Gianni Cuperlo: “L’èra del fiorentino è finita, ma anch’io sono all’ultimo giro”

gianni-cuperloQuando ho udito quella parola mi sono detto: ma io che ci faccio qui?

Gianni Cuperlo era in tv a spiegare che – a suo giudizio – il ministro Luca Lotti avrebbe fatto bene a fare un passo indietro quando Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale (proprio lui!) l’ha accusato di sciacallaggio.

Una ferita enorme, un senso di straniamento.

Il mondo alla rovescia. L’accusa arriva dal direttore del quotidiano berlusconiano, seguita a ruota dalle parole di Emanuele Fiano, suo compagno di partito.

Fiano ha fatto un post di scuse e precisazioni.

Il punto qui mi sembra un altro: la sua posizione appare così eccentrica rispetto alla linea generale che un giudizio, grave ma misurato, viene sfregiato da una offesa.

Ho condotto tutte le battaglie, magari alcune le avrò sbagliate, ma non ho mai consumato parole che non sentissi adeguate, senza nessuna voglia di essere ridondante, di esorbitare dal contesto e appunto dalla misura. Avrò ecceduto comunque? Quel che vedo invece è il senso di umiliazione che questa e altre vicende hanno fatto vivere a tanti compagni. Non soltanto coloro che sono andati via, ma a quelli che ci hanno abbandonato, o che noi abbiamo lasciato per strada, durante questa marcia dissennata verso lo smantellamento di ogni connessione sentimentale con il nostro popolo, con l’ambiente che in noi vedeva l’avvenire, il nuovo, la possibilità di un riscatto. Io è a questo che voglio reagire.

In 3 anni Matteo Renzi ha consumato ogni dote?

Ma all’inizio la speranza accesa era fortissima, e non ho mai nascosto che il suo cambio di passo ci abbia condotto a quel risultato strabiliante del 40 per cento alle Europee. E quella parola, rottamazione, che io stenterei a usare anche se dovessi parlare della mia automobile ha avuto il suono di un ultimo avviso, un po’ simile al comizio che Nanni Moretti tenne 15 anni prima. Quell’invettiva dal grande spessore etico con cui il regista sferzò la sinistra, la costrinse a pensare anche se non riuscì a correggerla.Continue reading

Elena Puccini: “Mani Pulite è stata inutile, oggi il potere politico è ancor più vorace e disinibito”

elena-pucciniStudiosa dell’antropologia politica e delle dinamiche sociali del potere, Elena Pulcini ha in dote il destino di vivere a Firenze. “La Toscana è più provinciale di quel che ci si aspetterebbe e incistata di un clientelismo reticolare”.

La vicenda del babbo Renzi e di amici, figlioli e padri che scambiano poltrone e posizioni è il ritratto familiare, sembra quasi l’Italietta degli anni Settanta. Per un verso mi fa ricordare Amici miei.

E anche nel film la Toscana aveva una parte. Io però vedo un passaggio in più, un limite che la politica ha ormai oltrepassato, e qui non sto giudicando la vicenda Renzi che non conosco ma un contesto pulviscolare, questa nebbiolina fitta di malaffare.

Il limite superato, diceva.

Ecco: il pudore, la vergogna. Non è bastata Mani Pulite, non sono bastati gli arresti, non è bastata alcuna misura per rinunciare all’idea che il potere tutto può. E se ieri si nascondeva, si imbarazzava, gridava bugiardamente al complotto, oggi non porta nemmeno la pena di coprire la malefatta. È un potere disinibito e vorace, persino ingenuo nella propria dimensione. E lega familisticamente il destino.

Il legislatore ha prodotto un nuovo reato per allinearsi al nuovo mondo: traffico di influenze.

Due parole illuminanti. L’influenza, che in sé non ha alcun giudizio negativo, in questo contesto è l’arma dispiegata dal potere perché in ragione della propria forza possa acquisirne di altro, in territori non suoi ma contigui. Il potere è per definizione influente. E poi la parola traffico: si usa per la droga, per la mafia. Associato a influenza fa pensare a questo andirivieni di favori e richieste, azioni e dazioni. Siamo lontani anni luce all’Italietta, al neorealismo cinematografico.

È un potere insieme nazionale e territoriale. La vigilessa che viene portata a Palazzo Chigi, l’avvocatessa condotta a riformare la Costituzione, l’amico che si dà da fare, così sembrerebbe, per conquistare l’appalto. Si è detto di Renzi: veloce, furbo, scaltro. Eppure…

Se ti fai trascinare da altri sentimenti, tipo l’avidità, ne rimani soggiogato. Parlo naturalmente in generale: ma ciò che più mi colpisce, penso all’inchiesta sui consiglieri regionali del Lazio, o a Mafia Capitale, è la assoluta assenza di pudore. Così il potente sviluppa l’idea che si possa vivere in modo incivile, si possa avere atteggiamenti che un minimo senso del limite si riterrebbero pregiudizievoli. L’ostentazione assorbe la furbizia, la devianza prevarica sulla misura. Com’è possibile che chi gode di privilegi già piuttosto ampi, possiede belle case, conduce una vita senza preoccupazioni ed esercita il potere non si preoccupi di comprendere perché il proprio status, già così diverso dalla condizione generale, non lo soddisfi.

Forse perché il potere non basta mai, non è una misura assoluta.

Ma la deturpazione civile è terribile! Quale fiducia puoi più avere nei partiti, con quale animo ti disponi all’impegno nella gestione della cosa pubblica? Quale interesse e passione conduci in cabina elettorale?

Lei che dice?

Io dico che non voterò. Non ci riesco proprio in queste condizioni.

Da: Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2017

Antonio Pizzinato: “Miei cari Max e Bersani, è tardi per uscire dal Pd”

antonio-pizzinatoEra il primo della fila ora – disciplinato – accetta di stare in coda. È stato segretario generale della Cgil, ora è membro del direttivo del suo circolo. Ha avuto potere, oggi è un felice nullatenente. Chi è abituato a immaginare la politica solo come comando vada a lezione da Antonio Pizzinato. Ottantacinque anni tra qualche mese. È stato garzone, poi operaio, quindi sindacalista. È stato segretario generale della Cgil, poi deputato e senatore. Oggi militante semplice.

Pizzinato, vogliamo ricordare quando la indicarono come successore di Luciano Lama?

Era il 1986. Ringraziai i compagni ma chiesi comprensione. Non ero preparato a quell’incarico e lo dissi: mi serve un po’ di tempo per formarmi meglio. Sa, un salto di quel genere. I compagni rifiutarono. Mi dissero che avrei dovuto accettare senza se e senza ma. E così feci.

A rileggere ora le sue preoccupazioni viene da sorridere.

E perché mai? Quel che manca alla sinistra è l’umiltà e la concretezza. Il potere per il comando è una traiettoria di vita che non ci appartiene. Anche per questo ho rifiutato di iscrivermi nel Pd. Non mi convinceva. Ho preso la tessera della Sinistra italiana.

Ma umiltà può anche significare modestia, assenza di talento.

Per fare politica ci vuole passione e poi talento. Se il talento manca nelle dosi giuste bisogna ricorrere a un impegno meticoloso. Bisogna prepararsi, leggere e studiare.

Quando era operaio della Borletti condusse una battaglia, che vinse, per la scuola serale.

Così si cambia la società. Noi volevamo imparare, eravamo a corto di studi e volevamo sopperire. Perciò facemmo una battaglia perché le aziende agevolassero il nostro compito e ottenemmo una piccola ma decisiva riduzione dell’orario di lavoro e il finanziamento dei corsi.

Oggi sarebbe incredibile, forse impossibile.

Partiamo dalla realtà, vediamo cosa dice alla sinistra questo dato. Solo nella mia Lombardia ci sono 343 sezioni aperte e attive dell’Anpi. E il 40 per cento degli iscritti ha un’età inferiore ai cinquant’anni. Non essendo un’associazione di reduci in procinto di essere tumulati, chiedo: esiste un altro partito o movimento che possa eguagliare queste cifre? E qual è il motivo di questo entusiasmo verso i partigiani? Rispondo: è la Costituzione. Hanno combattuto per dare all’Italia una carta di diritti che sollevasse l’ultimo dalla sua condizione. La stella polare è l’articolo 3: “…è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale e via dicendo…”.

Bastava che la sinistra la tenesse a mente.

Esatto. Prendere alla lettera il dettato costituzionale significa fare una rivoluzione nel costume, nei rapporti di forza sociali. Rimuovere gli ostacoli è un obiettivo tecnicamente rivoluzionario. Invece questi pensano solo a raggiungere il comando nel più breve tempo possibile.

Non apprezza la scelta di Bersani e D’Alema di lasciare il Pd?Continue reading

Francesco Barbagallo: “È il Partito Famiglia aggiornato: i figli sono più potenti dei padri”

francesco-barbagalloNegli anni 80, quelli della Milano da bere, nella classe politica iniziò a farsi largo il bisogno di personalizzare la leadership. E fu Bettino Craxi il tenore di quello spettacolo. Dieci anni ancora o poco più e nasce, dentro i vincoli di bilancio di una grande azienda televisiva multinazionale, l’idea del partito personale. Il simbolo è l’azienda, l’etica si fa business, il padrone diviene premier. Ora siamo al partito famiglia, terzo gradino dell’inarrestabile declino della classe dirigente. È Francesco Barbagallo, storico illuminato e analista spigoloso delle devianze sociali, a teorizzare con il “partito famiglia” lo slittamento democratico verso le frontiere sudamericane.

“La politica perde ogni capacità di esprimere il suo talento. E all’arte di governare si sostituisce l’arte della messa in scena, il cosiddetto storytelling. Degradando così la funzione e il senso, non godendo più di una rete di protezione sociale giacché le passioni sono annientate e la distanza con la società si è fatta siderale, il mantenimento del potere è organizzato secondo lo schema rigido del clan, cioè della famiglia stretta. Il potere si consolida e si difende condividendolo con fratelli e sorelle, papà e figli. Così ha sempre fatto la ’ndrangheta, per esempio”.

Lei ne ha scritto iniziando dalla figura di De Magistris.

Nel Sud la cosa è spettacolare. De Magistris delega a suo fratello la costruzione del movimento. Del resto ha l’ardire di paragonarsi a Che Guevara. E ho detto tutto. Il fenomeno del narcisismo è così grave che incombe dovunque. Era una patologia curabile, poi le assicurazioni americane per non tirare fuori i quattrini hanno cassato dal prontuario questa malattia. Il narcisismo fa danni enormi alla democrazia.

Poi ha parlato del governatore campano De Luca.

Un altro niente male: vuole un figlio sindaco e un altro deputato. E la cosa pazzesca è che sembra gli riesca questa filiazione ereditaria. È politica o famiglia ? Propenderei per la seconda ipotesi.

Al Sud da padre in figlio, al Nord da figlio a padre.

Lì la linea del potere discendente si spezza. Troviamo il figlio che è più potente del papà.

Ecco il babbo di Renzi.

Una figura pervasiva che in nome del figlio avanza nella vita. Ecco declinato e aggiornato il partito famiglia. Il babbo di Renzi, il babbo di Lotti, il babbo della Boschi.

Il figlio di Casaleggio.

L’eredità parassitaria, la vigorìa familistica sono il saldo degradato di una società in disfacimento dove a comandare è il capitale finanziario e la tecnologia informatica. Governano Apple, Facebook e le banche d’affari. Superpoteri che annichiliscono governi privi di rappresentanza e di idee. Si perde pure il significato delle parole. Le riforme non hanno più il sapore di promuovere cambiamenti sociali ma di sistemare pacchetti di interessi. Allocarli qua o là. E l’infiltrazione di questa barbarie ha prodotto sistemi pazzeschi. Lo sfruttamento ai tempi della Inghilterra di Engels era niente rispetto a quello che c’è nella Cina comunista.

Le leggo un titolo del Fatto quotidiano di oggi: Consip, “Lotti tentò di raccomandare l’a mi co del padre di Renzi a Emiliano”. È la sintesi della sua teoria: in ogni sillaba anfratti del partito famiglia.

Lotti, il ministro. Che presenta al governatore della Puglia… Una parola su Emiliano la vogliamo dire? Questo signore è chiaramente, platealmente affetto da un disturbo narcisistico. La prima aspirazione che ha è verso la massima funzione del governo.

Lotti presenta a Emiliano l’amico del padre di Renzi.

L’amico del padre, ha capito dove siamo giunti?

La corsa verso il fondo è inarrestabile.

Alla mia età non si crede più che esista un fondo. Il peggio chiama altro peggio e temo che siamo solo a metà del precipizio.

Da: Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2017

I bambini colorano i pozzi. E il lago si fa scuro

scopri-la-Basilicata“Scopri la Basilicata, i tanti segreti della terra dei due mari. Quattro divertimappe, tante informazioni e più di venti giochi”.

Fiumi e laghi, torri e castelli, prati, caprette e cavalli, erbe aromatiche e poi – magnifico – l’amaro lucano: l’oro nero. Che bella la valle dell’energia, dice l’opuscolo prendendo in prestito le parole dell’ufficio marketing dell’Eni che ama definire la Val d’Agri, con al centro Viggiano, la capitale della produzione, la regina dell’Energia italiana: da sola sfama il dieci per cento del fabbisogno nazionale.

Fraternizzare è il verbo adatto, perché da adulto la vita non sai dove ti porta e le coincidenze, anche sfortunate, sono dietro l’angolo. Nell’esatto momento in cui il volumetto viene distribuito – immaginiamo a tutte le scuole della regione – i simpaticissimi pozzi, dipinti alla base di un bel verde pisello (il rispetto dell’ambiente anzitutto!) e oggetto del lavoro scolastico (“colora anche tu la testa dei pozzi petroliferi”), sono sospettati di essere i protagonisti della terza infiltrazione nelle acque dell’invaso del Pertusillo, il lago artificiale che dà da bere ai lucani e anche ai pugliesi. Una enorme scia dal colore funesto, un denso marrone, una grande scia di simil cacca, è stata avvistata e ritratta nelle decine di foto che hanno iniziato a diffondersi nel porta a porta di face book. Un nuovo allarme sanitario, giacché la dispersione di idrocarburi nel fondale e la contaminazione delle falde acquifere sono state già oggetto di denunce, contestazioni e paure.

SEMPRE nel Pertusillo, circa tre anni fa, una grande e improvvisa morìa di pesci aveva destato allarme e provocato la diffidenza e l’ostilità popolare. È la questione delle questioni: la enorme quantità di fanghi e di liquido sporco, i reflui nocivi di impianti che producono numeri elevatissimi, la necessità che questi reflui hanno siano oggetto di una sigillatura meticolosa e purtroppo la convinzione che troppo sporco abbia attraversato la Regione infiltrando le sue viscere e dunque inquinandola in modo grave. Sono oramai numerose le inchieste giudiziarie sul traffico di sostanze pericolose, le costanti indagini epidemiologiche che danno in rialzo patologie gravi nei luoghi più vicini ai campi estrattivi. Paura che si gonfia ancor di più nella consapevolezza che al centro Eni vanno aggiunti i pozzi Total e poi quelli Shell. La produzione raddoppia, i rischi pure? Avessero conosciuto questi infausti precedenti, i redattori del libretto, che forse non risiedono nella Val d’Agri, mai avrebbero pubblicato, nella pagina del “Divertimappe”, la domanda: “Tu quanti litri di acqua al giorno bevi?”. Temiamo che l’alunno chieda a casa, ma confidiamo che i genitori prima di dare una risposta colgano al volo l’insidia e soprattutto esibiscano al piccolo le casse di acqua acquistate al supermercato. Se sarà un pargolo puntiglioso inizierà ad approfondire le curiosità: mamma mi spieghi cos’è un mare nero (pagina 12)? Ci si può tuffare? Si ricavano 90mila barili di greggio al giorno che equivalgono a circa 14 milioni di litri quotidiani, bello no?

TEMIAMO verrà di chiedere se tutta quell’altra acqua è buona come quella di casa. Confidando nella prudenza dei genitori, che saranno stati sicuramente allertati allo scopo dalle Asl, le bambine e i bambini di Lucania sapranno che l’acqua nera non va bevuta, altrimenti sai quanti sputafuoco, e bellissimo non sarà. Dobbiamo aggiungere che nel libro didattico c’è anche materia d’inchiesta: “A volte gli abitanti della Basilicata non sono contenti di convivere col petrolio. Chiedi di indicarti il perché”. In effetti, perché?

Da: Il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2017

PD, LA GIOIA DELL’APOLIDE DI SINISTRA

Sono un migrante della politica, un apolide, un senza casa. Uno di quelli che la società politica non vede più, un elettore poco interessante perché non “moderato” e non di “centro”, il luogo geografico dove si è statuito che ogni contesa si perda o si vinca. Non c’è tornata elettorale senza che debba cercare un rifugio provvisorio oppure vedermi confinato all’astensione.

Perché dovrei essere dispiaciuto della scissione in corso nel Pd? Perché dovrei, io che pure ho votato Romano Prodi, ritenere un incubo e addirittura la fine del mondo quello che sta accadendo? Dovrei lacrimare davanti al “cupio dissolvi”, come scrive da Parigi Enrico Letta? Si spacca il Pd, si riduce la sua forza, si destabilizza il suo potere e io dovrei piangere?

ESULTO INVECE, e ho ottime ragioni dalla mia parte. Sono di sinistra perché credo nel valore intramontabile del diritto alla libertà. Credo all’uguaglianza. Credo nell’umanità e nel dovere che ogni individuo ha di farsi carico, per quel che può, di chi ha meno. Quindi sono e resto di sinistra.

Il Partito democratico ha però rifiutato di rappresentarmi. Non è questione delle caratteristiche psicologiche di chi oggi e anche domani sarà non solo il segretario ma il dominus assoluto. Renzi avrà pure atteggiamenti bulleschi, ma questa sua peculiarità è intesa dalla stragrande maggioranza dei suoi elettori come un valore positivo. E le scelte politiche che ha assunto, a parte quelle sui diritti civili e sull’immigrazione, hanno la virtù di non tacere quali ceti sociali e valori sostenere e quali altri no.

È una scelta legittima: può farlo. Ricordo le file alle primarie che lo proclamarono deus ex machina della sinistra. Militanti con i capelli bianchi che avevano votato per una vita Pci e perso per una vita, trovarono nel giovane sindaco di Firenze la speranza della vittoria. Solo con lui si può. Infatti s’è visto.

Renzi non è mai stato di sinistra, e questo incredibilmente veniva giudicato un formidabile atout. Certo, l’obiettivo era soltanto vincere, guadagnare il governo. Il Pd ha il più alto rapporto tra elettori ed eletti; dal Pd sono venuti gli ultimi quattro presidenti della Repubblica, del Pd gli ultimi tre premier. Di area Pd la maggioranza della Corte costituzionale, del Pd e affini la maggioranza dei governatori regionali e dei sindaci metropolitani. Nel Pd è stato scelto chi mandare nelle più grandi aziende pubbliche. In quel partito, a volte solo in quello, l’orientamento sulle nomine nel mondo bancario, assicurativo, nell’editoria. Naturalmente nella Rai.

Questo esercito enorme di amministratori è valso a sentire più vicini, più forti, più sicuri i legami che ciascuno di noi ha con la radice della sua speranza? Qual è la passione che ha trasmesso il Partito democratico a uno che, come me, crede ancora ai valori della sinistra?

E non dovrei benedire ogni atto, seppure parziale, debole, contraddittorio, che mi aiuti a ritrovare casa, offrire una buona ragione al mio voto? Domanderete: con D’Alema, Bersani, Speranza? Lo so anch’io. Ma spero che ogni refolo di vento possa agitare la foresta dei pioppi immobili, delle querce senza più foglie. Oggi il Pd decide il giochino di chi resta e chi va via, secondo la preminente necessità – come ha utilmente confessato nell’illuminante fuori onda televisivo il ministro Graziano Delrio – di ciascuno di conservarsi un posto in Parlamento. Che comunque è un mestiere e anche un salario per chi ha figli a casa e mutui e forse autisti e segretarie da pagare ogni fine mese.

Da: Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2017

L’ex mister 40 per cento vince giocando da solo

matteo-renziLa festa è qui, nel quartiere rosso dei Parioli, una delle due circoscrizioni dove il Pd vince sempre a Roma. Siamo al Parco dei Principi, due piani sotto la Spa e l’area fitness. È un cinque stelle di gran lusso, c’è tutto quel che si vuole dalla vita e quel poco in più che fa la differenza: la royal suite da 394 metri quadri la trovate in offerta questa settimana a 10 mila euro a notte (inclusi american breakfast e wifi).

MATTEO sta procedendo a grandi falcate verso il finale di partita. Il delegato Zunino, che pure sta con lui, non capisce ma si adegua: “Stiamo andando verso la scissione tra scrosci di applausi mi pare”. Si corre infatti e Renzi, l’ex campione del maggioritario, da oggi sarà il segretario del partito del proporzionale. Campione della rottamazione altrui, ora di sé dice: “Si può eliminare un problema, non una persona”. Ambiva al 40%, si accontenterà di una buona metà dei voti, e se tutto dovesse andare storto saranno almeno cento i deputati che condurrà a Montecitorio, lui compreso, oggi momentaneamente a spasso. Ed è parecchio conveniente essere a capo di un Pd, anche se dimagrito. La ditta finora ha dato ottimi utili: ha sfornato gli ultimi quattro presidenti della Repubblica, l’unico rappresentante italiano nella commissione Ue, la maggioranza dei sindaci e dei governatori. Scelti dal premier – e gli ultimi tre sono del Pd – la totalità dei vertici delle aziende pubbliche di maggior peso. Perciò il sogno è fare il bis “senza caminetti e senza correnti”. Da solo, com’è di sua abitudine. “Vi siete accorti che ora in Parlamento la settimana è più corta di quando ero io al governo?”. Senza Renzi il regno di Fannullonia. Finalmente si riparte. Le uniche facce emaciate si scorgono tra i vecchi, i più importuni – seppure amici – sono dei veri cacadubbi. Il solito Piero Fassino a spiegare che separarsi è anche un po’ morire e che dire di Walter Veltroni? Ha mazzolato quelli e questi. La minoranza e la maggioranza, avvertendoli del ruzzolone che aspetta tutti. Con altre parole lo stesso concetto affrontato da Delrio nel fuorionda di qualche giorno fa: “Con la scissione si apre una crepa nella diga. Non sai l’acqua dove andrà a finire, magari ti travolgerà”. Magari lo dice a chi?

“Salutiamo il conducator assente”, è Giachetti a svillaneggiare D’Alema malgrado la cautela di Orfini il presidente dell’assemblea che offrendogli il microfono gli dice: “Mi raccomando Roberto”. La sala è su di giri e Renzi anticipa che bisogna rimettersi subito al lavoro “per far ripartire l’Italia”. “Basta con la settimana bianca delle discussioni interne!”. Ha la camicia arrotolata come nella foto alla festa dell’Unità di Bologna con i segretari socialisti di Francia e Spagna. Erano bei tempi, i tre ragazzi nemmeno tre anni fa scalavano il mondo. Loro si sono persi, lui è qui a spingere – garantisce – per farci ripartire. Il povero Gentiloni ascolta e misura i mesi che lo dividono dall’addio: sette dovrebbero essere, se Matteo ha fatto bene i conti e riuscirà a portare gli italiani alle urne a settembre.

GLI ASTANTI si incupiscono solo un attimo, quando Cuperlo parla di gorgo. “Fatevi spiegare la radice storica del termine da qualche comunista clandestino seduto al vostro fianco” gli dice intimando corsi di recupero. L’ex bracciante Teresa Bellanova non ci sta: “E io chi sono? Anch’io vengo dal Pci ma resto con Renzi. E basta con questa puzza sotto al naso!”. Un applauso la saluta, e di sicuro è uno dei più forti della giornata. Un secondo lo vorrebbe per sé il collega di governo Giacomelli quando prende in giro Emiliano: “Ho ascoltato lui o il suo sosia? Ieri Michele diceva una cosa, oggi un’altra”. Ma Matteo, il capo risorto, è magnanimo e invita gli amici ad esultare con moderazione, a rottamare sotto traccia, a chiudere in fretta la telenovela. Infatti il segretario, pur di evitare fraintesi – volessi mai che la minoranza ci ripensi e faccia dietrofront – rinuncia alla replica. Così, felici e contenti, si torna a casa. Le auto blu sono all’ingresso, in attesa delle Autorità. Il resto si arrangi, c’è pure sciopero dei taxi.

Da: Il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2017  

ALFABETO – ISAIA SALES: “Napoli non è più capace di accudire i propri figli”

isaia-salesSono sei, di età compresa tra tre e quindici anni, i bambini che qualche giorno fa la magistratura napoletana ha sottratto alla patria potestà dei genitori, camorristi di vario calibro. La novità clamorosa è che questa decisione è prima culturale e poi giudiziaria: non solo le famiglie ma Napoli nel suo complesso non è nelle condizioni di far crescere i propri figli in un ambiente che non sia criminogeno. Perciò meglio mandarli al Nord, lontano dalla città della mala gente. A Isaia Sales, che studia da anni le cause della devianza civile di marchio camorristico, abbiamo chiesto se questa non sia in effetti la statuizione di un principio capovolto. In questo caso, in qualche modo, le colpe dei padri ricadono sui figli: “Sì, è così. In qualche modo si prende di mira il contesto sociale. Basta questo per supportare una decisione traumatica e definitiva: allontanare un bimbo dai propri genitori”.

Questi bambini però confezionavano droga, marinavano la scuola.

Ma non discuto! Altrove però si sarebbero invocati i servizi sociali, la famiglia sarebbe stata accompagnata in un recupero etico della propria funzione e i genitori messi davanti alle responsabilità. Oggi Napoli è senza alcuna capacità di accudire, assistere. È in balìa della sua nuova povertà. E la magistratura ne prende atto troncando il discorso e separando i destini.

Lei ha parlato di Stato-padre.

Riflettiamo su un punto: i soggetti qualificanti della vita napoletana oggi sono i camorristi e i giudici. Chi delinque e chi ripara, chi offende e chi punisce. Manca completamente la politica, manca la società. Nell’assenza il confronto si sviluppa in modo anomalo. Il giudice ha solo il codice penale come espressione della sua funzione.

Cosa deve fare il magistrato?

Infatti il magistrato, vistosi alla strette, capito che il Municipio non aveva mezzi per sostenere la riabilitazione e la città non aveva luoghi, comunità, case famiglia dove far accogliere questi bambini, ha deciso lo stralcio della loro vita. Ovvero la migrazione da un punto all’altro della Penisola.

Ha deciso che i bambini del Pallonetto, il quartiere dove stavano crescendo nell’illegalità, possono avere una vita felice solo a condizione di migrare al Nord. Come se il Sud – infettato dal virus criminale – non avesse più anticorpi.

Dal momento che non sono disponibili medicine e cure per combattere l’infezione sociale è meglio farli fuggire.

È un giudizio definitivo e mortale sul Sud.Continue reading

Al lavoro per l’addio: il nuovo partito ha già la sua foto di gruppo

contestatori-renziSe ne vanno. Gli ultimi saluti ieri e nello stesso teatro che tre anni fa – esattamente tre – diede il benservito a Enrico Letta. Da oggi cambiano le quote azionarie del Pd che assume le sembianze di una Margherita formato maxi e nella proprietà di Matteo Renzi entrano con cifre importanti Dario Franceschini, Graziano Delrio, Andrea Orlando e Maurizio Martina.

È UNA IMMAGINE, una sola foto – Enrico Mentana la mostra durante la sua diretta televisiva – a immortalare doviziosamente il recinto degli scissionisti, i traslocatori o trasvolatori riuniti nel rito dei saluti finali. In pochi metri quadrati e tre file di poltrone hanno preso posto, e certamente di loro spontanea volontà, Massimo D’Alema, in posizione centrale e silente, da perfetto deus ex machina, alle spalle Michele Emiliano, al lato Pier Luigi Bersani, poi Roberto Speranza, quindi Guglielmo Epifani. A fare da corona due pretoriani del sud e del nord dell’Italia, il calabrese Nico Stumpo e il veneto Davide Zoggia. Nel ritratto, e qualcosa vorrà pur dire, anche Marco Minniti, il ministro dell’Interno, dalemiano di tradizione, dal cuore appassito per il vecchio amore, ieri infatti un po’ afflosciato e forse fuori posto. Quando ha visto il flash – per darsi un po’ di ritegno – si è lievemente piegato alla sua sinistra, ma il clic era già andato a segno.

“Se ci conduci in un congresso solipsistico le conseguenze saranno gravi”. Nelle parole di Bersani, durante un discorso pieno di argomenti anche molto ragionevoli, l’ultimo avvertimento. Ma la sceneggiatura era stata già scritta e le parole dell’ex capo della Ditta che ora va in affitto mostravano quel che già si sapeva. Quale può essere la conseguenza grave se non la rottura definitiva? “È così, è una sciagura, qualcosa che non doveva succedere. Pensare che dieci anni fa ero il solo perplesso a sciogliere il Pds. Mi dissero che non era il caso di tenere la sinistra in un partito del diciotto per cento. Ora vanno a fare una Cosa che arriverà al dieci, lasciando completare a Renzi la sua Opa sul Pd”. Gianni Cuperlo, l’ex fedelissimo dalemiano, è in ambasce: “Mi batterò fino all’ultimo perché non succeda, ma i giochi sembrano fatti”. Renzi si vuole contare subito in un congresso che deve svolgersi prima dell’estate. Neanche Andrea Orlando intervenuto a sorpresa è riuscito a farlo rallentare: “Fare il congresso durante la campagna elettorale per le amministrative non ha senso. Sarà la fiera dell’antipolitica”. Niente da fare. “Mi dispiace Andrea…”, gli ha replicato Renzi. In primavera la conta sul nuovo segretario, in estate/autunno le elezioni.

Per quel tempo i traslocatori avranno edificato una nuova casa oppure, come appare plausibile, si saranno accasati dentro il grande e largo Campo progressista che sta realizzando il milanese Giuliano Pisapia. Perché è con Pisapia che Renzi dovrà vedersela, insidioso competitore sia per la premiership che come front man per una contro Opa. È un fatto che due giorni fa a Bologna l’ex sindaco di Milano sia stato benedetto da Romano Prodi: “Ho stima personale per Pisapia. Vediamo come si articolerà la proposta”. Parole che hanno fatto esultare Virginio Merola, sindaco di Bologna, anch’egli Pd e anch’egli con la testa altrove: “Quello di Prodi è per noi un importante incoraggiamento ad andare avanti”.

Tutto si tiene, forse.

Da: Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2016  

Chiamparino e de Magistris: “Occhio al più puro che poi epura”. “Però io mi sento un populista”

demagistrisVSchiamparinoIl piemontese e il napoletano. Il riformista e il populista. Il primo nell’establishment fino al collo; in piazza e con il popolo il secondo. Tra Sergio Chiamparino, presidente del Piemonte e già presidente della Compagnia San Paolo, ex sindaco di Torino, prima ancora deputato, e Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, la distanza apparente è almeno equivalente ai chilometri che separano le due città. Abbiamo rivolto loro le stesse domande e ciascuno, senza conoscere le risposte dell’altro, ha detto la sua. L’esito del confronto è meno scontato di quanto appaia e i due misurano i passi per vincere la partita della vita: come governare in tempi di crisi, quando l’odio e il rancore divengono identità sociali.

Populismo è la parola ricorrente di questa fase. Sta divenendo un tic collettivo: non c’è ora del giorno che non si invochi o si maledica il populista che è in noi.

Chiamparino: La paura che contamina ogni luogo e ci corre dietro spinge le fasce più deboli ed esposte alla crisi alla propria difesa attraverso l’unica arma a disposizione: odio verso tutto ciò che appare come nemico, cioè il potere costituito. Rancore verso coloro che sono incasellati nell’establishment: i ricchi che conservano, i potenti che distraggono. Siamo sommersi da merci che sconfiggono i nostri affari e da persone – i migranti – che destabilizzano il nostro modo di vivere. Il populismo è la traduzione politologica di una reazione popolare in cui le virtù sono tutte da una parte e i vizi d a un’altra.

de Magistris: Se per populismo intendiamo un potere che reclama di stare più dentro al cuore popolare io mi sento populista. Bado a conservare una connessione sentimentale con chi ha zero, a fare sempre un pezzetto di strada insieme agli ultimi e a comprendere le ragioni della indignazione. Che è un sentimento apprezzabile perché libera energie vitali e tiene a bada la paura che, se esonda, porta alla marginalità e, nei casi estremi, all’eversione.

C: Ricordiamoci sempre della frase del compagno Pietro Nenni: “C’è sempre un puro più puro che poi ti epura”.

dM: Se poi l’indignazione deve significare rabbia ottusa o depressione, banalizzazione di ogni decisione, repulsione per ogni ragionamento più complesso, se si intende il populismo in questa accezione, neanch’io condivido.

Sembra oggi che l’arco costituzionale venga compreso tra il Pd e Verdini, con Berlusconi al centro del gioco. Tutti dentro e legittimati, malgrado le storie, i profili – a volte alcuni schiettamente criminali – e le idee. E poi i movimenti popolari, parlo dei cinquestelle ma anche della Lega e di Fratelli d’Italia, visti come l’Msi di anni fa: sul limite dell’eversione.

C: Non penso che Lega e M5S abbiano coniugazioni comuni e possano essere accomunati in un fascio antidemocratico. Mi sembra solo propaganda questa. E per quel che vedo qui a Torino dove la sindaca Chiara Appendino è l’espressione del Movimento, noto un loro atteggiamento molto istituzionale, dentro al sistema dei poteri costituiti, rispettosi della cifra civile. A volte io sembro più eccentrico e fuori dalle regole di quanto non appaia la sindaca.

dM: Il Pd con Renzi è l’oligarchia al potere e ha collegato il suo destino a quello dei Verdini e dei Berlusconi. Amico fino alla sudditanza dei grandi potentati economici, dentro o nei paraggi dei grup pi finanziari, occupando lo Stato e ogni sedia dell’amministrazione pubblica. Il giochetto è di far apparire chi è ostile a loro come ostile al buon governo e anche alla democrazia. Si chiama demonizzazione dell’avversario.

Quanto a demonizzazione pure i grillini sono maestri.

C: Qualche volta mentre torno la sera a casa mi fermo a bere una birra con questi ragazzi dei cinquestelle. Sono bravi ragazzi e gli dico sempre: guardate che nel Pd non siamo tutti delinquenti e ladri.

dM: I cinquestelle all’origine rappresentavano un movimento trasversale e di popolo. Ho partecipato ai primi meet up ed erano altra cosa rispetto ad oggi dove la disciplina verticistica è assoluta e blocca ogni pensiero personale. E poi i loro capi sono arroganti. Quando vuoi scambiare un’idea con qualcuno di questi sbuca il Di Maio di turno che intima: non facciamo alleanze con nessuno! Ma chi vuole allearsi? Parlare significa allearsi?

È una società che vede il buco nero della crisi interminabile con la classe dirigente che non riesce a ritrovare un minimo di reputazione pubblica.

C: La politica si addensa nei luoghi tradizionali che non gestiscono il potere che noi gli accreditiamo. C’è come un effetto ottico. Penso al consiglio regionale, caricato di chissà quante aspettative ma che alla fine può poco. Ma anche il Parlamento così monumentale e presente nella vita quotidiana ha armi spuntate. In verità il potere che decide c’è dove non si vede. In Europa per esempio. E scelte politiche che cambiano la vita di tanti sono figlie delle scelte di grandi multinazionali, potentati economici e finanziari che pure sono difesi da una lente che opacizza fino a renderli invisibili.

dM: Perciò ho voluto legare sempre di più il popolo al Palazzo. Fondando questo movimento, DemA, che sta per Democrazia e Autonomia e vuole indicare una via possibile: trasversalità delle idee ancorate alla base della piramide sociale. È il popolo che deve guidare i processi e sono le autonomie territoriali che devono difendere le identità. In una città come Napoli siamo riusciti a calmierare la rabbia e a far esplodere energie positive. L’Italia ha bisogno di questi fermenti, altro che la cupezza e la mediocrità istituzionale del Pd.

Il Pd che idee ha? Solo quella di erigere un muro a difesa dei nuovi barbari?

C: Il mio partito deve decidere alla svelta un congresso e capire dove vuole andare e cosa vuole fare da grande. Pensano che se Grillo fallisce la prova del governo locale i voti che sono andati a lui torneranno a casa. Questo si chiama abbaglio da rendita parassitaria. Ormai ho l’età per non illudermi.

dM: E che ci vuoi fare con il Pd? La sua classe dirigente è così distante da noi… Proprio qui a Napoli in questi giorni è esploso il caso delle candidature sottoscritte a insaputa dei candidati. Cose dell’altro mondo.

Prima di salutarci date un consiglio a Virginia Raggi.

C: Mi dimetterei per cercare il riscatto. Ammetto che è un consiglio interessato, ma insomma ogni giorno è una legnata. Se credi di non meritarle devi pure dire: basta!

dM: Mi ha fatto molto impressione una sua dichiarazione nella quale giustificava la scelta di Marra in quanto l’unico che potesse darle le chiavi dei segreti del Campidoglio. No Virginia, devi trovare altre forme per governare quel caos. Io resisterei ancora un altro po’ ma poi, se mi vedessi perso nel labirinto romano, beh allora ciao ciao…

da: Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2017