ALFABETO – MARINO NIOLA: Ricchezza e paura, i peggiori nemici dell’ospite straniero

marino_niolaPerché l’Italia più ricca è anche la meno generosa con i migranti, umanità perduta e derelitta per definizione? I fatti di Goro, nel Polesine, dove gli abitanti hanno costruito barricate per respingere, riuscendovi, delle donne africane (dodici) con otto bambini al seguito, indicano il punto della crisi della solidarietà tra simili. Dà conto del senso affievolito di una civiltà, la nostra appunto, che ci pareva non potesse offrire il segno ostile del respingimento. Marino Niola, da saggio antropologo, ci fa incamminare verso la strada giusta per comprendere o almeno tentare. “Il povero più facilmente divide quello che ha perché sa che la sua vita si regge sulla solidarietà e sullo scambio. Il tuo simile è quello che ti fa sopravvivere. Il ricco invece sviluppa un senso di autosufficienza, modula sulla propria fatica e sul proprio talento la percezione totalitaria della sua esistenza”.

Il povero è aperto al mondo e il ricco no?

Il povero conosce la necessità della connessione, il ricco conosce la responsabilità delle proprie azioni. Il povero per definizione vive una vita più comunitaria. Chi sta meglio invece è più solo. Non a caso lo spirito capitalista si innesta fortemente nell’etica protestante. Il principio della responsabilità del singolo dà implicitamente il senso della solitudine di ciascuno: solo con la propria vita, i propri guai, il proprio benessere.

Invece la cultura della compassione è mediterranea.

Esatto. Trova radici più salde andando verso Sud. E qual è la lezione principale che impartisce? Nessuno è mai solo.

Non basta questa spiegazione di ordine etologico a convincerci dell’ineluttabile rovescio della nostra esistenza: più ricchi ma più egoisti.

Infatti aggiungo considerazioni di ordine sociale ed economico. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno vissuto il miracolo economico, la certezza che si potesse vivere solo meglio del tempo in cui si era nati. Oggi la consapevolezza del peggio è comune e profonda. Un mondo così precario, un’economia così traballante, un futuro mai tanto incerto. Allora ci diciamo: potremo stare solo peggio. La paura ci conduce all’egoismo: ritrarsi in casa, sbarrare la porta. Esattamente com’è successo a Goro.

E succederà ancora?

Certo che sì. Mi sarei aspettato un avamposto varesotto protoleghista come punta di diamante di questo respingimento di piazza. Pensavo che il Polesine, così dentro alla tradizione cooperativa emiliana, facesse più resistenza a questa paura. Ci troveremo comunque di nuovo e ancora momenti simili.

Lo straniero alle porte.

Partiamo dalla parola. In greco è xenos : straniero ospite per antonomasia. Infatti per i greci lo straniero è il Dio nascosto. Il latino hospes significa sia ospite che straniero e anche nemico. È dentro l’etimo l’angoscia, l’insicurezza. Se non è ospite, sarà nemico. E dunque?

Dunque, come diceva Sofocle…Continue reading

TERREMOTO, L’ESTETICA VINCE SULL’ETICA

donazioniPiù dell’etica conta l’estetica. Anche il terremoto ha un suo rito e quando il canone non è completamente scritto secondo le regole accade che la tragedia venga ridotta di scala. L’altra sera non c’era nessun volontario a svuotare i pochi camion con i pochi primi generi di necessità tra Alba Adriatica e Porto Sant’Elpidio. Maglie, maglioni, mutande, detersivi giunti invece in una misura così sterminata ad Amatrice nelle prime ore del 31 agosto e poi nelle lunghe giornate di settembre da far dire alla Protezione civile di fermare gli aiuti e raccomandare agli italiani di non mettersi in cammino senza essere autorizzati. I soccorsi erano in misura più che sufficiente da non richiedere altre mani e gli aiuti materiali così eccessivi che qualche giorno fa il sindaco Sergio Pirozzi spiegava ai suoi concittadini: “È giusto che tutta quella roba che abbiamo ricevuto e non ci serve la inviamo ai poveretti dell’Asia, dell’Africa, a quelli che soffrono”.

OGGI NON CI sono colonne alle porte di Norcia, i soccorsi fanno fatica a coprire tutta l’area del sisma, che è più vasta di quel che si sperava, gli sms con i 2 euro indirizzati alla Protezione civile languono, le donazioni private pure, di italiani in cammino volontariamente verso quelle zone non c’è traccia, ma soprattutto la copertura mediatica che il martirio di Amatrice produsse sta già per finire. Non ci sono morti da piangere, feriti da salvare, pietre da spalare, eroi di cui parlare. Dobbiamo dircelo: il terremoto senza morti è già un altro terremoto. Il dolore per le vite perdute spinge a una vicinanza e solidarietà improponibili nei luoghi in cui per fortuna si contano solo danni materiali. È del tutto naturale che sia così. Meno però che l’emozione per il terremoto che causa morti sviluppi – a parità di danni – una misura di assistenza e di aiuto economico differente da quella dove il lutto non c’è stato. A San Giuliano di Puglia, 27 bambini e le loro insegnanti perirono per l’incoscienza dell’amministrazione comunale che autorizzò una soprelevazione dell’edificio senza nessuna cura per la staticità dello stesso. Il paese nella sostanza resse, si sbriciolò solo quella scuola. E quei bimbi innocenti sotterrati dalla irresponsabilità pubblica, divennero titolo perché il Comune fosse inondato da soldi. Andate oggi e vedete: una comunità gonfiata dai denari, case enormi e vuote, luogo eletto alla speculazione edilizia. E il sisma che colpì il 1997 Colfiorito, ancora Umbria, chi lo ricorda più? E quanto dibattito c’è stato sulla condizione abitativa di Amatrice che ha subìto dalla inettitudine dei suoi amministratori, recenti e passati, il conto di un disastro in vite umane senza pari?Continue reading

Bersani e la resistenza al Renzi “pigliatutto”

bersaniIl “traditore”, il “vigliacco”, o, nelle forme più pudiche, il “risentito” Pier Luigi Bersani sbuca a Fiano Romano in un circolo irredentista del Pd.

Tiene la sua lezione di resistenza nel giorno in cui il web, divenuto gigantesco teatro di guerra tra filogovernativi renziani e non, svuota sulla coccia pelata dell’ex segretario ogni ben di Dio. Lui non mette la coccia sotto il cappello, e già a Roma, prima di partire, dichiara l’atto di belligeranza durante un forum su Repubblica.it: “Li sbrano”.

GIUNTO tra le mura amiche, dispiega l’armamento: “Se vince il Sì tempo mezz’ora e si parla di elezioni anticipate, si va dritto lì c’è poco da fare. Inizieranno i mercati a sondare, chiedere, ansimare: ce la farà Renzi oppure Grillo lo fregherà? E la discussione scivolerà direttamente nelle urne, ci terremo l’Italicum così com’è e addio. Col 25 per cento ti prendi tutto: governo, Parlamento, Corte costituzionale. Ma attento, che a furia di semplificare arriverà un altro che lo farà meglio di te e ti spianerà”. È un No tondo e parrebbe definitivo. Irrecuperabile: “Cosa andavo a fare alla manifestazione del Pd? A far finta che tutto funzionava?”. Non funziona il Senato, non si capisce un tubo di quel che dovranno fare i senatori, se non che ci sarà una gran corsa alla selezione tra chi ha bisogno dell’immunità e chi no: “Assisteremo a lunghe trattative, regione per regione, con negoziati del tipo: io vado a Roma perché c’ho necessità, e tu fai l’Assessore”. L’inquisito traghettato fomenterà l’antipolitica: “E vedrete i grandi commentatori dei grandi giornali (a uno dei quali qualche ora prima era stato ospite, ndr) che adesso sono tutti ottimisti e positivi come imbracceranno il forcone…”.

L’eloquio bersaniano procede con i ritmi conosciuti. Alle metafore, suoi grandi cavalli di battaglia, giudizi secchi e piuttosto allarmanti. Dunque: Renzi che si crea da solo pasticci è come il marito che cerca “il freddo nel letto”. Tra i migliori pasticci, esaminata la sciagura referendaria e soprattutto l’Italicum (“hai voglia di commissioni…”) si passa al secondo peggio: “Prima la finiamo con i voucher, prima li eliminiamo dal mercato del lavoro e meglio sarà per la sinistra. Col voucher il mondo non gira, la nostra gente è fregata e chi prende tutto il pacchetto è la nuova destra che si sta riorganizzando”. Lui, o meglio l’Ulivo, aveva lasciato il deficit a 102 punti su cento. Oggi supera il 130 per cento. “Ma che senso ha vendersi casa per andare in affitto?”.Continue reading

Presentazione a Gubbio del libro Acqua da tutte le parti

Caporale-Acqua-da-tutte-le-partiDomani sera venerdì 4 alle 21.15 sarò a Gubbio al Refettorio della Biblioteca Sperelliana per presentare il mio ultimo libro. Non credevo e non speravo affatto che il mio lavoro intersecasse il dramma del cuore dell’Italia interna, il quadrilatero più ricco e prezioso finora non afflitto dallo spopolamento e dall’abbandono. Come fare, cosa fare perché gli italiani non fuggano verso la costa, perché l’Italia non frani verso il mare e smarrisca insieme alla memoria, identità, stili di vita, possibilità di lavoro che altrove sono impraticabili.
Fermare l’esodo significa anche immaginare soluzioni.
La disperazione è tale che ci resta solo la speranza. Io questa volta voglio essere ottimista. Forse ce la facciamo.

Il terremoto cambia verso e spiazza il piano Errani

terremotoIl verso d’un tratto paurosamente cambiato. Le cifre anzitutto. Ad agosto erano tremila gli sfollati, oggi sono almeno trentamila i senza casa e la curva è destinata a salire fino purtroppo a doppiarsi. Erano tre i Comuni rasi al suolo, quelli delle tre A (Accumoli, Arquata e Amatrice), oggi ne sono almeno trenta. C’era da assistere gli abitanti di un grumo di montagne interne e orgogliose, ma povere di reddito e di braccia; oggi è colpita una rete estesa e pregiata di case e palazzi, chiese e monumenti, attività artigianali e industriali. Il terremoto non è triplicato, è lievitato almeno di cinque volte tanto quanto la differente energia tra i 6 gradi Richter della scorsa estate e i 6,5 di questo caldo finale d’ottobre.

Ma le scosse hanno prodotto una crepa anche nell’armatura del sistema della Protezione civile che ha lesionato, irradiandosi, la macchina della ricostruzione affidata a Vasco Errani.

I FATTI. Un’ora dopo che il Mostro si è manifestato con una cattiveria senza pari, a Norcia –proprio lì –le tende mancavano. Quelle poche acquartierate nelle settimane della paura erano state inspiegabilmente ritirate. Ritirate, perché? Non una, ma innumerevoli volte i sismologi hanno avvertito non più tardi di qualche giorno fa che si era in presenza di una nuova faglia il cui movimento faceva presagire nulla di buono. Prima domanda: la Protezione civile ascolta le valutazioni dell’Ingv? E così al dramma di dover tutelare e assistere altre migliaia di persone, l’incredibile situazione di vedere l’epicentro della tragedia sprovvisto del sistema minimo di protezione: le tende, appunto.

A L’Aquila, che per clima e altitudine è agli stessi livelli di queste terre, delle tende si è perfino abusato, qui invece è stata decisa una privazione inspiegabile, ripetutamente confermata durante tutto il primo giorno da Fabrizio Curcio, il direttore della Protezione civile e condivisa, chissà perché, dai presidenti di Umbria e Marche e dai sindaci. Comando errato, scelta incongrua, esito infausto. Ci sono volute le proteste di chi, com’era prevedibile, non voleva lasciare la sua terra per far rientrare almeno parzialmente questa decisione.

MA SE TRASPORTARE e issare le tende è questione relativamente semplice e rapida, assicurare una sistemazione provvisoria dignitosa, come i container, è ora impossibile. La Protezione civile non possiede nelle sue aree di sosta che fino a qualche tempo fa erano sistemate lungo le maggiori direttrici stradali del Paese né container né camper. Incredibile ma vero. La gara d’appalto esperita dalla Consip è del 24 agosto (il giorno del terremoto di Amatrice, sic!) e dunque dovremo attendere dicembre, se tutto andrà nel migliore dei modi, per avere i primi sistemi abitativi. Tutta la letteratura specializzata insiste nel dire che chi è senza casa deve essere ospitato in condizioni sufficientemente degne, ma sufficientemente precarie per fare in modo che spinga da protagonista per una ricostruzione veloce e partecipata.Continue reading

Il Mostro è tornato e per la quarta volta si abbatte su Norcia

cratereA Borgocerreto, prima dello stop, c’è lei che al finestrino spiega: “È tornato il Mostro”. È una donna di quarant’anni, gli occhi celesti e dolci e il viso tirato in un sorriso di plastica. Il Mostro è sotto i nostri piedi ed è sbucato dall’asfalto. Sono tagli orizzontali regolari, dritti, secchi come lame. Formano lungo la strada che conduce verso il versante laziale un piccolo gradino, uno ogni cento metri, a dare il senso che la terra si è gonfiata infine si è squarciata.

La crepa è lassù, sul Monte Vettore e per giungervi si dovrebbe passare dalle Forche Canapine, almeno così dicono, ma quaggiù il mostro ha inghiottito Norcia, le sue mura di cinta e soprattutto il suo simbolo: la Basilica di San Benedetto. Si vede il rosone, l’enorme magnifica parete che non custodisce nient’altro adesso. È come un dente cariato. San Benedetto è patrono d’Europa e oggi che Bruxelles sembra matrigna viene da interrogarsi. Tre suore sono in preghiera. La più giovane mi si fa vicino: “Il nostro monastero è integro, non vorremmo essere portate via, ci dicono che dobbiamo trasferirci. Vorremmo un prefabbricato all’interno delle nostre mura per testimoniare la nostra presenza con la preghiera. Abbiamo scelto di vivere a Norcia e per nulla al mondo vogliamo abbandonarla. Dice che ce lo permetteranno?”.

Norcia è sbarrata e un gruppo di vigili del fuoco si riunisce in conciliabolo. L’ora solare, che ha mandato un’ora indietro gli orologi, ha fatto sì che questi soccorritori, in tutto circa duecento nel versante umbro, non si trovassero sui campanili delle chiese a mettere ordine tra tegole e mura cadenti. Almeno questa fortuna. Oggi non si contano morti e la scossa, di una energia cinque volte più potente di quella che ha fatto divenire Amatrice un cimitero, ha mandato in ospedale soltanto venti persone, tre in codice giallo. Duemilanovecentodieci furono i corpi che l’Irpinia sotterrò trentasei anni fa con un sisma di poco superiore. È pur vero che Norcia in tre mesi è stata perseguitata quattro volte. Una botta dietro l’altra, e sempre di magnitudo elevata, oltre a uno sciame sismico di una intensità senza pari che l’ha obbligata ad uscire di casa da agosto e a non mettervi più piede.

NORCIA È DISTRUTTA ma viva, se le case non fossero state ricostruite al meglio dopo il terremoto del 1997 adesso – per coloro che ancora le abitavano – sarebbe stata una bara. E invece… “Passi di là, mi raccomando”. Il vigile urbano indica la strettoia che bisogna utilizzare per schivare la frana e prendere la strada verso il Monte Vettore, il luogo dove il Mostro è sbucato, il costone in cui la crepa scende perpendicolarmente e affianca, di lì a pochi chilometri in linea d’aria una seconda terribile linea orizzontale che taglia in due la parete dei Sibillini. Il Mostro ha deviato il corso del Nera che è esondato e ha invaso la carreggiata, sempre lui ha reso irraggiungibile Castelluccio, una delle frazioni di Norcia avvolta in una nube chiara, la polvere delle pietre macinate come fosse stata inghiottita da un mulino. “Ho ancora la bocca di sabbia”, dice il sindaco di Pieve Torina, più a nord. “Sono io e il maresciallo in un container di due metri e mezzo, nessuno che ci è venuto a soccorrere. Fate qualcosa, avvertire che abbiamo bisogno di soccorsi urgenti”. E il suo collega di Pieve Bovigliana: “Io non ce la faccio più, sono tre mesi che non dormiamo”. Il terremoto ha scucito l’Umbria dalle Marche, le campagne di Spoleto da quelle di Tolentino. Alla radio c’è il sindaco di Arquata: “Oggi volevamo far festa, nel senso che avevamo deciso di sentirci vivi e scendere al fiume per recuperare almeno il ricordo della nostra sagra delle castagne. Qui è terra di marroni buonissimi e pensavamo che malgrado il paese fosse già a terra dovessimo dar prova di vita. Ma ora come si fa? Ora è finito tutto, ma tutto davvero”.Continue reading

Ciriaco De Mita: “La prima volta che lo vidi disse: mio padre è demitiano”

ciriaco-de-mitaFinalmente la smetterete di dire che lui parla veloce e si fa capire e gli altri no. Parlo lento ma mi faccio capire ugualmente”.

Quando Ciriaco De Mita era al potere i gerundi sbucavano da ogni angolo della bocca e le incidentali si ammassavano a forma di pila. Serviva una ruspa per liberare la strada delle sue consonanti.

Qualche anno fa (forse dieci) ero in Toscana e una signora mi ferma e mi dice: quant’era bello quando c’erano persone come lei che usavano un linguaggio complicato.

Contro Renzi ha cambiato tattica e l’ha messo al tappeto. Frasi secche, parole come lame.

Embè, quando si è messo a fare quell’intruglio di mistificazioni.

Ho pietà di te.

Pizzicando qua e là dal passato.

Nel tuo partito parli solo tu, gli altri sono muti recitanti.

Un partito che non esiste. C’è lui e lui solo. Bisognerebbe raccogliere e pubblicare i discorsi che fa in Direzione (che io ascolto e annoto).

Da te non mi aspettavo questa volgarità.

Ha infiltrato nel dibattito insinuazioni cattive, adombrando chissà che. Ha parlato di moralità. Detto proprio da lui che le ha inventate tutte.

Tu non hai il diritto di parlare di moralità della politica.

Ed è vero, è così.

Credo che tu sia irrecuperabile, hai una tale consapevolezza di te che non vedi limiti alla tua arroganza.

Mi aveva detto che avremmo dialogato e avevo ritenuto che volesse costruire. Ma poi quando gli ho sentito dire quelle cose, una mascalzonata…

Renzi è democristiano quanto lei.

Ora che ricordo, la prima volta che l’ho conosciuto mi disse che il suo papà era democristiano, anzi demitiano.Continue reading

ALFABETO – LUIGI ZOJA: “La paura ci salva ma per i politici è solo un mercato”

luigi-zojaC’è il terremoto. Abbiamo paura. Ci sono i migranti. Abbiamo paura. C’è la crisi economica. Abbiamo paura. L’età della paura è la nostra, ci accompagna ogni giorno, e ogni giorno trova nuova linfa, nuove occasioni di sviluppo. Una paura si somma all’altra e all’altra ancora e insieme queste nostre fobie edificano le pareti di una società infragilita che pulsa a volte rabbia e rancore, altre volte appare invece muta e sorda. Luigi Zoja ha indagato a lungo le sorgenti della nostra paranoia con un fortunato saggio edito da Bollati Boringhieri (Paranoia. La follia che fa la storia).

Professore, bisogna provare paura per poter vivere?

Assolutamente sì. È un istinto di repulsione che si oppone, essendo il suo contrario, a quello di attrazione. Eros e Fobos. Se i nostri antenati non si fossero amati noi non ci saremmo mai stati. Ma senza l’istinto di difesa, dettato dalla paura di essere attaccati da altri simili o da animali o soltanto dalla necessità di schivare un pericolo che avrebbe potuto manifestarsi come mortale, neanche saremmo venuti al mondo.

È questa dose eccessiva di terrore che complica notevolmente la nostra esistenza. Sembra che la paura sia stabilmente la nostra compagna di vita.

Qui è lo scarto tra l’istinto naturale e la costruzione di scenari che alimentano questo sentimento.

Come l’ossicitina che si somministra alla partoriente in travaglio, così la paura è indotta, alimentata, sostenuta?

La politica è attivamente alla ricerca di un consenso che molte volte trae origini dalla paura. La paura dell’altro, del migrante, del diverso, del nero, per fare l’esempio più banale e corrente. La paura alimenta emozioni, produce ansie e fa registrare consensi altrimenti rifiutati dalla logica.

L’età della paura si fonda su percezioni alterate.

Ricorda il tempo in cui eravamo circondati da ladri? Furti ovunque, televisioni scatenate, giornalisti a caccia di umani barricati in casa?

Ho l’impressione che questo nostro tempo abbia sempre bisogno di eccessi per sentirsi vitale. E vive sempre sull’orlo dell’abisso, attendendo che l’estremo segno del dolore gli faccia visita.

Le guerre alle porte, la grande tragedia climatica con le ondate migratorie, il terrorismo fanatico, la religione come lama per uccidere. Abbiamo una rassegna di eventi che, sommati, provocano quel tipo di mercato di cui discorrevamo.Continue reading

Sant’Agata di Puglia – Sette piani diventano tre e l’ecomostro resta dov’è

ecomostroSette piani all’apparenza ma tre all’occorrenza! Il più grande processo sull’effetto ottico si è svolto nei mesi scorsi alla Corte d’appello di Bari il cui giudice, stimando e ristimando la base per l’altezza, ha convenuto che un palazzo, originariamente valutato dal suo collega di primo grado di sette piani fosse solo di tre. La sentenza, che assolve la proprietà precedentemente condannata, si fonda sull’esito della perizia di parte che ha ricalcolato, in ragione del pendio dentro il quale è scavato l’immobile, la sua altezza.

La legge del pendio, o la norma sul pendio, sulla parete apparente o in ritiro, è una delle più fortunate esperienze legali di Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia ma avvocato di splendida e indubitabile fama a Bari che ha visto assolvere il suo rappresentato.

SIAMO a Sant’Agata di Puglia, paese della Daunia noto per il suo vento e infatti ai suoi fianchi, sorgendo su una collina, centinaia di pale eoliche gli tengono compagnia permettendogli, se solo lo chiedesse, di prendere il volo. Bene. Nel 2002 viene concesso un permesso di costruire lungo il costone che scende a valle. Un massimo di dieci metri e ottanta centimetri di altezza e non più di tre piani di felicità per il costruttore e per chi abiterà quel meraviglioso edificio. Le betoniere vanno un po’ a rilento, il permesso scade (tre anni è il tempo dato dalle leggi) ma soprattutto l’Autorità di Bacino individua nel sito prescelto un’area a pericolosità elevata dal punto di vista idrogeologico. Piogge e poi frane, l’incubo del nostro tempo. Indica l’area rossa, dove le costruzioni devono essere mitigate e soprattutto autorizzate da un permesso speciale. Il vincolo c’è ma chi lo rispetta? Le betoniere, anche se lentamente, fanno il proprio lavoro e il costruttore, giacché si trova, avanza con due distinte Dia il permesso a enfatizzare la sua costruzione. Gli ambientalisti lo chiamano subito “ecomostro”, il giudice di primo grado si limita a ritenerlo un’opera “monumentale”. Gli appartamenti vengono realizzati e anche le altezze si espandono. I piani divengono quattro e poi cinque e poi sei e infine sette.Continue reading

L’ITALIA ABBANDONATA – Borghi ormai condannati a morte, già in corso la grande fuga dal Centro

Dei 14 milioni di italiani che vivono sui versanti della dorsale appenninica, lungo il cordolo alpino o nelle aree interne delle isole, i più fortunati – fino a ieri – si consideravano i residenti tra le colline umbre e marchigiane. Sicuramente i più ricchi, meno oppressi di certo dall’erosione demografica, dal depauperamento urbanistico, dalla progressiva riduzione dei servizi pubblici essenziali.

IL COLPO più duro che questo terremoto infligge all’Italia è che ora schianta e crepa il nucleo duro della campagna felice, il tessuto dei borghi antichi, fragili ma riveriti. Umbri e marchigiani patiscono per la sesta volta in meno di quarant’anni il botto maligno e quel che fino a ieri non era accaduto oggi si nota a occhio nudo. “Non ce la faccio a tenerli qui, dobbiamo trovargli un posto negli alberghi sulla costa”, ha detto disperato e deluso dalla resa, il sindaco di Ussita. E una signora col giubbotto di lana sulla vestaglia da notte: “Io non ce la faccio più, non resisto qui”. Si è messa in moto la mesta colonna dei soccorsi, allineati i pullman della Protezione civile, caricati i tremila sfollati che andranno a svernare lungo la costa adriatica. Tremila è il numero provvisorio. Quanti di loro a primavera faranno ritorno? Ad Amatrice, per tentare di fermare l’esodo, la Regione Lazio ha messo sul tavolo una fiche in danaro, un super bonus, detto Super Cas, per coloro che avessero deciso di abitare nelle case ancora integre. Oltre i seicento euro dell’indennità per l’autonoma sistemazione qualche altro centinaio come premio alla resistenza. Molto meno di mille persone hanno scelto Amatrice invece che Rieti o il mare o Roma. Naturalmente gli allevatori che altrove non potrebbero andare, coppie di anziani in buona salute, giovani ardimentosi e orgogliosi della propria radice. Tutto qua il magro bottino. “Il mio problema e il mio incubo è che tutto ciò che faremo non riesca a fermare lo spopolamento. L’unico vero obiettivo del mio impegno invece è di far sì che le case che ricostruiremo non siano consegnate al milite ignoto”, diceva qualche sera fa dietro il tendone da cucina della Caritas Vasco Errani, il commissario di governo per la ricostruzione di Amatrice e dintorni che già oggi si trova ad affrontare una nuova emergenza e altri territori.

Continue reading