Formigoni: “Corrotto? Macché, Celeste”

roberto-formigoniA me interessa soltanto parlare del processo.

Le mie erano notazioni intimiste.

Non sono interessato alle sue notazioni.

Roberto Formigoni è stato condannato a sei anni per corruzione.

Sono furibondo, mi sembra tutto assurdo, incredibile. È una storia che va raccontata per bene.

Comunque c’è l’appello.

I miei avvocati sono già al lavoro.

C’è stato complotto.

Non direi, non arrischio tanto.

Persecuzione, dai.

Diciamo accanimento. Del resto il centrodestra è stato bersaglio strutturale dell’azione delle procure, obiettivo permanente, soggetto propulsore dell’altrui attività censoria.

Ma com’è stato possibile che uno come lei…

Dunque: innocenti i dirigenti che avevano deciso, innocenti gli assessori che avevano condiviso, innocenti i funzionari che avevano deliberato e materialmente finanziato le somme per la Maugeri e il san Raffaele. Tutti innocenti. Un unico colpevole: Formigoni.

La sua caratura politica era tale, il dominio assoluto, la personalità così forte. Non per niente era il Celeste.

Ma il Celeste è un nomignolo affibbiatomi dagli amici alleati di governo per via della giacca celeste.

La giacca celeste la ricordo benissimo.

E del fatto che il mio ufficio fosse al trentacinquesimo piano del Pirellone.

In linea d’aria un po’ più vicino a Dio rispetto al resto del mondo. Il Celeste condannato è un ossimoro. È contro il principio di gravità.

Devo ancora completare la lettura delle motivazioni della sentenza. La sostanza è che vengo condannato per aver finanziato benemerite istituzioni sanitarie, per aver dato accesso alle migliori cure la povera gente che ancora mi ferma per strada, in metrò.

E la gente che incontra come fa?

Spesso mi chiede: quando ritorna?

Ma lei si ricandiderà?

Questo non lo so, è dal 1975 che sono in politica e certo ascolterò gli amici sul da farsi. Finora ho sempre fatto così. Sempre con una messe di voti invidiabile. Davanti a fior di politici. Ricorda un certo Scalfaro? Io prima di lui. Ricorda un certo Martinazzoli? Io prima di lui.

I suoi occhi incrociano quelli dei lombardi. Scruta livore oppure ossequio? Amicizia oppure odio?

Alcuni se ne fregano, in tanti mi riconoscono, altri chiedono: ma lei è Formigoni?Continue reading

Antonio Azzollini: “Truffa e bancarotta? Il Papa non mi può scomunicare”

antonio-azzolini“L’ordine di arresto mi viene notificato il mercoledì di quel disperato giorno di giugno di due anni fa”. Il senatore pugliese Antonio Azzollini venne imputato di associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta della “Casa della Divina Provvidenza” l’ex ospedale psichiatrico di Bisceglie. Richiesta di arresti domiciliari, un tuono in quel giorno di sole. “Il giovedì del 10 giugno 2015, mentre percorro alla guida della mia auto l’autostrada che da Molfetta mi porta a Roma vengo raggiunto dalla telefonata di papa Bergoglio. Sono assorto nei tristissimi pensieri. La sua voce mi scuote”.

Un fremito la percuote.

Mi manca il fiato, si appanna la vista, mi blocco. Alla fine cedo all’emozione ed è un fiume di lacrime. Il Papa mi consola.

Diciamo subito che fu uno scherzo ordito da La Zanzara, la trasmissione di Radio24.

Davvero mi confuse quella voce, nemmeno per un istante pensai alla beffa.

Oggi senatore la voce di Papa Bergoglio però si ripresenta a lei in forma scritta. Il Papa ha intenzione di scomunicare i fedeli corrotti.

Nel senso di tangentisti?

A quanto sembra sì, le leggo il titolo della notizia, non saprei dirle se il decreto si allarga ad altre fattispecie criminose.

Sul punto sono assolutamente fuori da ogni ipotizzabile scomunica.

In effetti ha una truffa e una bancarotta fraudolenta.

La bancarotta è caduta.

La truffa è rimasta.Continue reading

ALFABETO – ROSSELLA LAMPO: “Ho quattro figli, ma ogni sera canto alla Scala”

rossella-lampoAlta o bassa, profonda o acuta. Squillante, suadente. Ugola d’oro, voce d’incanto. È madre natura a concedere i suoi favori ma poi la fatica, la passione (e la fortuna) selezionano e fanno il resto. Rossella Lampo è corista della Scala, la più prestigiosa ribalta della lirica italiana. Da 25 anni non fa che cantare, ogni sera in ogni luogo d’Italia e del mondo. Racconta qui la sua vita che scorre insieme alla sua voce. “La voce è da custodire con la gelosia di una innamorata persa. Facciamo prevenzione, per esempio adesso sono appena uscita da una seduta di inalazioni. La teniamo difesa come una mamma accudisce il suo figlioletto. La voce è tutto. Se manca, s’incrina, si appiattisce o si consuma è la fine”.

 Lei è soprano, quante colleghe e colleghi ha sul palco?

Siamo in centocinque. Le signore sono soprani o contralti, i signori tenori e bassi. La distinzione entra anche nella grammatica sindacale e nei turni di lavoro. Abbiamo orari mensili che prevedono sessioni comuni, sessioni di genere o di singole voci.

La corista a che ora esce di casa?

Di norma verso le 16.30 del pomeriggio. Raggiunge il teatro e inizia la prova di u n’opera programmata molte settimane dopo. Finisce le prove, si ferma un attimo poi va in sala trucco.

Finisce le prove di un Mac – beth e inizia la preparazione di una Turandot.

Sì, sempre due opere parallele, magari in lingue diverse. La prima è una del bouquet di opere che devono essere preparate, e la seconda è quella che si porta in scena la sera.

Cantare ogni dì. Poi trucco e parrucco.

Il confronto con la cosmesi è duro. In un Macbeth il regista ci volle tutte truccate d’azzurro. Ricordo ancora una Turandotcon maschere di resina. Un caldo, un fuoco ovunque. E alcuni abiti sono così pesanti, così difficili da tenere…

La corista deve avere un fisico bestiale.

Le opere durano tre ore di media, a volte quattro, alcune si avvicinano al tetto delle cinque ore. Sempre in piedi.

Ahia, i tacchi!Continue reading

Luciano Canfora: “Le unioni ‘rosse’ fanno sempre flop. Il 6%? Un miracolo”

luciano-canforaI voti? Quanti voti? La sinistra ha perso il suo popolo durante i suoi governi, che io chiamo del suicidio. Lo ha regalato all’astensione, alla disperazione, ai Cinquestelle, alla Lega e persino a Fratelli d’Italia. Quindi mi terrei prudente, conterrei le speranze”.

Luciano Canfora, il principe della filologia classica e sempre schierato sul limite estremo del pensiero di sinistra, è inesorabile nello stimare le percentuali di successo dell’arcipelago progressista nel caso si ritrovasse unito.

Forse perché sono troppo vecchio e ricordo il flop dell’unificazione socialista. O perché in mente mi viene lo sfracello di voti che doveva prendere la Margherita quando diede vita al simbolo unico. E poi: flop. Oppure, ricorda, all’altro sfracello annunciato dal Pd, il partito a vocazione maggioritaria. Walter Veltroni e la Giovanna Melandri ogni sera in tv con questa benedetta vocazione maggioritaria. Si autoproclamavano maggioritari. Mi ricordavano quelli che alla domanda perché il papavero facesse dormire, rispondevano: perché ha la virtus dormitiva. Irresistibile come spiegazione.

Le viene in mente il fallimento delle varie fusioni fredde.

È la storia che ce lo dice. Anche quando si promosse Rifondazione comunista, e io facevo parte del gruppo di Cossutta, la cosiddetta terza mozione, parvero spalancarsi chissà quali porte, chissà quali praterie davanti a noi. Dopo un po’ di tempo le percentuali si assottigliarono fino a divenire quasi irrilevanti.

Quindi Bersani & co non si facciano troppe illusioni.

Io mi accontenterei della cifra che teme di perdere il Pd, ormai definitivamente partito di centro insieme a Forza Italia. Quel sei per cento che l’avversario Matteo Renzi paventa sarebbe già un bottino significativo.

Il Pd di Renzi?

Questo partito ha prodotto un aborto. Ora lo votano i nipoti degli elettori democristiani, le élites urbane, i benpensanti. È definitivamente e dichiaratamente un partito di centro.

Se il Pd copre unicamente il centro, facendo concorrenza a Forza Italia, ci sarà dunque una speranza a sinistra? Saranno paragoni inappropriati, ma altrove, dove la sinistra si è presentata nel suo vestito più classico e con i volti persino datati dell’americano Sanders e del britannico Corbyn, il proprio popolo l’ha ritrovato eccome.

Anzitutto si ricordi che in America, e non da ora, esiste un pezzo della sua società illuminato che vota a sinistra. Bernie Sanders ha perso il confronto con la Clinton perché anche lì le primarie sono una buffonata. Però c’è un’altra verità da riferire: negli Usa la sinistra non ha mai governato. E in Gran Bretagna i laburisti invece non si sono mai suicidati.

Invece in Italia la sinistra, governando, si è suicidata.

Non so perché si parli con una tale sfrontatezza di ventennio berlusconiano. Silvio Berlusconi ha governato dodici anni, il resto è opera di altri. L’emorragia di voti che ne è conseguita, aver regalato temo definitivamente alla Lega la classe operaia lombarda, o quel che resta di essa, aver prodotto migrazioni bibliche verso i Cinquestelle e financo dalle parti di Fratelli d’Italia è l’esito di un disastro politico.

La sinistra non ha un popolo, dunque, e nemmeno un leader.

La sinistra ha quel che ha, non la sopravvaluterei. Si affacceranno al voto nuove generazioni, vedremo come voteranno. Sul voto resto cauto. Sul leader possibile aggiungo che non bisogna trovare immediatamente il Giulio Cesare. Il leader deve uscire dal confronto delle idee, dal corpo a corpo nell’agone politico.

Torna in campo persino il nome di Prodi. E Bersani risulta addirittura più popolare di Pisapia. Di nomi nuovi e volti giovani nemmeno l’ombra.

A parte che Giuliano Pisapia è quasi coetaneo di Pierluigi Bersani e non vedo perché dovrebbe essere più popolare, ma che fesseria è questa dell’anagrafe? Il più giovane presidente del Consiglio che abbiamo avuto si chiamava Benito Mussolini. E ho detto tutto.

Da: Il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2017

Piccole esistenze e grandi storie: la vita è un Origami

origamiÈ IL PASSO doppio della vita: di qua la tua piccola esistenza, di là la grande storia. Quel passo segna dapprima i tuoi anni attraverso gli eventi che hai visto scorrere, poi li cuce dentro i grandi fatti della cronaca che hai narrato. Anna Maria Mori – istriana di Pola – vuole fare la giornalista. E da esule inizia il pellegrinaggio tra le redazioni, la lotta quotidiana per un contratto sia pur piccolo, un lavoretto sia pur breve. Siamo negli anni Cinquanta, lei è precaria proprio come decine di nostri colleghi oggi, ma non arretra mai. Nel filo rosso della memoria allinea i personaggi del mondo che ha raccontato per anni principalmente su Repubblica, il giornale in cui è stata chiamata fin dalla sua fondazione. “Origami”, edito da Einaudi, è il denso taccuino degli appunti, alcuni decisamente originali, come gli interminabili applausi che i suoi compagni di università tributavano a ogni lezione a Giorgio La Pira, il politico illuminato, pur di allontanarlo il più possibile dalla lezione. Mori racconta mezzo secolo di storia mettendo in fila i grandi che ha incontrato e le prove da cronista che ha dovuto superare. Il passo – appunto doppio – della vita.

Alberto Asor Rosa: “Le mancate risposte del M5S: da qui deve ripartire la sinistra”

alberto-asor-rosaMatteo Renzi ha posto il Partito democratico fuori dai confini del centrosinistra. Con lui il Pd ha subìto un mutamento antropologico e questo giovane leader, tra l’altro assolutamente legittimato dal voto degli iscritti del suo partito, dimostra di essere cresciuto in ben altre temperie. Come lui si pensi nel confronto politico non dice, dove egli si pensi non sa”. Inizia con un de profundis all’identità del partito che tuttora è l’erede testamentario della grande mamma – il Pci –il colloquio con Alberto Asor Rosa, letterato e pensatore, sulle speranze, le parole e i confini della sinistra in Italia. “Parlare dei confini della sinistra significa volermi chiedere dei confini dell’universo. È una richiesta irricevibile”.

Professore, le chiedo se la sinistra ha una ragione per continuare a vivere, un modello da emulare, un pensiero da difendere e dei volti da proporre.

Potrebbe mai darsi che io le rispondessi di no?

Potrebbe però darsi che lei spiegasse perché la sinistra trova vigore e un ruolo nella battaglia politica solo quando si affida a leader piuttosto vintage. Dapprima l’ottima performance dell’americano Sanders, poi la vitalità dimostrata da Corbyn in Gran Bretagna. In Italia chi appare più in sintonia con il linguaggio di sinistra appare Pier Luigi Bersani, non proprio un giovincello.

Buona domanda da fare a un 84enne. La più grande sciocchezza è immaginare che per rappresentare i giovani ci vogliano i giovani. Ci vogliono le idee, un pensiero accettabile: chi vuoi rappresentare, in quale mondo mi vuoi portare, e come vorresti edificarlo e poi difenderlo. Detto che anche in Germania i socialdemocratici non sono rappresentati da un ragazzo di primo pelo, la risposta è dentro il senso di ciò che è accaduto negli Usa o in Gran Bretagna. Il popolo ripone la sua stima in coloro che hanno una storia personale credibile, una reputazione inappuntabile. Si appoggia chi si ritiene essere capace di rispondere alla crisi straordinaria – che è insieme economica, culturale e civile – che stiamo attraversando.

In Italia invece la sinistra non sembra avere idee, né volti da spendere. Ma ha ancora un popolo che la voterebbe.

I volti seguono le idee. Ho appena proposto quella che ho chiamato una Costituente della sinistra, o come la si voglia definire. Si ritrovino insieme, si mettano a discutere, raggiungano un accordo su quel che c’è da fare, come farlo e soprattutto quali ceti rappresentare. Vedrà che poi il nome lo trovano.

Quali domande dovrebbero farsi?

Piuttosto direi: quali risposte dovrebbero dare? Prendano allora le grandi questioni sollevate dai grillini. Sono temi necessari per costruire una sinistra nuova. L’altroieri sera ho ascoltato per dieci minuti l’intervento conclusivo di Grillo a Genova: in che mani siamo caduti! La protesta targata Grillo è quanto di più sbagliato ci possa essere, ma le domande che avanza, i temi che affronta meritano una risposta. Ecco: una sinistra efficiente, contemporanea, attiva dovrebbe impegnarsi a dare le disposte che i grillini non sanno offrire.

E nulla proprio da fare con il Pd?Continue reading

ALFABETO ALESSANDRO – FUSACCHIA: “Siamo cervelloni, per questo vogliamo cambiare la politica”

alessandro-fusacchiaBravi, bravissimi a scuola, parecchi master alle spalle e ottime carriere in corso. Anche i cervelloni si buttano in politica, ed è una novità preziosa perché scardina il principio che la passione per il Palazzo sia questione da spicciafaccende o al massimo tenimento ereditario dei cosiddetti figli di…

“Non possiamo chiedere che siano solo gli altri a fare. Abbiamo ritenuto che la questione civile e insieme economica fossero così acute e gravi da non immaginare più di cavarcela con una delega. C’è bisogno di una mano, e questo è il momento. Alcuni di noi hanno preso un sabbatico, altri hanno addirittura lasciato il lavoro e siamo pronti all’avventura”.

Alessandro Fusacchia ha superato i trent’anni ma non ha incontrato ancora i quaranta. È funzionario Ue in aspettativa. Già grand commis, essendo stato capo di gabinetto del ministro della Pubblica istruzione, prima consigliere economico di Corrado Passera al ministero dello Sviluppo, prima ancora nella segreteria tecnica di Emma Bonino al ministero degli Esteri e del Commercio internazionale. È il leader di Movimenta, il gruppo che ha formato.

“Capovolgiamo il ritratto della politica per soli professionisti e combattiamo l’idea che il tecnico sia utile solo per essere cooptato. Abbiamo buoni studi ma veniamo tutti dal mondo del lavoro. In parecchi lasciano impieghi eccellenti. Il nostro tesoriere si è appena dimesso da una poltrona piuttosto ambita all’Onu e dopo un master ad Harvard”.

Non sarete troppo bravi, troppo perfetti, troppo a puntino, troppo estranei alla capacità di rappresentare una società di diversi, di persone troppo lontane da voi?

Vediamo che succede. Penso che una volta tanto la cultura alta non guasti e le funzioni di responsabilità che abbiamo ricoperto non possano costituire un problema. Non si era detto che troppi guardano? Non è più vero che troppi delegano? Dobbiamo preoccuparci delle nostre capacità?

Non se ne abbia a male, ma la vostra entrata nel campo della politica mi ricorda tanto la trincea del lavoro alla quale si appellò Silvio Berlusconi per cooptare i suoi rappresentanti in Parlamento.

Non se ne abbia lei a male, ma direi che le nostre vite hanno differenze con quelle altre. Intanto abbiamo reciso un elemento fondato della chiamata in politica: la cooptazione. Ci esponiamo con i nostri volti e le nostre idee, non chiediamo nulla. E abbiamo voluto associarci al partito elettoralmente più fragile del panorama italiano: i radicali di Emma Bonino.Continue reading

Il sociologo Luca Ricolfi: “Il popolo della sinistra si è assottigliato, ma c’è ancora”

dati-votoAll’indomani del sondaggio esclusivo pubblicato dal Fatto sulla lista unica di sinistra (una delle tabelle la vedete qui accanto), abbiamo chiesto un parere al sociologo Luca Ricolfi, che insegna Analisi dei dati all’Università di Torino e ha scritto da poco il saggio Sinistra e popolo.

Chi pensa che sia finita la sinistra ritiene anche che sia scomparso il suo popolo?

Non sono nella testa di chi pensa che sia finita la sinistra, per quanto mi riguarda penso che quello che40 anni fa era il popolo della sinistra si sia un po’ assottigliato, abbia notevolmente migliorato la propria condizione economico- sociale, ma non per questo sia interamente scomparso.

I sondaggi rilevano invece una significativa consistenza elettorale di una forza progressista, oltre il Pd. È questa la richiesta di volti nuovi o di idee nuove, di parole nuove, di comportamenti più autenticamente vicini a chi si vorrebbe rappresentare?

Tutte queste domande, peraltro molto generiche e spesso pre-politiche, indubbiamente ci sono, è l’offerta che latita.

Come spiega che tra i nomi sondati Pier Luigi Bersani attragga più di Giuliano Pisapia? Sembra confermarsi la teoria dell’usato sicuro.

Veramente non mi pare vi sia nulla da spiegare. Perché mai Pisapia dovrebbe attirare più voti di Bersani? Dopotutto il diritto di voto ce l’hanno tutti, non solo la borghesia illuminata o i “ceti medi riflessivi” (copyright Paul Ginsborg).

Lei cosa chiederebbe alla sinistra? Precedenza agli uomini nuovi o a nuove parole d’ordine, nuovi progetti, una idea praticabile, possibile, di uscire dalla crisi.

Io non credo che la cultura di sinistra, almeno in Italia, sia ormai più in grado di esprimere un’offerta politica utile al Paese, trovo perciò vano chiedere qualcosa a chi non può dare. Comunque, se proprio vogliamo fare questo esercizio, io chiederei due cose: un’idea plausibile per far ripartire il Pil e creare occupazione, e un’attenzione ai veri ultimi, che non sono certo i ceti beneficati da Renzi, ma semmai i 4-5 milioni di poveri che la crisi ci ha lasciato in eredità. È incredibile, ma le uniche proposte in campo per estirpare la povertà, ossia il reddito minimo e l’imposta negativa, non vengono dal Pd ma da Grillo e Berlusconi.Continue reading

IL LORO ALIBI “4 DICEMBRE” CI CONDANNA AL PASSATO

Il proporzionale che ci ritroviamo oggi di chi è figlio? Ma che domanda: siamo stati noi, col no alla riforma costituzionale, quella squisitezza servitaci da Matteo Renzi, a imboccare la strada della restaurazione.

In politica la manipolazione dell’esito referendario, storcerla di senso, è virtù conosciuta. Avendo rigettato la Costituzione superveloce, abbiamo buttato a mare pure la meraviglia maggioritaria dell’Italicum che ti faceva stravincere anche in assenza di elettori, mettendola nelle mani di quei tagliagole della Corte costituzionale che hanno completato l’omicidio e riportato le lancette dal punto in cui eravamo partiti.

Ora, che si ricordi, gli italiani una sola volta sono stati chiamati a giudicare la legge elettorale. Era l’anno 1991. E il voto sulla abolizione delle preferenze multiple fu così plebiscitario che indusse il Parlamento a varare il Mattarellum per parare i colpi di quella scelta. Introduceva il maggioritario lasciando comunque una quota (il 25 per cento) di proporzionale. Ma a differenza del resto dell’Europa, dove hanno l’abitudine di non toccarla, a noi la legge elettorale piace adattarla ai gusti del momento: ogni inquilino di Palazzo Chigi la cucina come più gli garba. A Silvio Berlusconi venne voglia del Porcellum, e lo fece, poi è toccato a Matteo Renzi e abbiamo visto. Adesso il piatto ce lo stanno preparando quattro grandi chef che vogliono assolutamente farci assaggiare la ricetta tedesca ma con un tocco di tricolore, una spruzzatina di italianità: il proporzionale tondo tondo, collegi uninominali finti, nessun voto disgiunto per evitare che gli elettori facciano scherzi nell’urna, proprio come noi abbiamo chiesto. Dovevamo saperlo quando abbiamo detto no il 4 dicembre. Invece ci siamo fatti fregare dalla nostalgia canaglia del pentapartito, quelli se ne sono accorti ed eccoci qui.

Da: Il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2017

Metro C racconta: orti, canali, vigne (e qualche tomba)

metroCI nonni dei nonni dei nonni di Roma si davano da fare con le frecce per cacciare mucche, capre e cervi, amavano l’orto, drenavano l’acqua, costruivano canali, non gli bastava il grano, producevano legumi. 1410 avanti Cristo, insediamento del neolitico poggiato alla base del parcheggio che fa da capolinea alla metro C in località Pantano, 18 chilometri di tratta, l’ultima fermata verso oltre le borgate della cinta metropolitana, alle soglie dei Castelli.

Tra le tante rogne che la nuova linea C ha dato a Roma almeno un tesoro ha restituito. Un enorme, incredibile viaggio nel tempo attraverso i secoli. Giù e ancora giù a seguire le tracce d e l l’uomo fin dove è stato possibile, fin quando è comparso. Diciotto metri ci separano dal punto G dell’archeologia, 18 è la quota zero, la soglia dove si perdono i segni dell’umanità comparsa, il fondo del fondo in cui le tracce della grandezza e dell’identità di Roma paiono misurabili, intellegibili, processabili in questo monumentale saliscendi dal contemporaneo al primitivo, lungo la scala, non metaforica, del ritrovamento di ciò che siamo stati. Giungere fino al piano terra dell’umanità non è soltanto una corsa all’ingiù, ma è anche l’esibizione di una tecnica sopraffina, di una ricerca no limits, di risorse economiche, finalmente si può dire, spese per illuminare la nostra identità, ritrovare fin nei dettagli la nostra memoria. Ciò che fummo.

Diciotto metri sotto il piano stradale è il punto dove lo scavo scientifico si è fermato (quello tecnico ha raggiunto i meno trenta), dove gli archeologi hanno finito le escursioni, chiuso nelle teche vasi di cocci e noccioli di pesca, ceneri funerarie, recintato e tutelato stanze militari e caserme, cave di tufo e discariche millenarie.

“UN GRANDE, avventuroso e felice viaggio nel tempo” l’ha chiamato Rossella Rea, curatrice scientifica del progetto. Le ruspe della metropolitana hanno seguito gli archeologi e hanno avanzato solo quando la caccia al tesoro era conclusa, i segni dell’uomo scomparsi. E hanno atteso, e l’attesa che pure è costata alla città, alla fine è stata premiata. È stato rovesciato il metodo di indagine, facendo aprire il varco agli archeologi, e sono state evitate le pratiche distruttive con le quali purtroppo avanzò la linea A della metropolitana…Continue reading