A mani nude contro il ghiaccio. Così l’emergenza diventa caos

terremoto-neveDiciamoci la verità: ci siamo accorti della neve che sommergeva i paesi dell’Appennino solo perché il terremoto ha fatto sobbalzare Roma. Senza quel trittico di scosse l’allerta sarebbe suonata ancora più tardi per quella che sarà ricordata come la più sgangherata, confusa e ritardataria azione di soccorso della storia per il resto specchiata della nostra Protezione civile.

L’allerta meteo

Riavvolgiamo il nastro degli allarmi. È dal 2 gennaio che i servizi meteo annunciano crisi “glaciali”, cadute “siberiane” della temperatura lungo la costa adriatica e sul versante appenninico. Con sempre maggiore enfasi la portata dell’evento viene curata nei dettagli, aggiornando quotidianamente i centimetri di neve che cadranno.

Infatti la neve cade, e soprattutto imbianca fino a coprirlo del tutto il quadrilatero terremotato che trova Amatrice all’angolo ovest, Vasto sulla costa sud che a nord arriva fino a Civitanova e chiude all’interno verso Camerino e oltre, fin quasi a Foligno.

Pochi spazzaneve

È il terreno d’azione del Dicomac di stanza a Rieti, la direzione del comando operativo della Protezione civile e del gruppo interforze. Sapevano tutto tutti. Sapevano, per esempio, che la neve che avrebbe colpito l’Italia centrale avrebbe lasciato indenne le Alpi, sapevano che i bruchi e le turbine, i grandi rotori mangia- neve, e i gruppi del soccorso alpino, i più allenati a fronteggiare questo tipo di emergenze, stazionano a molti chilometri dall’area di crisi. Tutti poi conoscevano un’altra verità: la popolazione residente è spesso confinata in piccole frazioni che col bel tempo sono difficili da raggiungere figurarsi col maltempo! Si sa per certo che due turbine, presumiamo le uniche due in funzione già dal’11 gennaio, sono poste sulla Salaria, la trasversale d’Italia. Il resto è out.

500mila senza corrente

I soccorsi non si attivano quando la statale 80 – una delle principali vie di fuga di montagna – è impraticabile, non si attivano quando dal Maceratese giungono le prime richieste d’aiuto e si allertano, ma timidamente, solo quando in Abruzzo, su una popolazione di un milione e 260 mila abitanti, circa 500 mila restano senza energia elettrica! Si ghiacciano le centraline Enel e va in tilt anche la catena di Terna: 200 mila utenze disalimentate. Un’enormità che produce una vera e propria crisi umanitaria perché si abbatte su paesi squassati dal terremoto, con case pericolanti e ancora troppe soluzioni di fortuna. Ieri sera ancora 80 mila erano senza corrente.

Le casette non ci sono Continue reading

VEDI ALFANO E NON RESTA CHE PARLARE DEI 5 STELLE

Non c’è altro da fare in Italia che accapigliarsi sui Cinque Stelle. Commentare, applaudire o assai più spesso condannare una loro parola, un fatto, una decisione.

Come se il resto del teatrone politico fosse costituito da attori immobili ed eterni, sui quali il giudizio è oramai del tutto irrilevante e non produce effetti pratici. Esempio: quante maggioranze Angelino Alfano ha attraversato? Vattelapesca! Era ministro con Silvio Berlusconi, lo è stato con Enrico Letta e pure con Matteo Renzi. Oggi è al fianco di Paolo Gentiloni e domani chissà. Si può fare qualcosa? Sembra di no, il suo destino prescinde dal nostro voto. Lui c’è e basta.

Dunque non ci resta che fare i conti, a volte ossessivamente, solo con questo movimento al quale conferiamo fiducia per negazione (non sappiamo a chi altri diavolo rivolgerci) o – molto più spesso – la rifiutiamo (li avversiamo così tanto che preferiamo votare il diavolo ma non loro). Non c’è un pensiero, figurarsi un partito. Non tifiamo per. Semplicemente ci capita di opporci a quella che è oggi l’opposizione. Cosicché quando vediamo pubblicata la classifica dei sindaci più popolari, che ogni anno stila il Sole 24 Ore, rincorriamo subito i nomi dei Cinque Stelle. E, sorpresa, li ritroviamo in testa e in coda. Chiara Appendino a Torino prima, Virginia Raggi a Roma tra le ultime, e un ex – Federico Pizzarotti di Parma – al terzo posto. Di nuovo monopolisti, nel bene e nel male. È come se solo loro avessero una relazione comune e gli altri invece separati e ignoti destini. Risponde al Pd, per esempio, il sindaco di Milano Giuseppe Sala (30º posto)? E qual è il primo cittadino eletto grazie all’impegno pubblico di Berlusconi? Il deserto, oltre i Cinque Stelle. Come mai?

Ci soccorre un’altra classifica, assai più rigorosa, stilata dal World Economic Forum: tra trenta Paesi presi in considerazione, l’Italia è quello che ha meno fiducia nella sua élite. Tutto si tiene.

Da: Il Fatto Quotidiano, 17 gennaio 2017

ARTICOLO 18: L’ARBITRIO È DIVENTATO LEGGE

È una Repubblica fondata sul lavoro o sull’arbitrio? Grazie alla sentenza della Consulta un datore di lavoro non avrà da temere l’esito del referendum per l’abrogazione della norma che annulla l’obbligo di dare una spiegazione del licenziamento a chi lo firma. Licenzia perché l’azienda è in crisi? Perché il dipendente è uno sfaticato? Perché ha un colore della pelle diverso dal suo? Perché gli è antipatico? Perché? Al datore di lavoro basteranno pochi spiccioli da mettere in mano al suo ex lavoratore e un ciao.

LA CONSULTA ha infatti negato, ritenendo il quesito manipolativo e troppo “creativo”, il diritto di oltre tre milioni di italiani di sottoporre al voto popolare la norma della legge che ha abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Otto voti contrari e cinque favorevoli. Hanno votato contro la quasi totalità dei giudici nominati per decisione politica (Parlamento e presidente della Repubblica). È stato ritenuto manipolativo il quesito nonostante la stessa Corte nel 2003 per lo stesso tema, solo capovolto (ampliamento dei diritti anche ai lavoratori con aziende al di sopra dei cinque dipendenti) avesse dato il via libera. Gli effetti politici della decisione sono poi limpidi e netti come le stelle in cielo nella notte di San Lorenzo: il referendum sul Jobs act così depotenziato è a rischio. Il punto di crisi più forte per questa maggioranza e questo governo è scongiurato. E infine le elezioni anticipate si allontanano.

Resta sepolto nell’indifferenza e nella trascuratezza il dato più grave: si allontana per sempre l’idea che il diritto al lavoro e il suo esercizio debbano essere uguali per tutti. Che non possa esistere il doppio binario di chi vede garantita la sua dignità e chi no. Chi è licenziato senza una spiegazione e chi non ha l’obbligo neanche di giustificare la propria assenza.

Siamo nel mondo della ruota della fortuna. E più di tutto conterà l’arbitrio. L’arbitrio padronale è oramai un assunto di legge: assumo chi mi pare e licenzio chi mi pare e quando mi pare. Nel settore pubblico l’arbitrio è del potere politico che sceglie, utilizzando la medesima disinvoltura del padroncino, a chi far recapitare lo stipendio senza obbligo di frequenza, diciamo così, scorticando fino a renderli parametri di perenne ingiustizia le norme di garanzia che presidiano l’esercizio del lavoro. Altrimenti sarebbe possibile che nella Sanità il 12 per cento dei lavoratori è esentato dalle mansioni per le quali è stato assunto? Sarebbe possibile, diamo solo poche cifre, che a Palermo 270 netturbini sono pagati per non spazzare? E in Calabria il 50 per cento tra infermieri e portantini sono stati reclutati non per assistere e curare ma solo per scrivere? Oppure, per dire: a Firenze il 40 per cento dei vigili che non vigila.

L’arbitrio è la stella polare. Chi ha la responsabilità di governo e di gestione degli enti pubblici è artefice di uno svuotamento di senso e di logica delle norme poste a presidio di diritti fondamentali: la malattia quando si è malati, il congedo parentale se si ha un figlio, orari ridotti o giorni di ferie aggiuntivi se si hanno parenti disabili da assistere. E quindi al binario parallelo che colpevolmente separa le carriere e la dignità di chi è assunto nel regime privatistico e chi invece nel settore pubblico si aggiunge un terzo binario, che in Italia coinvolge un numero impressionante di persone oramai titolari del diritto ad essere lavativi.

BUCARE sistematicamente i propri doveri è divenuto il corrispettivo usuale della sottomissione, oppure della compromissione con le scelte del governante di turno e anche il dazio che si paga per ottenere sostegno elettorale. E così chi si spella le mani dalla fatica e chi avanza di mese in mese il diritto al congedo, magari taroccato. O chi –affermando il falso – ottiene l’esenzione da mansioni che rendevano la sua assunzione necessaria. Il caso dell’ospedale di Nola, con i malati fotografati per terra, è l’esatto punto di caduta della gestione clientelare della salute. C’è da chiedersi perché le uniche sezioni di partito in perenne attività si trovino solo tra le corsie di ospedale. E perché, a ogni elezione, le liste siano zeppe di medici e infermieri, portantini e spiccia faccende delle Asl? È la catena elettorale che produce i voti e la clientela è lì dove ci sono i soldi.

Snaturare in maniera così clamorosa le norme di garanzia serve solo a far aumentare il livello di disistima e di rabbia degli esclusi, far lievitare gli atti di ostilità e naturalmente agevolare la tesi di quanti trovano nell’esercizio di un diritto la causa del problema. Quindi ecco la soluzione che purtroppo la sentenza della Consulta aiuta a prefigurare: meno diritti per tutti.

Da: Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2017

L’ex viceministro Enrico Zanetti: “Per Denis sono rimasto col cerino in mano”

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Più che la sua voce erano i suoi occhiali che portavano conforto.

L’unico vezzo, davvero.

Enrico Zanetti, il viceministro all’Economia al tempo di Renzi, era in tv da mattina a sera.

Andavo sempre.

Ingaggiava battaglia a ogni ora del giorno e della notte, mandavano le i nelle missioni impossibili.

Aggiunga che qualche volta mi hanno tenuto col freno a mano tirato. Altrimenti sa che avrei combinato? Penso alla Consob, per esempio.

Si immergeva in ogni talk show con grande sprezzo del pericolo. I suoi fanaloni a coprire metà del volto erano proprio particolari. Ricordo quella montatura di un meraviglioso blu elettrico.

Andavo sul rosso ultimamente. Varie sfumature di rosso.

Rammento però un verde smeraldo di grande impatto.

Ho avuto il verde, ma nella prima fase. Poi mi consigliarono di non cambiare più colore per non disarticolare il telespettatore.

Le sono rimasti gli occhiali ma ha perso la poltrona.

Sono un disastro, da questo punto di vista un ingenuo come me non si trova in giro!

Si è messo con Denis Verdini, roba da non crederci. Era lanciatissimo, stimabile, un commercialista coi fiocchi. Per di più liberista ed ex elettore di Forza Italia, il miglior alleato possibile per il Pd attuale.

L’incontro con Verdini mi ha danneggiato tantissimo.

Ha sospeso una carriera vivacissima.

Plausibile la sconfitta, ma con quel risultato no. Davvero non me l’aspettavo.

Ancora faccio fatica a pensare di non vedere più in tv l’onorevole Zanetti.Continue reading

ALFABETO – PIER LUIGI PETRILLO: “Da undici anni oltre Natale, Capodanno e la Befana abbiamo un’altra certezza: il decreto Milleproroghe”

pierluigi-petrilloSono undici anni che tra il 24 e il 28 dicembre, data fissa, viene emanato il decreto milleproroghe. Non c’è altro atto avente forza di legge che sia così certo, puntuale, improcrastinabile.

La proroga come elemento culturale dell’identità nazionale, il rinvio come strategia, l’apparenza che diviene realtà. Pier Luigi Petrillo insegna Diritto pubblico comparato all’Unitelma Sapienza e Teorie e tecniche del Lobbying alla Luiss, ed è un indagatore del rinvio come carta della fortuna, strategia del cuore, motivatore delle nostre pigrizie. “È l’impronta digitale del nostro pensiero, la necessità di ovviare alla realtà provando a utilizzare l’apparenza”.

Noi riusciamo a prorogare persino scadenze già scadute.

Risolviamo in modo unico il problema: lo eliminiamo dal presente e lo spostiamo in un futuro indeterminato, giacché siamo pronti, alla scadenza del primo rinvio, a emanare un decreto di ulteriore proroga. Essendo gli unici in Europa a utilizzare questa legislazione fantasy, sono sicuro che qualcuno ce lo copierà prima o poi. In effetti è bellissimo rinviare. Perché mai bisogna pagare le tasse entro quel termine?

La proroga come cultura e strategia di vita.

Non ci bastano più le parole per essere ultimativi: se bisogna adempiere un certo atto “entro il” noi troveremo scritto “entro e non oltre il”. Abbiamo bisogno di un rafforzativo per dichiarare la nostra volontà ferrea di non transigere.

È severamente vietato…

Vede? Non ci bastava scrivere “è vietato”. Quel severamente ci aiuta a non fare i conti con la realtà.

Il rinvio è una speranza o una furbata?

Il rinvio serve alla politica per affermare di aver fatto una cosa che poi non è. E ai giornali per titolare su una decisione dandola per acquisita e definitiva quando non è. Qui siamo alla forma più sofisticata del rinvio: la legge si approva ma è vuota e rimanda a decreti legislativi, a un futuro prossimo alquanto incerto. La legge Madia sulla Pubblica amministrazione è un guscio vuoto, una semplice promessa, per esempio.

Siamo in tempi di post verità.

Anche la legge sul Jobs act è un guscio vuoto, licenziata dal Parlamento senza contenuto.Continue reading

Napoli e le due città sempre in guerra tra turisti e paranze

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Napoli in cinque anni ha visto aumentare il flusso turistico del 10,7 per cento e il dato ancora non include la performance del 2016, eppure primeggia tra i reati cosiddetti predatori (scippi e rapine soprattutto) con un indice di 326 su 100 mila abitanti, più del doppio della media nazionale che si ferma a 145. Eppure a Napoli e nell’area metropolitana i giorni medi di permanenza dei turisti è giunta al numero magico di 3,5 giorni, al top tra le città italiane, molto al di sopra di ogni speranza e di ogni ragionevole obiettivo.

La sporcizia in senso proprio e metaforico soffoca ancora le tante Scampie, ma Napoli è più pulita di prima e non solo a via Toledo, non solo sui Decumani o in piazza dei Martiri. A Napoli la criminalità la fa da padrona con tredici clan che si dividono il territorio, centro storico compreso, e lo militarizzano asservendo persino chi è chiamato a difendere lo Stato. Eppure, se i conti hanno un senso, l’ultimo studio di due stimati professori della Federico II e della Parthenope – Giacomo Di Gennaro e Riccardo Marselli – che hanno approfondito le cifre fornite dalla Questura aggregandole, ci dicono che nel decennio il tasso criminale medio dell’a rea metropolitana, con i suoi 4426 delitti ogni 100 mila abitanti, risulta migliore di quello di Milano (9118) di Bologna (7411) di Torino (7044). Certo, altrove pesano reati come la violenza sessuale, che sotto il Vesuvio subiscono un affievolimento e mitigano gli effetti della classifica. Che comunque impressiona per la distanza che misura tra l’apparenza, ciò che percepiamo di Napoli, e la realtà.

TRA LE RAGIONI di Roberto Saviano che accusa e quelle di Luigi de Magistris c’è oggi il tema di una città che vive su due binari paralleli. “Per la prima volta – dice Isaia Sales, saggista e studioso del fenomeno camorristico – la pressione criminale sviluppa un circuito parallelo e non incrocia né arresta la voglia dei napoletani di andare avanti, di guardare avanti. Non ostruisce, non la relega più nel disonore come accadeva una volta. Questo è fatto, una cosa nuova che bisogna considerare evitando eccessi di entusiasmo ma evitando anche di strangolare la realtà”. Vero che negli ultimi quattro anni oltre a quattro ragazzi ammazzati, e la bambina ferita solo qualche giorno fa, si sono radicate le paranze, formazioni scolastiche giovanili della delinquenza. La camorra ora si prende anche l’infanzia, arruola alle elementari, ed è una triste e tragica novità.Continue reading

Napoli oltre il sangue. “La città è anarchica però ora funziona”

napoli-de-magistrisSe a luglio, nel primo conto parziale, gli alberghi erano pieni al 73%, a Natale la città è stata sold out. Non una stanza libera, fosse pure dell’ultimo affittacamere, non un tavolo al ristorante che non sia stato prenotato, non un negozio vuoto. “Si è sviluppata un’energia vitale collettiva, una voglia di andare avanti malgrado tutto, e il turismo non porta solo soldi ma anche civiltà, urgenze nuove. Cappella di San Severo, per esempio, si è fatta carico autonomamente di riqualificare la strada antistante. Al municipio mancavano i soldi e l’economia turistica ha provveduto a un processo virtuoso di sostituzione”, ricorda lo scrittore Maurizio De Giovanni.

NAPOLI HA LE TASCHE vuote, i creditori alle porte, una pila impressionante di decreti ingiuntivi, carrettate di nullafacenti, obliqui personaggi ovunque, eppure va avanti. “Napoli è la sola città italiana che si è vista commissariare dal governo i suoi due più importanti canali finanziari, il porto e l’area di Bagnoli”, ricorda ancora De Giovanni. Eppure sta riuscendo a rinascere. Il miracolo, se vogliamo chiamarlo così, ha un nome e cognome: Luigi De Magistris. Un ex. Ex Giggino a manetta, politico con la bandana, Masaniello al tempo di Internet, populista per vocazione, giustizialista per formazione e ogni altro appellativo che si è andato cercando, un po’ anche meritandoselo. Oggi è solo un sindaco stimato, amato, rispettato. “Ha gli stessi bioritmi della città, una connessione sentimentale unica, una visione suggestiva”, garantisce Marino Niola, studioso dei corpi al Suor Orsola Benincasa.

N’ALBERO È IL RISULTATO tipico di una progettazione anarchica, provvisoria, autodidattica, nello stile approssimato e confuso. C’era il Natale in arrivo e c’era un amico del sindaco, Pasquale Aumenta, che costruisce palchi per spettacoli in tutta Europa. I suoi ponteggi, che altrove sarebbero stati utili per puntellare le mura di edifici cadenti, qui hanno edificato un enorme albero, piramide luccicante che sorveglia la città dall’alto. Estetica ad alto rischio, malumori diffusi, ma colpo turistico favoloso: centomila visitatori, i ristoranti sull’albero presi d’assalto, “trecento euro per cenare a Capodanno e nessun posto libero”, ricorda Niola. Il Comune ha speso zero ma la città si è vista allargare le misure da una ricchezza sconosciuta. Il lungomare che qualche anno fa spegneva le sue luci alle otto di sera si è trasformato in un grandioso luogo della ricreazione. De Magistris ha avuto l’idea di chiudere al traffico quella zona e ha colpito nel segno, ha aperto una porta alla città, una speranza ai disoccupati ora riconvertiti in camerieri, pizzaioli, fattorini, un futuro alle guide turistiche, un modo nuovo di campare, di stare al mondo, di sentirsi in vita. “De Magistris ha lasciato che la città si organizzasse da sola, che mettesse in opera la propria arte. Come un regista che ai suoi attori dice: fate come meglio vi pare basta che il film viene bello”. Ha vinto l’anarchia dice il poeta Franco Arminio. Ha vinto la ragione, dice invece il saggista Isaia Sales. “È come se la città avesse capito che dall’Italia non c’è da aspettarsi nulla di buono, che di aiuti finanziari non ci sarà traccia. Tutti hanno compreso che era venuto il tempo di far da soli e il popolo, che qui ci mette un secondo a sbeffeggiare e protestare, si è fatto vicino al sindaco perché l’ha visto interessato al suo destino. E la borghesia, quella che una volta votava a sinistra, adesso cerca nel municipio un punto di riferimento non un miracolo. È una prova nuova di maturità. Nessuno si aspetta che la città splenda, nessuno parla di rinascimento, nessuno ha l’ambizione dei tempi del primo Bassolino. Tutti con la consapevolezza che in questa crisi sia già una vittoria resistere”.Continue reading

ROMA – Gli uffici super-chic per i senatori a spese di poveri e orfanelli

senato-sprechiCi vuole talento e il presidente del Senato Pietro Grasso l’ha finalmente dimostrato. Tenendo dritta la barra del contenimento dei costi, ha fatto imputare agli orfanelli del collegio Salviati le grandiose spese che le casse pubbliche hanno dovuto sopportare per adeguare la precaria e cadente dimora destinata secoli e secoli fa ai bimbi derelitti dal cardinale Salviati, a sede per gli uffici di una cinquantina di senatori in esubero a Palazzo Madama. E così, finalmente il 29 luglio 2015 il Senato, con un contratto di transazione con gli Istituti di Santa Maria in Aquiro, la struttura – anch’essa pubblica – che gestisce il patrimonio devoluto alla cura dei deboli tra cui questo edificio in piazza Capranica, ha pattuito di non pagare alcun canone di locazione dal 1° gennaio 2018 fino al 31 maggio 2029.

EH GIÀ, undici anni gratis per recuperare il di più che il Senato ha fatto sborsare allo Stato in ragione dei lavori sopportati. Per undici anni i bimbi derelitti, i bisognosi, i disabili stringeranno la cinghia, e sul punto Pietro Grasso in persona è stato irremovibile. I fatti d’altronde non danno adito a equivoci.

Nel 2003, sotto la presidenza di Marcello Pera, il Senato affitta l’edificio. Sono tremila metri quadrati dietro il Pantheon. Ubicazione pregiata ma in abbandono. Si affitta lo stabile e si pattuisce un canone annuo di 853 mila euro oltre aggiornamento Istat per 36 anni. Nei primi 18 anni però il Senato verserà la metà, e cioè 426 mila euro, in ragione dei lavori che serviranno per rendere utilizzabile il bene. È uno sconto enorme, di circa 7 milioni e 668 mila euro. Una parte di questa cifra (4 milioni 164 mila) servirà a rendere agibile l’immobile, e l’Agenzia del Demanio ritiene che il costo della ristrutturazione (1.338 euro per metro quadrato) sia ragionevole e plausibile. Giudizio che evapora nel giro di un anno perché ai 4 milioni 422 mila che il Senato destina, si aggiungono il 20 febbraio 2004 altri 17 milioni che il ministero delle Infrastrutture affida, senza gara, a una Srl, la Carpineto Nicola Costruzioni.

La dimora dei senatori diviene “opera strategica” e ricorrendo a “particolari misure di sicurezza e riservatezza” l’ente appaltante, cioè il Provveditorato alle Opere pubbliche all’epoca retto dal già noto Angelo Balducci, affida intuitus personae. Totale parziale, 21 milioni 456 mila euro. Costo di ristrutturazione al metro quadrato senza gli arredi pari a 7.152 euro.Continue reading

Raffaele Cantone: “Può darsi che mi abbiano strumentalizzato”

raffaele-cantoneManette a Roma, avvisi di garanzia a Milano, carabinieri ovunque. L’Italia è tornata in forma smagliante.

Sia a Roma che a Milano si arresta o si indaga per fatti avvenuti prima della costituzione dell’Anticorruzione.

Però Raffaele Cantone, il dio dell’anticorruzione, lo smacchiatore del tempo renziano, si ritrova a fare i conti con la storia di sempre.

Raccontiamo per bene ogni cosa. La vicenda della Piastra dell’Expo è stata totalmente fuori dal nostro controllo. Abbiamo solo messo le mani su una carta e l’abbiamo trasmessa immediatamente in Procura.

Milano, la capitale morale d’Italia. Chi lo disse?

Dissi che si era messa sulla strada di un ritorno alla sua antica identità: capitale dell’etica e della moralità. Milano ha avuto la capacità di riprendersi dalla crisi. Questo dissi e questo confermo.

Infatti.

Infatti un corno, mi scusi. Che Expo fosse nata dentro la nebbia delle connessioni spurie è cosa talmente risaputa che proprio per diradare la nebbia fu costituita nel 2014 l’Autorità che presiedo. Lei mi chiede di documentare atti precedenti al mio arrivo, di rispondere di fatti dei quali non sono mai stato a conoscenza. Facevo il giudice quando tutto questo accadeva.

Dottor Ponzio Pilato.

Non sono abituato a sfuggire alle critiche, può scrivere quel che le pare ma la verità non deve essere confusa e deviata dall’analisi approssimativa, da una sintesi colorita ma non coincidente con la realtà.

Cantone, la madonna pellegrina della moralità. Ovunque ci fosse un problema, ecco che lei appariva. Portato in spalla da Matteo Renzi, chiamato ovunque a dare una mano di bianco su un muro inzaccherato dal fango.

Forse in qualche occasione è potuto accadere che io sia stato strumentalizzato.

Forse lei si è lasciato volentieri strumentalizzare.

Sono aperto all’autocritica, non si aspetti che mi rappresenti come un intoccabile.

La sua immagine ha costituito l’equivalente di un consorzio fidi per un debitore in difficoltà.

Le ho già detto che non mi tiro indietro di fronte all’autocritica.

Qualcuno la tirava per la giacca e così tanto che adesso appare un po’ slabbrata.

Può darsi, ecco.

E può darsi sì!

Convenga però con me che l’istituzione di questa Autorità ha costituito una rispettabile inversione di tendenza in una materia, come quella della corruzione, che è piaga civile prima che politica.

Marra.

Fatti del 2013 e lo si arresta per episodi accaduti durante il mandato del sindaco Alemanno. Cosa avrei dovuto vedere?

Non lo so, c’è stato un vasto scambio di documenti tra il Campidoglio e il suo ufficio.

Su ben altre questioni. Si trattava di valutare la congruità degli emolumenti della Raineri. Su Romeo e Raineri abbiamo scritto e detto cose pesantissime. La nostra relazione è stata durissima, perché non la legge? Se la legga.

Quell’apparizione da Obama, portato in dote, anzi in conto capitale. Un giudice che diviene testimonial governativo.

Lei la pensa così?

In tutta franchezza sì.

Io ci andrei altre dieci volte da Obama.

Capperi!

Buongiorno.

da: Il Fatto Quotidiano, 16 dicembre 2016

Lettere, diari e memorie: la vita segreta degli italiani

la-vita-e-un-sognoÈ in libreria, per Il Saggiatore, “La vita è un sogno”, un’opera corale, che racconta l’anima più autentica dell’Italia attraverso i 7500 testi tra diari, memorie autobiografiche ed epistolari di gente comune (dal Settecento al XXI secolo), del l’Archivio di Pieve Santo Stefano. Ne pubblichiamo alcuni stralci.  Sono pietre preziose queste lettere di italiani che scrivono e segnano la storia con i propri occhi. Occhi pieni di lacrime: di gioia come di terrore. Scrive la moglie al marito che non dà più notizie. Scrive dal fronte il marito alla moglie annunciando che è l’ultima volta che lo farà. La morte è vicina, lei può risposarsi. È come una grande cassaforte della memoria collettiva, una tela che compone gli anni amari e quelli felici, le gesta memorabili e i dettagli minuti della vita quotidiana. È l’Italia della guerra e del fascismo, dell’emigrazione e del miracolo economico. Nella forma unica e splendida del diario personale, privato, intimo, l’Italia raccontata da chi l’ha vissuta.

Perché non scrivi? Caro marito, mi è impossibile aspettare più altre senza scrivervi, troppo lungo sono già i miei timori e le mie inquietudini. Compisce oggi che vi scrivo, nove settimane che non ho più delle vostre notizie ed io con questa mia forma tre lettere di cui aspetto risposta. Che mai sarà? Me lo domando tutte le ore tutte le minute che passano; siete ammalato? La vostra vita è forse in pericolo? Ho ché, vi ho offeso si grandemente? Non merito nessun vostro scritto?

Caterina Janutolo, 1894  

L’ultimo bacio Mia cara moglie, quando ti giungerà questo libriccino, io sarò bello estinto io capisco quale effetto ti farà ma io ò pensato di far così in modo che tu non stia qualche mese senza sapere ciò che mi e accaduto, se tu credi di rimaritarti per me non trovo cosa in contrario però una raccomandazione ti faccio quella di tenere di conto della nostra piccina che ò amato teneramente e di trovare un uomo che sappia amarti come ti ò amato io che quando sposai te ti giurai fedeltà e ti sono stato fedele questo desidero che tu possa trovarti felice, e trovare un cuore degno del tuo.

Giuseppe Manetti, 1917  

La vita nuova Per prima cosa il Direttore volle vedere le mani. Gliele porsi, le guardò con l’attenzione del chiromante e poi: “Tu con queste mani durerai otto giorni. Sono mani da donna. Troppo delicate. Qui ci vogliono uomini e non dei damerini. Sei ben piantato, non c’è che dire. Ma un vero minatore si vede subito”. Gli dissi che il mio contratto contemplava una voce che parlava chiaro e che potevo anche cambiare mina: “Sì signor mio. Lei m’ha rotto le palle con le mani. Mani che del resto han rotto tanti musi malgrado l’apparenza fragile”.

Raul Rossetti, 1932

Mussolini Esco da casa alle 8. La portinaia è ferma con un ciclista che viene da p.le Loreto dove dice di aver visto il corpo di Mussolini e di altri diciassette fascisti. I morti sono collocati là dove vennero fucilati i quindici patrioti. (…) Interrogo il ciclista per sentire se proprio ha visto lui, oppure se l’ha sentito raccontare da altri. Mi precisa che ha visto coi propri occhi e che accanto al suo corpo c’è quello di Claretta Petacci anzi, la testa di Mussolini è posata sul petto mezzo scoperto della donna come di un cuscino.

Dino Villani, 1945

Se la mafia uccide papà Ero particolarmente felice quella sera. Aveva appena scoperto il dono per Natale (…) Quando mamma e papà ci misero a letto e ci diedero il bacio della buonanotte, aspettai che uscissero dalla stanza e confidai a Pinuccio quello che avevo scoperto: per me il cappottino rosso, gli dissi, per te il baschetto blu. Dormivo e già sognavo, quando spari improvvisi mi fecero trasalire: mi ritrovai seduta in mezzo al letto nella stanza buia (…) Era lei, la mamma che aveva riconosciuto nei lamenti provenienti dalla strada, la voce di papà e gli chiedeva “Cola, Cola, chi ti ficiru?”. “Mimì, mi spararu!”.

Antonina Azoti, 1946

Rubare per vivere Fino all’età di 2 anni sono stato al buio perché mia madre si era infilata in vagina i ferri della maglia per abortire e non avermi ma tutto questo non è servito a niente e a questo punto mia madre ha preso una decisione non ha fatto più niente per perdere la creatura che aveva in grembo e per assicurare la mia nascita e un pasto decoroso per tutta la famiglia scelse di fare la scarpara (in gergo sarebbe la ladra di portafogli).

Claudio Foschini, 1949

L’attentato brigatista Scendendo le scale, rileggo gli slogan ricomparsi dopo la recente imbiancatura, “Giustizia proletaria”, “Sparare ai docenti”… L’atrio si è svuotato. (…) Le strade sono quasi deserte. È mentre svolto per entrare nel cortile di casa che, improvvisamente me li trovo davanti. Sbucano da dietro i pilastri del portico, e sono in tre. Vedo i passamontagna azzurri e neri calati fin sopra le spalle, i martelli e le chiavi inglesi in alto, e il balzo con cui mi sono addosso. “Ecco dove e come” penso in un instante mentre cado. Batto sull’asfalto col ginocchio e il gomito ma non ho il tempo di avvertire l’urto. Una grandine di colpi sulle spalle, sulla testa, come sassate, lampi bianchi azzurri negli occhi, e schianti come di mortaretti che esplodono dentro.

Guido Petter, 1979

Italia-Germania 3-1 Voglio raccontare l’effetto che mi ha fatto questa bella vittoria dell’Italia che ha vinto la coppa mondiale ieri sera alle 19. (…) La nostra squadra è stata favolosa in questi campionati, un grande regalo a sorpresa ci ha dato (…) i nostri giocatori più piccoli e brutti nei confronti dei belli fusti degli avversari ma i nostri tanto intelligenti e pieni di stuzi che lì paralizzavano.

Luisa T., 1982  

Da: Il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2016