Aldo Masullo – Il professore: “Non è soltanto la classe dirigente del nostro Paese, è l’autorità che ha perso ogni distintivo di capacità di guardare oltre”

Aldo Masullo (filosofo)

Questo sarebbe il tempo giusto per un nuovo Marx, ma il pensiero non si coltiva in serra e la storia non coincide con la nostra biografia. Avremmo bisogno di uomini che stiano un gradino più in alto del resto della società e invece ci ritroviamo a essere governati con gente che è risucchiata nel gorgo della stupidità. Come si può pensare alla rivoluzione – qualunque tipo o modello di riforma strutturale dell’esistente – se il nostro sguardo sul mondo è destinato per tutto il giorno unicamente alle variazioni sul display del nostro telefonino?”.

Era il 1867 quando fu pubblicato il Libro I del Capitale di Karl Marx. Centocinquanta anni fa il filosofo di Treviri mandò alle stampe il volume che avrebbe promosso, sostenuto e accompagnato passioni e reazioni, condotto in piazza milioni di persone, trasformando il senso del giusto e dell’ingiusto. E Aldo Masullo, classe 1923, massimo studioso delle differenze tra idealismo e materialismo, ha attraversato il secolo scorso leggendo e rileggendo Marx per i suoi studenti. “Un’opera immensa. Ha annunciato il nuovo mondo. Ha spiegato e anticipato i caratteri del mondo borghese, del principio del tutti almeno formalmente uguali, della statuizione che ciascuno, indifferentemente dalla condizione sociale, è pari all’altro. Si usciva dal feudalesimo, dalla vita legata dallo status: feudatario, vassallo, plebeo. Grazie a lui si apre il mondo moderno, si afferma il principio della uguaglianza astratta. Sia che tu sia dritto o gobbo, intelligente o stupido, avrai da pagare le stesse mie tasse”.

Marx sembra Dio.Continue reading

Il partito dei rettori siciliani, sempre tesi al governo regionale

Un rettore di qua, un rettore di là, un rettore di sotto e uno di sopra. Nella leggendaria Sicilia la scienza arde di passione e non c’è professore universitario che negli anni non abbia messo le sue virtù a disposizione del bene comune. Controvoglia, magari. C o m’è accaduto a Fabrizio Micari, un ingegnere ordinario di Tecnologia e sistemi di lavorazione che l’anno scorso, di questi tempi profetizzò: “Non farò mai politica”. Ma l’imprevisto è dietro l’angolo. Lui, semplicemente, ha colto “un’opportunità” accettando di fare il candidato presidente per il centrosinistra. È stato costretto alla resa dalle pressioni di Leoluca Orlando e poi da quelle di Matteo Renzi.

INTENDIAMOCI: ha accettato tenendo però l’accademia come primo impegno nel suo cuor. Adesso fa il candidato e il rettore e solo “il 6 novembre (si vota il 5 ndr), nel caso le cose dovessero andare bene, mi dimetterei”. Nel caso le elezioni dovessero andare male l’università di Palermo, che questo ingegnere 55enne governa con enorme entusiasmo, resterà sotto la sua guida. Non per niente ha spiegato che “è la più grande azienda siciliana” con i suoi 4500 dipendenti. Senza Micari sarebbe il buio per l’isola. Anche Roberto Lagalla, l’ex Magnifico, ha scelto con sofferenza la via della politica pur di aprire un varco al buongoverno. A marzo scorso ha presentato il simbolo della sua creatura, Idea Sicilia, una mongolfiera con un sol dell’avvenire alle spalle: “Metto a disposizione la mia esperienza”. Insegna Diagnostica per immagini e in qualche modo la sua formidabile preparazione tecnica l’ha messa al servizio della comunità. Girando per la città, diagnosticando di qua e di là. Infatti ha riferito che l’idea di candidarsi è stata decisa accogliendo le risultanze dei suoi colloqui introspettivi con i cittadini. Ha infatti puntualizzato: “È un passo sollecitato dalla gente”.Continue reading

Gentiloni scippa a Renzi pure il consenso: all’Italia piace il suo silenzio

Paolo Gentiloni sembra divenuto il sarto perfetto, da curatore fallimentare del maggioritario, in via di tumulazione nel Parlamento, capo di un governo di piena e composta minoranza per un’Italia oramai assente e autistica, divisa nelle dichiarazioni di voto in tre parti uguali, nessuna delle quali preponderante. Gentiloni si sente poco e si vede meno, ma da premier anestesista sfoggia il carattere del campione. I sondaggisti restituiscono i valori in campo che rileggiamo con l’aiuto di Lorenzo Pregliasco, direttore di You Trend: le differenze numeriche con l’esecutivo Renzi sono minime nella serie storica, massime nei picchi. Renzi lascia a Gentiloni un governo che ha un consenso del 38 per cento, e Gentiloni lo porta al 43. È il gregario che sopravanza il leader, è il mediano che fa la partita e non il centravanti.

NELLA SERIE storica del gradimento fotografata da Demos i due esecutivi – durante la loro vita – stabilizzano le loro quote di consenso intorno al 40 per cento, ma la media tace dei tonfi, dei picchi all’ingiù, il pegno che Renzi ha pagato al grande credito che ha alimentato al tempo dell’assunzione del governo, e poi al consenso dilapidato dagli errori di gestione politica, dalle scelte sbagliate, dai bonus lanciati come carte di poker sul tavolo della politica e infine dalla ipertrofia comunicativa finanche fastidiosa. Invece di Gentiloni cosa si può dire? “Il silenzio, che pure fa parte del carattere dell’uomo – dice Pregliasco – è frutto però di una strategia. Raffreddare, scendere dal piedistallo, restituire all’assenza un ruolo.Continue reading

ALFABETO – ERMES MAIOLICA: “La gente è stanca, senza soldi e si beve le bufale che scrivi”

Misuriamo, scemenza per scemenza, la malattia del web insieme a Ermes Maiolica, capo scemo che è riuscito – avendo l’unico merito di scrivere idiozie – a godere di una certa notorietà.

Ha persino un nome d’arte e tanti che la intervistano e la chiamano a incontri pubblici.

Ermes è rimasto, ho solo cambiato il cognome: faccio Piastrella all’anagrafe e mi è parso giusto chiamarmi Maiolica.

Non ha un’arte e non ha una parte.

Metalmeccanico a Terni, vita un po’ sfortunata e un po’ appartata, sono stato seguace delle idee complottiste. Tutto il male fuoriusciva da una unica sorgente, un disegno preordinato dai poteri che controllavano il mondo e lo schiavizzavano.

Ha iniziato a scrivere bufale, quelle che oggi si chiamano fake news.

Non conoscendo Internet, figurarsi i social, ho iniziato a giocarci. M’è venuta l’idea di fare dei post impossibili e incredibili e ficcarli dentro i gruppi di discussione virtuale.

Ha notato subito che parecchi idioti abboccavano.

Ho affinato l’arte del fake, ho iniziato a proporre cose sempre più avanzate.

Stronzate sempre più grosse per testare quanto minchioni fossero gli italiani.

Ho conosciuto il successo vero, con migliaia di like e di commenti, con un post sulla Kyenge, l’ex ministro di colore del governo Letta. Ho scritto che la Kyenge stava dando le case popolari ai rettiliani, un popolo della fantascienza.

E gli idioti?

Madonna che bello. Un successo stratosferico. Solo pronunciare il nome della Kyenge faceva venire sui like, poi collegato alle case popolari e infine a un popolo diverso dal nostro lo faceva esplodere.Continue reading

ISCHIA, SOLDI PUBBLICI PER LE CREPE ABUSIVE

Sono ventisettemila le domande di condono, seicento le ordinanze di demolizione e migliaia gli atti giudiziari e le pagine dei giornali che descrivono la relazione compulsiva e ossessiva che Ischia ha con il cemento. L’isola è un vulcano e ha i lineamenti fragili di una statua di gesso. Se ogni pioggia si fa temporale, e ogni temporale muove i costoni fino a spingerli a mare, così ogni scossa, anche la meno distruttiva, compie un disastro.

TUTTO SCRITTO, tutto conosciuto, tutto così drammaticamente narrato fin da Benedetto Croce che raccontò la terribile ecatombe del 1883 di Casamicciola, dieci gradi della scala Mercalli, duemilatrecento morti: “Mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle e vedevo intorno il terriccio giallo e mi pareva di sognare (…) Mio padre, mia madre e mia sorella furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie”.

Eppure la storia non insegna mai, anzi Ischia acuisce il paradosso del rischio come tuffo carpiato nell’illegalità: più esso è alto e più alta è la percentuale di coloro che decidono di correrlo.

L’abuso edilizio sull’isola è infatti divenuto uso quotidiano e collettivo, sistema per campare e far campare, un modo per arricchirsi e arricchire. La corruzione, che i giuristi definiscono un reato-contratto, non ha vittime che denunciano ma appunto contraenti che fanno affari. Tu mi dai soldi, o voti, e in cambio io ti permetto di fare ciò che non si potrebbe nemmeno volendo invocare la “necessità”, una parola perfida e ipocrita che persino i grillini, per via della campagna elettorale in Sicilia, utilizzano per giustificare con pari ipocrisia la devastazione del territorio in quell’altra isola.

Il terremoto di Ischia consegna all’Italia un altro paradosso: d’ora in avanti, sperando sempre che ciò che gli abitanti e i turisti hanno subìto non abbia repliche, si conteranno i danni. Che non sono solo le macerie delle poche case cascate, o della vecchia chiesa stesa a terra, come un furbesco comunicato dei sei sindaci dei Comuni dell’isola tenta di far credere. Migliaia saranno le crepe, più o meno vistose e profonde. E migliaia le opere di consolidamento che dovranno essere compiute. Di certo le cuciture più costose – se si vorranno fare, com’è augurabile –s aranno dirette nelle abitazioni peggio costruite. E qui non c’è dubbio né scampo: le opere murarie furtive, compiute nelle notti cieche dell’abuso collettivo, saranno quelle più gravemente danneggiate. E per consolidarle ci sarà bisogno di notevoli iniezioni di danaro pubblico. Per la prima volta nella storia dissennata di questo nostro Paese la ricostruzione pubblica, garanzia e presidio della messa in opera secondo il rigore della legge, rischierà di legittimare l’abuso, istituzionalizzare per legge il fare contra legem. Se rifiutasse di aiutare gli abusivi l’isola bella, la magnifica e lussureggiante terra che guarda i campi flegrei e dà il fianco al Vesuvio, sarebbe un conservatorio di macerie disseminate, di crepe silenti e pericolose, di intonaci caduti, mura sbrecciate, tetti pericolanti o infiltrati dall’acqua.

Al danno dunque la beffa. Il danno di una classe dirigente, burocratica e politica, che ha consumato o lasciato depredare un territorio così incredibilmente ricco, fonte di un’agiatezza economica che gli isolani certo non dividono col resto del Paese, e la beffa di chiamare le Istituzioni, le cui leggi sono state disattese, eluse o vilipese, ora a intervenire.

NEL COMUNICATO col quale i sindaci hanno escluso categoricamente che gli edifici crollati fossero quelli edificati oltre la legge o contro la legge, non c’è traccia – perché non vi poteva essere – di quanti cittadini proprietari di case legali, di quelle solo sanate e delle altre insanabili, chiederanno un sostegno economico. Basteranno però poche settimane perché il censimento dei danni si compia. E il saldo finale sarà la cartina di tornasole di quanti soldi saranno necessari e a chi andranno. Né in quel comunicato c’è traccia di un’altra realtà: quante case condonate hanno poi ricevuto opere di adeguamento o consolidamento statico. Sarebbe facile per i sindaci, e utile per l’opinione pubblica e per l’immagine dell’isola, andare negli archivi degli uffici tecnici e controllare quanti ischitani o italiani che nella meravigliosa isola hanno deciso di risiedere e fare affari, costruire e trasformare in alberghi, residence, B&B le loro dimore hanno provveduto a curare col ferro le colate di cemento impoverito per via dell’abuso, a cucire con i cordoli le pareti di mattoni forati eretti sotto le stelle.

Quanti insomma, ravvedendosi, hanno scelto di mettere in sicurezza – seppure a posteriori – la propria abitazione e quanti invece hanno atteso che la sorte bussasse alla porta.

Da: Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2017

ALFABETO – MICHELE ORICCHIO, procuratore della Corte dei Conti in Campania: “Siamo un Paese troppo creativo: anche sugli sprechi”

Il mondo alla rovescia. L’autovelox che doveva impedire di farci sfracellare in auto imponendoci di percorrere le statali alle velocità della Formula uno è stato utilizzato per aumentare l’indice di indebitamento dei comuni; la Tari, che avrebbe dovuto portare pulizia nei conti e nelle strade, produce extra costi e, purtroppo, un di più di monnezza a la carte. Due degli esempi che Michele Oricchio, procuratore della Corte dei Conti in Campania, il pubblico accusatore degli sprechi collettivi, avanza per documentare il destino irrecuperabile delle casse pubbliche. “Le spiego perché l’autovelox ha realizzato un altro momento di costosa inefficienza pubblica?”.

Spieghi, procuratore.

La misura del controllo della velocità è assolutamente condivisibile. Ma l’auto velox più che preoccuparsi dell’incolumità dei viaggiatori è divenuto il banchetto al quale hanno attinto le fauci voraci dei comuni lambiti da strade a scorrimento veloce.

I sindaci hanno puntato gli infrarossi.

I sindaci hanno immediatamente capito che prendevano due piccioni con una fava: si spennava il viaggiatore ignoto, dunque liberi di farlo inviperire per l’ammenda comminata sul filo di lana dei 90 chilometri orari, venti in più del previsto, e quei soldi li distribuiva ai viaggiatori felici e incolumi da ogni possibile misfatto nella loro qualità di residenti ed elettori.

Il sindaco prega che il viaggiatore ignoto prema sull’acceleratore.Continue reading

Favara e l’abuso a rovescio: sigilli contro l’arte in strada

Veniva riscontrata occupazione abusiva di suolo pubblico con una pedana di legno avente forma trapezoidale (…) con una sovrastante struttura di ferro e legno… con una struttura denominata Equilatera avente le seguenti dimensioni: base maggiore m 4,60 metri, base minore metri 3,20, lunghezza 13,60 metri”.

A FAVARA, città siciliana che all’abuso fa l’inchino quotidiano, abituata negli anni a essere deformata dal cemento, al punto di apparire, nella prima periferia, più un’escrescenza urbana alle porte di Agrigento che una città orgogliosa delle sue mura e della propria identità, il comune annota l’abuso di una installazione artistica e prescrive – con tanto di provvedimento – il ripristino dei luoghi, prospettando una sanzione amministrativa che potrà raggiungere i ventimila euro. Nella tenaglia dell’occhiutissima amministrazione, oggi peraltro guidata da una giovane sindaca cinquestelle, Anna Alba, è cascato il Farm Cultural Park, un’invenzione di una coppia, Andrea Bartoli e Florinda Saieva, che ha rivoltato letteralmente l’immagine della città, trasformandola da disastrata enclave di un territorio – l’agrigentino appunto – s edotto e conquistato dalle mafie a snodo nevralgico dell’arte contemporanea, stazione di partenza e di arrivo di artisti di grande livello. Una enorme farcitura culturale che si regge – e questo è un altro dato enorme per l’isola – sulle finanze private. Una scommessa nella scommessa e, cosa ancora più lucente e incredibile, un traino incredibile per l’economia locale che si è vista conquistare da questa idea, per metà pazza e per l’altra metà invece lucidissima. La fattoria creativa si è trasformata in una meta imperdibile, gli alberghi hanno iniziato a riempirsi, le imprese a darsi coraggio, la città a riconoscere un progetto nato nel segno di una scelta familiare, di un desiderio privato: “Dovevamo prendere una decisione per le nostre figlie: farle vivere nel degrado era per noi inaccettabile. Allora ci siamo detti: o cambiamo Favara oppure andiamo all’estero”, ricorda Bartoli, il notaio fondatore.Continue reading

Andrea Causin: “Cucino per i camionisti e in politica corro con B. per salvare le periferie”

Non esistono solo Renzi o Berlusconi o Grillo. In Parlamento in tanti vogliono cambiare l’Italia e purtroppo non hanno un filo di visibilità, giacciono all’ombra dei leader. Per dire, conoscete mica Andrea Causin? “Ho 45 anni e vivo a Martellago. Ho una trattoria per camionisti proprio allo svincolo autostradale e sono socio di una impresa di servizi. Poi, per passione, faccio il deputato”.

Causin, diciamola tutta, lei si schermisce perché il suo stile è improntato alla sobrietà. Però la notizia è un’altra.

Facevo bene allora a non risponderle. In genere non parlo coi giornalisti perché scrivono quel che vogliono, ti rubano il pensiero, te lo ciancicano, te lo stropicciano e tu ne esci come un coglione.

Si è appena iscritto a Forza Italia, la ricandidatura è sicura…

Sono stato due ore e mezza da Silvio Berlusconi e ho visto un uomo sinceramente preoccupato per lo stato delle periferie in Italia.

Non c’è solo Trump. Finalmente un altro ricco che pensa ai poveri.

L’ho trovato sul pezzo, volitivo, generoso. E io che ho presieduto la commissione periferie mi sono sentito garantito dal suo impegno.

Vogliamo dire che c’è anche dell’altro? Lo dice lei o lo scrivo io?

Certo, mi muovo nel solco della tradizione del Partito popolare europeo. Cambio partito per restare fedele al principio.

E pensare che Veltroni la volle nella segreteria nazionale del Pd.Continue reading

La legione dei desperados: “Ricandidami, ti prego!”

“La politica è una sostanza stupefacente”, dice lui. “Infatti noi siamo sotto metadone”, rassicura lei. Lui, il barese Francesco Paolo Sisto, e tra gli avvocati berlusconizzati il più resistente, vanesio e glamour, galvanizzato dagli eventi e dalla sorte. “C’è troppa fila alla porta di Silvio. Saremo comprensivi ma certo non possiamo accogliere tutti. C’è chi ha diritto ad avere un posto in tolda e chi – senza troppo amareggiarsi – deve accomodarsi sotto coperta. Il destino, le avversità e un pizzico di colpa lo hanno fatto giungere tardi all’appuntamento”. È iniziata l’estate dello sconforto, sono 300 i desperados in cerca di casa, i migranti economici della politica, senza tetto bisognosi di accasarsi.

“Siamo in braghe di tela ma questi sono i momenti dove chi mastica la politica capisce dov’è la trappola, dove si annega e dove invece ci si salva”. Cinzia Bonfrisco è una signora veronese ex del Biscione: “Berlusconi è come il pastore Jim Jones quando mandò felicemente al suicidio 900 suoi adepti facendogli credere che la morte fosse l’unica arma per raggiungere la felicità. Con le cifre dei sondaggi più favorevoli chi vuoi che si salvi? Lui e i famigli, la ristretta cerchia dei devoti. Ma gli altri? Dico di riflettere. Noi con Raffaele Fitto ci battiamo per un ricambio generazionale del centrodestra. Lì è la nostra storia ma lì le cose devono cambiare”.

Fino al 6 ottobre, data in cui si presenteranno le liste per le regionali siciliane e finalmente si capirà con gli apparentamenti dove sia la salvezza, i trecento migranti, parlamentari in esubero contando i cento che pure perderebbe il Pd, navigano in un mare di guai. Terrorizzati dall’idea che – di punto in bianco – del domani non vi sia nessuna certezza. L’avvocato Sisto, sicuro: “Il problema è che si sono mossi tardi, vediamo un po’ come organizzarci, magari con una quarta gamba del centrodestra”.

Cavolo, la quarta gamba? “Ma quella è una bad company, lì si sfracellano tutti”, urla Giuseppe Castiglione, alfaniano e raccoglitore di voti nella Sicilia orientale. “Dico, siamo matti? Se si va col proporzionale l’unica possibilità di ritornare in Parlamento è che Berlusconi ti piazzi capolista. Ipotesi assurda, no? Allora ti salvi solo se hai i voti. Chi starà al centro, chi resisterà con Alfano, vedrà il successo alla portata di mano. Basta essere radicati sul territorio. Angelino ha promesso che a settembre scenderemo in campo noi, il centro schiererà la formazione migliore, e vedrete quale forza saremo in grado di contrapporre sia a Renzi che a Berlusconi”.Continue reading

“Ho tenuto aperto lo studio. Ora, prima o poi, dico ciao”

Alessandra Moretti è la decana degli sbalzati di sella. È colei che ha perso di più al tavolo da poker del Pd. È dunque titolata a parlare della genesi della disperazione in politica. “Prima cosa da sapere: se alla politica togli la passione, resta solo l’invidia e la cattiveria. Senza passione divieni più vulnerabile, e gli inciampi ti costano di più”.

I suoi inciampi sono stati terribili. C’è stato un periodo che sembrava veramente oggetto di una fattura maligna.

Esagerate sempre… certo ho vissuto momenti di difficoltà.

Il viaggio in India…

Non andiamo sui dettagli…

Ha buttato alle ortiche una fortuna. Oggi chi si dispera per farsi rieleggere deve ripensare a quel che le accadde.

Sta parlando delle 232mila preferenze alle europee?

Ecco.

Allo stipendione che ho lasciato e pure al vitalizio andato in fumo.

Le resta il seggio da consigliere in Veneto.

Ho fatto quel che mi chiedeva il partito.

Non era sazia, ma ambiziosa oltre misura. E in tv imperversava e la intervistavano su ogni faccenda dell’universo e lei sembrava sempre fuori tempo.

Parzialmente d’accordo. Ora scelgo io dove andare e parlo solo dei temi di cui mi occupo.

Era in segreteria nazionale. La politica è crudele.

Sono nella direzione nazionale e mi basta. Ho tenuto aperto lo studio legale perché so che verrà il tempo di fare con la manina ciao alla politica.

Volessimo chiederle come si fa?

A rialzarsi?

A morigerare l’ambizione.

Lei prende una parte e ne fa il tutto. È fazioso.

Lasciata con un pugno di mosche in mano.

Ripeto: è fazioso. Sono maturata, ho riflettuto sulla provvisorietà della politica…

Tutto passa: anche Renzi, anche il Pd.

Spero di no. E comunque resta la famiglia e il lavoro. Cioè la vita.

Da: Il Fatto Quotidiano, 28 luglio 2017