dopo il 24 agosto ha ceduto anche la seconda sistemazione. Adesso Massimiliano Giorgi, poliziotto e primo cittadino, è sistemato nella sede provvisoria della scuola elementare, con la scrivania all’ingresso delle aule.

I SOLDI non sempre aiutano e nel conto de L’Aquila – benché la stima totale sarà vicina ai 12 miliardi di euro – i danni della piccola Montereale fanno fatica a essere ricompresi. Degli 80 milioni di euro preventivati solo 12 sono andati a segno. Il resto è fermo, immobile. “L’anno scorso eravamo pronti con le progettazioni esecutive, stavamo per partire quando bum…”, dice il sindaco. Aggiunge però che per tre anni, e lui certo non è il colpevole, nessuna ruspa è entrata in funzione. Comune commissariato, uffici fermi dal 2009 al 2012. Poi si sono messi di mezzo i tecnici che, oberati dal lavoro, hanno ritardato la consegna dei progetti.

Non c’è terremoto senza la presenza di un partito forte, agguerrito, trasversale: quello appunto dei progettisti. Monopolisti degli incarichi (parcella del 10 per cento sul totale del contributo), scandiscono i tempi della ricostruzione. All’inizio accaparrano committenze attraverso i circuiti familiari o politici (per raggranellare più progetti senza dare nell’occhio si fa generalmente ricorso a teste di legno, colleghi in disarmo o giovani disoccupati di altre città che pur di lavorare accettano il subappalto) e poi con comodo esaudiscono le richieste. E per loro adesso è una doppia fortuna perché a Montereale, che è un borgo per fortuna integro, vecchi e nuovi danni si sommano e chissà… Una frazione, Aringo, è stata particolarmente colpita e poi altri interventi sparsi.

Cinzia la farmacista aspetta e nell’attesa indica la strada di Campotosto, un altro dei Comuni ricompresi nell’area del cratere. La strada che ci conduce è bellissima, siamo nel grande recinto del parco del Gran Sasso, le siepi ordinate, il manto perfetto, le cunette tenute a bada per bene e case all’apparenza dritte e solide. Poi il lago che d’estate chiama gente. Quindi il ristorante, l’unico nei paraggi. Nel parcheggio auto della polizia locale di Mantova, di Milano. “Fanno servizio ad Amatrice”, spiega l’oste. Anche Campotosto ha tremato, e infatti è ricompreso tra i Comuni destinatari delle provvidenze. “Qui il ristorante ha tenuto perfettamente. È caduta la casa dell’assessore, poi non so co s’altro. Noi siamo in tre e abbiamo preso in gestione questo ristorante, siamo giovani e ottimisti, però…”.Continue reading

IL MONDO DI SOPRA E QUELLO DI SOTTO

A casa del Poeta tra ricordi, scoperte e nuovi progetti.
Quindici ospiti sconosciuti, la poesia di Cappello, i viaggi di Caporale e la nascita di un libro.

caporale-cappelloPomeriggio-evento, quello di sabato 12 novembre, a Cassacco (Udine). A partire dalle 16.30 Pierluigi Cappello condividerà eccezionalmente gli spazi intimi della propria dimora con un ristretto pubblico (quindici persone) in occasione di un incontro con il giornalista Antonello Caporale, firma del Fatto Quotidiano.

L’iniziativa permetterà non solo di saggiare in anteprima alcuni versi del poeta friulano prossimi alla pubblicazione e i reportages raccolti nell’ultimo libro di Caporale (“Acqua da tutte le parti”, ed. Ponte alle Grazie), ma anche di assistere ai passi creativi per un’opera possibile e congiunta, frutto del vissuto e della sensibilità di entrambi gli autori.

Nel corso della conversazione, infatti, il poeta e il giornalista confronteranno i ricordi legati alla comune esperienza del terremoto: Cappello aveva nove anni e, viveva a Chiusaforte, quando sperimentò le devastanti scosse in Friuli del 1976; Caporale, originario di Palomonte,in provincia di Salerno ne aveva diciannove quando sussultò per quelle in Irpinia, nel 1980.

La storia d’Italia raccontata attraverso i terremoti. A ciascuno il suo.

Immagini ed emozioni condivise nell’ambiente riservato e accogliente di casa Cappello, accessibile per l’occasione anche alle prime quindici persone che si “auto-inviteranno” via email all’evento.

Gli interessati dovranno inviare la richiesta (singola) di partecipazione all’indirizzo acasadelpoeta@gmail.com. I mittenti più rapidi saranno invitati a indicare un contatto telefonico per la conferma della presenza e le necessarie informazioni logistiche.

 

ALFABETO – PIPPO BAUDO: “Senza tv sono finito. E a 80 anni divento il nonno di Stato”

pippo-baudoPippo Baudo senza la tv non è un uomo ma una foglia d’autunno.

La televisione è la mia vita. Ho faticato tanto, ma tanto… ho fatto a cazzotti per entrarci e difendo il cursus honorum, la voglia di fare, di esserci, di dire la mia parola.

La sua condizione è, con ogni rispetto, anche però figlia di una sindrome ossessiva. I più bei testi di psicopatologia affrontano questo disagio.

Convengo, sono così, devo ammetterlo. Pippo senza la tv non ha identità, senso di sé. E’ un uomo morto.

Invece Pippo è monumento patrio, storia nazionale e naturalmente leader per acclamazione, in quanto nonno di Stato, del nascente partito della Nazione.

Fui democristiano, ma sempre di pensiero. Mio padre conobbe Sturzo, fu collega di Scelba, e la mia democristianità è stata sempre espressa liberamente. Al centro con lo sguardo rivolto a sinistra. Aldo Moro la mia luce e poi Gianni Marcora. Se Moro non fosse caduto in quell’agguato avremmo avuto il compromesso storico. La salvezza e la speranza.

Se Renzi avesse avuto lei per nonno, sarebbe incorso in minori difficoltà con l’elettorato. Sa che ci sono italiani oramai così diffidenti che dubitano persino quando lui dice: mi chiamo Matteo. Sarà vero? Sarà falso?

In effetti cova questa sospensione di giudizio, l’interrogativo ce lo poniamo. Bisogna ancora vederlo all’opera per bene.

Comunque nel mezzo dell’Italia non c’è Matteo ma sempre Pippo.

Mai voluto candidarmi. Quattro volte me lo hanno chiesto. E a Prodi, che mi aveva proposto di provare a immaginare un mio ruolo da presidente della Regione Siciliana, dissi: mi volete morto? Conosco la mia terra, e so che insomma la mia vita, se mi fossi incartato in un ufficio di governo, sarebbe finita presto.

La sua vita è Domenica In.

Non è un amarcord, ma lo sforzo di seguire il ritmo del tempo, il senso di questa nostra età. Infatti sono accompagnato da donne giovani. Le ho volute io, sa? E domani, per esempio, nel mio programma ospiterò il film di Roberto Faenza sulla vicenda di Emanuela Orlandi. Storia controversa e scabrosa. Attualissima.

Voi vecchi avete fregato i giovani. O perché avevate i soldi che non ci sono più o perché eravate più bravi.

I soldi c’erano, vero. Infatti quando ora chiamo gli ospiti avverto subito: vieni in amicizia perché qua il piatto piange. Li chiamo io e per affetto… Detto questo aggiungiamo…

Diciamola tutta.

I vecchi sono mostruosamente più bravi. Mi fermo al mio campo ed elenco nelle varie specialità: Garinei e Giovannini, Antonello Falqui, Nino Manfredi. Autori o registi o attori. Ovunque muovi il ricordo trovi dei talenti ineguagliati.

Siete troppo forti voi.

Mi sembra di sì.

Fa bene a insistere.

Altrimenti muoio. La morte civile, ricorda il titolo della commedia di Bracco?

Eppure politicamente lei sarebbe perfetto. Un comizio di Pippo Baudo sul referendum spaccherebbe.

La Rai mi ha fatto firmare una postilla contrattuale che mi impedisce di pronunciarmi.

Nessuno però può impedirle, interna corporisContinue reading

LA DEMOCRISTIANA VERGOGNA DEL SÌ

francesca-archibugiÈ sbucato dal computer di Francesca Archibugi, regista intimista, il tweet della trasgressione: “Mi pare che quelli orientati al Sì al referendum non si espongono per non essere mangiati vivi da destra e da sinistra”. Esponendosi quel poco che si è inteso non ha approfondito per non correre rischi ma ha certo scagliato la pietra nella direzione indicata da Fedele Confalonieri qualche giorno fa: “Oggi fa fino votare No. Come al tempo della Dc quando sembrava che nessuno la votasse”.

L’evocazione della maggioranza silenziosa, cappelli oltre la linea degli occhi per mimetizzare la cornice del viso e bocche cucite per il timore del nemico (“Zitto, il nemico ti ascolta!”) è tale che alcuni followers della Archibugi si sono fatti coraggio e hanno iniziato a confessare. Uno, si fa chiamare Matt e forse è un pensionato di Forlì che combatte sotto copertura, le ha spiegato nella sofferta discussione che ne è seguita: “Con amici e conoscenti non mi espongo. Grillini e sinistra estrema son pronti con risposte a memoria”. La paura di esporsi per il governo e il suo capo è una novità di cui lo staff renziano dovrebbe prendere urgentemente nota. Perché il silenzio stride con il lifestyle di Matteo, il rumore della sua presenza, lo spaccio quotidiano delle sue parole e del suo ottimismo. Come sia stato possibile in soli due anni ritornare alle abitudini democristiane sarebbe questione da approfondire. Ma il timore serpeggia e solo alcuni coraggiosi, come la scrittrice Elena Stancanelli, si ribellano al clima di terrore che le agita: “Io voto Sì e adesso sbrana temi”, ha detto, e qui l’audacia l’ha avuta vinta.

In effetti la somma aritmetica dei vip che dichiarano il No al referendum costituzionale è maggiore di coloro che invece ammirano le ragioni del Sì. Bisogna dire che per il campo della maggioranza si è schierato un big, Roberto Benigni, che sulla Costituzione (la più bella del mondo, eccetera) ha innestato la sua arte e l’ha fatta decollare verso vette altissime e dunque il corto circuito che poi ha provocato è stato tremendo. Al punto che Carlo Verdone è rimasto terrorizzato: “Uno dà un giudizio e si scatena l’inferno, vedi Benigni. Io vorrei starne fuori”, e ha chiuso la bocca.Continue reading

ALFABETO – In Parlamento così fan tutti: votare e poi dimenticare

parlamentoLa politica, diceva Guido Gonella, democristiano del secolo scorso, è “fatica senza lavoro, ozio senza riposo”. Nella politica affonda la vita, ogni passione e ogni sconcezza. E, come vedremo da qui in avanti, persino la memoria vi annega.

Il legislatore smemorato non è un signore di tarda età affetto da Alzheimer, ma la condizione attuale in cui ogni membro del Parlamento si trova. Così tante sono le leggi, i regolamenti, le mozioni e gli indirizzi da essere sconosciute persino da chi le ha approvate. In questo mini sondaggio, molto approssimato, alcune delle risposte più significative alla seguente domanda: lei quante leggi ricorda di aver votato? Beninteso non il numero, che sarebbe un’enormità, ma almeno il contenuto, una breve illustrazione del testo.

ANTONIO MISIANI, che con Bersani segretario era tesoriere del Pd, ricorda “quelle più note: la riforma del lavoro, la Buona scuola. Diciamo che rammento il quaranta per cento. Di più non credo, non so, davvero non è possibile conoscere. Si va in aula e si accoglie l’indicazione del partito”. Andando ciascuno in aula nell’attesa che qualche altro indichi il voto giusto, il risultato si fa comico. Augusto Minzolini, senatore di Forza Italia: “Tu voti tutto e se ti ripresentano il piatto davanti voti anche il suo contrario. Voti e non t’accorgi perché voti senza sapere. Perché non fai il tuttologo e non ti puoi permettere di approfondire ogni cosa. Avevo perciò proposto di fare una riforma costituzionale che desse alla Camera dei deputati il potere legislativo su tutte le leggi di spesa e al Senato la discussione sui grandi temi di politica estera, difesa, sulla società”.

IL DEPUTATO a sua insaputa è interpretato meravigliosamente da Gianfranco Rotondi, democristiano di antica specie, che si è trovato a dare l’assenso a norme del codice penale che gli fanno ribrezzo. “Non so cosa mi è successo, ma ho detto sì alla criminalizzazione del voto di scambio e del traffico di influenze. Se avessi riflettuto per bene avrei dovuto considerare che la politica è un permanente voto di scambio, senza il quale non esisterebbe la rappresentanza. E così pure il traffico di influenze. Dire che si condanna il traffico illecito è pura castroneria. Lecito e illecito sono come il mare che si increspa e un’onda surclassa l’al tra. L’acqua si mischia sempre e per sempre. Quindi, riepilogando: non soltanto noi parlamentari non conosciamo ciò che facciamo, non ricordiamo buona parte delle leggi che approviamo, ma addirittura ci infiliamo nel cul de sac di licenziare norme che non condividiamo. L’idea maestra su cui si fonda questa speciale inettitudine è che il legislatore ritiene che la legge valga solo per gli altri. Me ne sono accorto quando un procuratore della Repubblica mi ha confessato: ma lo sa che con la nuova normativa sul voto di scambio vi potremmo incriminare tutti? Allora mi son detto: ohibò!”.

L’OHIBÒ, lo stupore per quello che si fa senza saperlo, è il sunto di una nazione che già per suo vezzo rifugge dalla memoria. Non ricorda, e se rammenta non riflette, e se riflette poi si stanca e cambia strada. Il Parlamento di una Nazione smemorata poteva essere diverso? “Provi soltanto a conoscere le cose più importanti, i testi fondamentali. Tutto il resto è un fiume in piena che si ingrossa automaticamente”, dice Cinzia Bonfrisco, che guida i senatori fuggiti da Berlusconi ma non confluiti dentro le tasche di Denis Verdini.

HA RAGIONE il Financial Times: il problema del Parlamento italiano è la quantità delle leggi che si approvano, perché di lentezza non pare che soffrano le due Camere bensì di ipertrofia. “Azzanniamo ogni cosa, buttiamo in aula e facciamo finta di discutere e di approvare migliaia di mozioni, di documenti di indirizzo. Esageriamo, ci abbuffiamo di norme e poi, certo, magari ci mettiamo nella condizione di essere svillaneggiati perché non le ricordiamo”.

La smemoratezza è tratto comune, elemento costituente di un mestiere che si compone di parole, e sulle parole costruisce la propria fortuna. Vai poi a rintracciarle una per una! Se il giovane Simone Valiante afferma che è in grado di ricordare più o meno tutto (“ma sono solo tre anni che sono qui dentro e ho la memoria ancora fresca”) il suo compagno di partito David Ermini (Pd) tenta di tenere a freno l’enorme confusione attraverso un taccuino: “Mi segno nell’agenda per tentare di avere chiaro quel che devo fare e che ho fatto. Ma in tutta sincerità, cosa vuole che ricordi, cosa vuole che sappia di tutto quel che si fa?”.

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 ottobre 2016

PONTI&PILONI: DELRIO MINISTRO SIGNORSÌ

graziano-delrioLa trasfigurazione di Graziano Delrio da ciclista buonista, ministro pragmatico e prudente in uno chansonnier renziano è divenuta certa ed evidente quando all’inizio dell’estate il presidente del Consiglio convocò i corrispondenti delle testate di tutto il mondo per annunciare che una delle vergogne italiane, i lavori infiniti per l’ampliamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, era stata smacchiata. A dicembre, disse, vi consegneremo quel tratto completato. “Inutile che sorridete”, avvertì Renzi nient’affatto intimorito del pericolo che le sue parole contenevano.

SE IL PREMIER ha una confidenza approssimata con la verità, invece non si può dire per il suo ministro delle Infrastrutture. Ma Delrio curiosamente non fiatò. Non disse quel che sapeva, e cioè che alcuni tratti della rete autostradale non erano stati neanche messi in cantiere per assenza di quattrini. Nel silenzio lasciò che alla stampa fosse venduta una notizia parziale, fosse annunciata per compiuta l’incompiuta, trasformando la A in B, il sopra in sotto.

Da quella data, la barba di Delrio ha iniziato a incresparsi e anche la sua memoria a fare cilecca. In breve: a divenire il ministro Signorsì. E sempre facendo finta di non ricordare quel che aveva detto, ha fatto da spalla al premier quando all’improvviso ha messo al l’ordine del giorno la costruzione del Ponte.

Adesso c’è da dire una cosa: per il Sud, Delrio s’è dato da fare più dei suoi colleghi. Ha sbloccato i lavori per l’hub dell’Alta velocità ad Afragola e finanziato il tratto ad Alta capacità Napoli-Bari. Quel poco che poteva l’ha fatto. Comunque ha dovuto lasciare la Sicilia con i ponti a mezz’aria, le strade franate, le autostrade interrotte e in Basilicata la Basentana, l’unica via che la attraversa, allo stato di colabrodo, in Calabria la famigerata statale ionica in un cantiere interminabile. Delrio poteva fare suo il motto sudista: amici, senza soldi non si cantano messe!Continue reading

Poltroncine in faccia e meno soldi per D’Alema

dalemaFascicolo D’Alema. È il tempo della “rabbia e dell’odio” e il mondo renziano, montando l’ansia per l’esito incerto del referendum, colpisce il principale nemico interno del No con le mani rudi del più fisico tra i suoi rappresentanti. Poltroncina in faccia. Ma anche l’embargo economico alla Fondazione Italianieuropei, la struttura organizzata della quale D’Alema è presidente.

Iniziamo dalla poltroncina. Ieri nella battaglia campale anti-dalemiana è comparso Luca Lotti, nome potente e silente. Come si sa Lotti non parla, bofonchia. Ieri invece ha azzannato D’Alema ricordandogli la furia cieca (infatti ha scritto “accecato”) con la quale l’ex segretario del partito ed ex presidente del Consiglio si scaglia contro il Sì, una ritorsione “per non aver ottenuto la sua poltroncina di consolazione”. Riferimento all’ufficio di commissario europeo delegato agli Affari esteri a cui D’Alema teneva così tanto che alla fine Renzi non ha concesso, preferendogli Federica Mogherini. Lotti, abituato come detto alle frasi brevissime, questa volta è comparso non in voce ma con un lungo e accurato scritto nel quale, senza un filo di sgrammaticatura (è purtroppo accaduto che parlando a braccio incorresse in devianze lessicali sia pure di modesta entità) gli ha illustrato i demeriti della propria azione politica. Gli impegni presi ma non evasi, le leggi annunciate e abbandonate, le riforme avanzate ma poi abortite. Su tutto è però, l’accusa più feroce: D’Alema è un ritorsivo e fa pagare al Pd il prezzo della sua mancata nomina. Per una “poltroncina” si fa “accecare” dall’odio.

L’ATTACCO così puntiglioso e plateale, di cui Lotti è esecutore e non mandante, si completa con un lavoro, sotterraneo, di moral suasion nei confronti dei finanziatori e sostenitori della Fondazione. La quale ha sempre avuto un enorme numero di amici e di imprese, molte di esse partecipate dallo Stato, molte altre proprio nelle mani del governo. Capitale economico necessario per permettere al think tank di liberare le energie intellettuali di cui dispone. Ventaglio veramente vasto dentro il quale, per dire, figurano anche le menti di Giulio Napolitano, figlio di Giorgio, e di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia di Renzi. Mps, Enel, Unicredit, Rai, Aeroporti di Roma hanno scelto di vedere i loro loghi sulle pagine della rivista della Fondazione. E tanti amici, anche di opinioni politiche differenti, hanno sostenuto lo sforzo dalemiano di dare all’Italia una cultura europea. Angelucci e Merloni, Marchini e Guidi, Coop e Pirelli. Amici, amici e amici.Continue reading