La verve di un Gentiloni per sonnecchiare sereni

De gustibus non est disputandum. Ciascuno di noi si mette davanti alla tv e scrutando Sanremo, scruta l’Italia. I pubblicitari, per esempio, hanno visto che le canzoni fanno bene alla tavola. Inserzioni massicce di olio, pomodori pelati, cioccolata fondente. Significa che con le canzoni, o canzonette, si mangia. E dove c’è il Pil c’è lui, Paolo Gentiloni. Scrutando Sanremo Pier Luigi Bersani nota che Claudio Baglioni dà l’idea di essere un po’ il Gentiloni del Festival. Aplomb da forza tranquilla. In questo caso tranquillissima. Per la verve e l’energia mostrata, e rimanendo sempre ben piantato al centro della scena, a noi ricorda di più quei mattacchioni dell’Udc ai tempi in cui sonnecchiavano, e senza neanche dividersi, in Parlamento.

Veronica e il “sacrificio” da 45 milioni

Sono soldi. Milioni di milioni che Veronica Lario non vuole restituire all’ex consorte Silvio Berlusconi. Sessanta al lordo delle tasse, quarantacinque il suo netto. Cifra destinata al consumo e dunque “irripetibile”, scrive l’avvocato della signora.

Giunge in Cassazione, per l’ultimo tratto di una querelle giudiziaria solcata da questo mare di quattrini con i quali gli ex coniugi costruiscono le proprie memorie intime, la richiesta della Lario. Si aspetta che la Suprema Corte cancelli la sentenza con la quale i giudici di Appello di Milano nel novembre scorso cassarono l’assegno mensile di 1,4 milioni di euro a carico dell’ex marito, ordinando anche la restituzione dell’indebito percepito nei tre anni seguiti alla pronuncia di divorzio. Essendo economicamente “autonoma” Veronica non mantiene più quel diritto. Ecco, sul punto la contestazione. I soldi, quei soldi, servirebbero a ripagarla dal sacrificio impostole dall’unione: aver dovuto “sacrificare” il lavoro di attrice alla famiglia.

Un costo che si somma al beneficio per Berlusconi di liberare tempo, grazie all’impegno casalingo di Veronica, per i suoi affari e poi, sempre grazie all’attitudine della ex moglie, alla sua riservatezza e, presumiamo, anche alla sua beltà, di aver fatturato politicamente l’immagine di una famiglia coesa e felice, oltre che esteticamente a modo.

Ora noi dobbiamo dirlo chiaro: la simpatia per Veronica non è negoziabile. “Ciarpame senza pudore” definì il contesto anche umano nel quale suo marito sosteneva la funzione del capo del governo. Una pronuncia che ha costituito la prima vera crepa del berlusconismo. Eppure questo conteggio della bellezza, e anche della felicità o dell’infelicità, sembra un pochino fuori luogo. Che Veronica non sapesse di Silvio, dei suoi piaceri, del suo lifestyle? Dubitiamo. Ogni rinuncia ha un costo, e sono le donne prima e più degli uomini, a dover affrontare il doloroso bivio del lavoro oppure della famiglia. Ma in genere la scelta è dettata da motivi opposti. Sono i pochi soldi che obbligano alla rinuncia, invece nel caso in esame sono stati i soldi, fin troppi, ad aver messo Veronica con le spalle al muro: sposare il tycoon della Brianza, vivere nell’oro massiccio ma chiusa in casa invece che calcare da nubile il palco dei teatri d’Italia. Conteggiare poi la felicità (anche sessuale?) indotta al partner e lo sfruttamento intensivo che quest’ultimo per fini politici o di affari ha fatto della sua figliolanza non appare, a prima vista, granché utile né elegante. Dei soldi, sui soldi, con i soldi la vita di Silvio Berlusconi è lastricata. E Veronica, nei 23 anni di comunione, avrà assaporato forse più dispiaceri che piaceri. È certo dunque che lei, al contrario di lui, sa che i danè non sono tutto, che la felicità non si acquista a peso e che i figli, quand’anche facoltosi per nascita, non sono fatti di oro zecchino. Carne, sangue e forse persino lacrime. Veronica, se possiamo permetterci, pensi al resto che ha ritrovato.

da: ilfattoquotidiano.it

ORA IL M5S HA PIÙ “COMPETENTI” DI CHI LO ACCUSA DI INCOMPETENZA

Certo, l’ammiraglio già affondato fa storia a sé, rientra di diritto nel meglio che lo spassoso teatro della politica potesse offrire a noi spettatori. Come la sposa sull’altare, Rinaldo Veri, stratega militare già in forza alla Nato, si è ricordato di essere consigliere comunale nella sua Ortona per un partito diverso dai 5stelle un minuto dopo aver annunciato la sua candidatura al Parlamento con i 5stelle. Il fantastico dietrofront allunga la sfortunata casistica di quella che a Roma si chiama pischellaggine, forma mediana tra ingenuità e incapacità di cui Luigi Di Maio sembrerebbe portatore sano.

Bisogna pure annotare, tra le bizzarrie, che a Firenze, contrapposto a Renzi, viene schierato l’avvocato Nicola Cecchi, fino a un anno fa non solo del Pd ma sostenitore determinato e pubblico del Sì al referendum costituzionale renziano: “Sono stufo del no, del niet, del non si può fare”, scriveva il nostro.

Eppure i naïf a Cinquestelle hanno fatto un lavoro di scavo nella società civile più accurato dei loro competitori. E la partita tra dilettanti e professionisti, tra urlatori e competenti, sembra incredibilmente a favore dei primi.Continue reading

Il “paracadute”: ultimo vitalizio per smontare l’elettore

Non è un candidato ma un paracadutato. Il paracadute è il nuovo simbolo della classe dirigente: più si è in alto nella gerarchia del potere più si aprono ombrelli di riparo affinché nessuno dei maggiorenti risulti escluso dall’elezione, fatto fuori dai giochi. Non c’è un leader finora, di nessun partito, che abbia rinunciato alla doppia candidatura, con numerosi e spassosi fenomeni di triple e quadruple esposizioni al voto finto, alla scelta che non sceglie, all’elettore che non elegge, alla conta che non conta un bel niente essendo vietata la scelta. Al massimo è concesso di votare il partito (ma con le coalizioni anche i simboli sono di carta velina). Pacchetti chiusi, prendere o lasciare. Il paracadute è dunque il nuovo vero vitalizio della politica: l’iscrizione in uno o più listini proporzionali produce – ope legis – l’elezione. Sul giornale leggete ogni mattina le cronache marziane di leader nascosti ovunque, trasferiti da Nord a Sud, celati alla vista: meno si sa e meglio è. Congiunti di forza al candidato del maggioritario, lui solo – spesso peone – a giocarsi il tutto per tutto.

Nella perfidia del Rosatellum, che promette di non far vincere nessuno, c’è anche l’odioso inganno, lo ripetiamo, di far credere libero un voto obbligato, chiedere alla gente di contare senza che la conta esista, di scegliere senza poter scegliere. In questo la nuova legge elettorale supera perfino il grado di iniquità promossa dal Porcellum che almeno nel nome mostrava il suo vero volto.

Ancora qualche ora ci separa dalla chiusura delle liste, ancora qualche ombrello da aprire, qualche altro da chiudere per il mondo nuovo che verrà. Deputati mai, solo paracadutati.

Da: Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2018  

“Io non voto”. Il partito degli astenuti: iscritto un italiano su tre

Gli invisibili che il 4 marzo non andranno a votare. Ecco alcune delle loro voci.

PAOLO ARCURI Operaio Io e mia moglie da soli: costretti a fare la valigia

Ero operaio edile fino a poco tempo fa, fino a quando l’artrite reumatoide mi ha colpito alle mani, lasciandomi disoccupato. Devo ringraziare mia moglie che da quaggiù, io vivo in Calabria, in provincia di Catanzaro, ha accettato il lavoro in Friuli, da precaria della scuola. Si è portata la figlia più grande, mentre io accudisco la piccola. Quali speranze ho? Cosa immagina per me la politica? Non c’è nessuno che si accorga di te, delle tue difficoltà. Chi governa ha perso anche in questi luoghi, anzi specialmente in questi, ogni relazione con la vita, le sue esigenze, la sua pratica quotidiana. La politica ha desertificato i paesi, umiliato il lavoro, distrutto l’ambiente. La sinistra non si unisce e si comporta come la destra, non è vicina ai cittadini, non discute più, non crede nella mutualità, nella solidarietà. E io che ho quella idea in testa, quella bandiera in testa cosa posso fare se non astenermi?

MARINELLA TEDESCHI Funzionario pubblico Non ci è rimasto neanche Davide contro Golia

Non è la prima volta che mi succede. Altre volte ho rinunciato a scegliere e a “contare”. Che verbo truffaldino! Non contiamo, questa è la verità. Non contiamo nulla. Vivo al Sud e so che il voto di preferenza era dominato dai soliti noti. Ma almeno c’era la possibilità di sfidarli, di sostenere Davide contro Golia, si poteva almeno tentare di far deviare i voti sul candidato degno. Hanno negato persino quella modestissima concessione, il potere ha scelto di esprimere brutalmente il suo dominio. E allora io non voto, non faccio finta di scegliere. Grazie, ma ho già dato.

GIOVANNI PETRONIO Disoccupato Che ingenuo, sognavo la sinistra (ma non c’è)

Provo un senso di disgusto. Un potere così aggressivo, intimamente corrotto e distante dalla società non s’era mai visto prima. Sarò un ingenuo, perciò ho fatto cose da ingenui. L’anno scorso ho preso la tessera del Pd, pentendomene subito dopo. Io credo che questo partito, per poter rinascere, abbia bisogno di perdere e tanto. Solo una debacle totale potrà imporgli la necessità di una pulizia da cima a fon- do. Il Pd deve ritrovare l’importanza del gruppo, l’idea che il noi è meglio dell’io, anzi il noi è il nemico giurato d e l l’uomo solo al comando. Mi astengo perché non so chi scegliere. I Cinquestelle hanno debolezze strutturali, si comportano come un’e n ti t à chiusa, insondabile. Berlusconi è mummificato ormai, però dà l’impressione dell’usato sicuro. Mia nonna diceva che il potere, con la Costituzione, era stato dato al popolo e che bisognasse sempre votare comunista. Quel simbolo non c’è più, io lascio.

SILVIA SCAPELLATO Imprenditrice agricola Ci vorrebbe un Churchill, noi siamo asserviti

Parto da una considerazione che ho fatto dopo aver visto il film L’ora più buia. La fierezza e la dignità di un uomo come Churchill e del popolo inglese nel rifiutare ogni tipo di accordo con Hitler. Churchill che definisce Mussolini un lacchè. Ecco. Noi italiani siamo asserviti. Ho votato di tutto, dai radicali al partito dei pensionati, alla Rete di Claudio Fava – ve la ricordate? – e pure i grillini. Mi sono dovuta ricredere anche su loro, hanno mostrato poco spessore culturale e istituzionale. Roma credo lo dimostri ampiamente. Il quadro odierno è disarmante, l’Italia sembra un Paese da chiudere. Forse perché non abbiamo avuto una Rivoluzione ma solo la Resistenza. È un Paese che abbindoli con poco e la politica l’ha capito. Non c’è un’idea, una speranza. Io non voto.

LUIGI MANNINI Web content Un cenacolo di filosofi lontano dalle persone

Sono un precario a partita Iva. Credo che la sinistra sia definitivamente tramontata e questo disastro lo vivo con un’angoscia particolare. Possibile che Liberi e Uguali dopo aver fatto tutto quel bordello contro Renzi oggi parli di una possibile apertura e di una futura alleanza di governo? La politica non è una questione di simpatia personale, di invidia e di ripicche, io l’ho sempre intesa come comune senso della vita che lega me a te e a quell’altro. Così si forma un’idea e da quell’idea nasce un popolo. Ora invece vedo che la destra è molto radicata nei quartieri popolari, la sinistra pare soltanto un cenacolo di filosofi. Avevo immaginato di dare il mio voto a Potere al popolo, ma nemmeno loro mi convincono.

IPPOLITA LUZZO Blogger È solo un mercato, per questo resistiamo Continue reading

Giuliano Milia, l’avvocato folgorato sulla via del mattone

PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Pescara

Dietro l’acqua, sopra l’acqua, sotto l’acqua. Il mare di Pescara è di cemento. È piattaforma di costruzioni, luogo di negoziazioni, ampliamenti e riconversioni. È il centro di gravità permanente degli interessi dei maggiorenti. Uno tra tutti: Giuliano Milia.

AVVOCATO, anzi principe del foro di Pescara, legale di altissime doti tecniche, ha un amore inconfessabile per il mattone. Nove società familiari, scrive la Squadra mobile in un rapporto, e il meglio delle relazioni. Fortunatissimo perché tra le altre cose, Pescara ha un valore aggiunto giudiziario di tutto rispetto. Chi la guida, anzi la domina, cioè Luciano D’Alfonso, è quasi annegato nelle carte processuali, e i suoi processi, 25 capi d’imputazione azzerati grazie alla scienza di Milia, il suo avvocato, li porta in processione come se fossero santini: “Oramai ho l’immunità giudiziaria”. E l’avvocato nel tempo libero si dà da fare. L’Ikea ha costruito su suoi terreni, ottimo affare. E c’era la sua penna, il suo fiuto, nel centro commerciale Megalò 3, e sempre lui, cioè la sua famiglia, nel più grande progetto di risistemazione del waterfront. Area esondabile e rischiosa, dice la legge. Invece no. Cavillo dopo cavillo, il parco pubblico immaginato nell’area dismessa ex Edison diviene luogo d’alberghi, poi di uffici, infine – forse – di case. Deroga su deroga su deroga. E sempre in nome del diritto. L’avvocato Milia è quello del comma 271, un emendamento approntato dal Parlamento che, casualmente, sottrae alla pianificazione urbanistica di Pescara quell’area. Corsi, ricorsi. Tar, Consiglio di Stato.

DOVE C’È MILIA o c’è un uomo inguaiato, un perseguitato dalla giustizia a cui preme la salvezza dell’anima, oppure un buon affare. E Milia difende i potenti, ora il sindaco di Pescara, quando D’Alfonso lo era, ora quello di Chieti, ora il capostipite della più grande industria, naturalmente di costruzioni, che abbia l’Abruzzo, quella di Carlo Toto.

Pescara è città carnivora e gaudente: con i soldi ci va a letto tanto da essere stata segnalata qualche anno fa come la regina degli assegni a vuoto. Esibizionista, vitale, ottimista, anche fanfarona, capricciosa, furbetta, pasticciona. Un’atea devota. Ex grande contea del Pd, oggi ammaccata dalla resurrezione berlusconiana e della forza propulsiva grillina, propone a Matteo Renzi la candidatura del suo nobile padre D’Alfonso. Candidatura che ha una condizione e un limite, come il governatore ha specificato con gli amici: “Vado a Roma solo se mi fanno fare il ministro o il vice”. D’Alfonso, il vice unto del Signore.

Da: Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2018    

Mister autostrada, Carlo Toto: “Sogno il tunnel Roma-Pescara: 6 miliardi e offro tutto io”

PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Pescara

Carlo Toto è il talpone scavatore d’Italia. Si dice che sia in possesso dell’unica perforatrice in grado di inghiottire la roccia come si fa con un bignè al mattino al bar. Piantato come una quercia contadina, è la sentinella d’Abruzzo: chi vuole andarci per terra deve passare da lui e pagare. Ha infatti in concessione l’autostrada dei Parchi ed è appaltatore (Toto Costruzioni) di grandi opere. Era anche aviatore fino a quando la sua AirOne non è stata ceduta ad Alitalia.

Per venire da lei qui a Chieti abbiamo dovuto pagare 21,70 euro di pedaggio. Per tornare a Roma altrettanti ce ne vorranno. Aumento delle tariffe del 12,89 per cento. Lei è esoso come nessuno.

Faccio la figura del cattivo, di chi non si sazia mai. Devo ringraziare il governo per questo bel regalo. Io ho vinto una concessione, nella quale c’era scritto cosa avrei fatto io e cosa lo Stato. Nero su bianco l’aumento annuale previsto. Invece sa che è successo? Che per tre anni il contratto non è stato rispettato. Sono dovuto andare dal giudice per avere ragione. E ora tutti vengono a chiedere conto a me?

Lei pensa che non sia il minimo chiedere conto di questo eccesso?

Per ogni 10 euro che l’autostrada incassa come pedaggio, più di 5 vanno allo Stato, meno di 5 a me. Ma io devo far fronte con quella cifra a tutti gli investimenti.

Lei non si sazia mai. Ha avuto l’autostrada…

Mica l’ho avuta gratis. Ho vinto una gara pubblica, scusi se è poco.Continue reading

Pescara da bere, tra minigonne e disoccupazione al 18 per cento

PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Pescara

Non riescono a stare in casa d’estate, i pescaresi. “E non riescono a uscire in inverno”, racconta Veronica Gaspari, splendida e spiritosa. Lavora al caffè di piazza Muzii, Veronica, e giusto da oggi – come ogni giovedì – sfodera la minigonna che le fa da uniforme fino alla notte di domenica quando alla restante parte di settimana faranno seguito i pantaloni.

Come lei, tutte. E tutte belle, tutte come lei che sta giusta, che comanda e che – sentenzia Giuditta De Angelis, volitiva dj – “fa morale e classifica”.

Ecco Pescara che all’ora dell’aperitivo sembra ben più che vestita a festa, pronta per un party esclusivo tanto è così da bere, da conversazione e da dolce vita. “Tutto è accessibile a tutti: droga, cene e notti, con le persone che girano…”, scherza Andrea cui piace seminare zizzania, ma giusto per quel minimo di carattere con cui la città si rende Bengodi per attrarre tutti.

Pochi, a Pescara, sono di Pescara. Elena Vita, avvocato civilista, per fare un esempio, con Amalia Schiazza e Silvana Silvano – sue colleghe, attive al Tribunale di Chieti, tutte e tre belle, brave ed elegantissime – ecco: non lo sono.

E così Cosimo e ancora un altro Cosimo, rispettivamente dj e agente assicurativo: sono pugliesi, residenti ormai nella città dove restano tutti. Come Olga che insegna a tutti la giusta pronuncia dei venerati nomi della letteratura: Bulgakov, Tolstoj e Dostoevskij. È russa. Arrivata a Pescara, Olga è rimasta.

“Tutti i calciatori, gli atleti e i professionisti che capitano a Pescara”, dice Elena, “prendono poi residenza”. E restano. Chissà se David Parenzo, ormai di casa a Pescara, ci resterà.

Solo Giuditta, nella comitiva, è pescarese. Giuditta ha memoria di un’altra Pescara: “Ci fu una rassegna di arte contemporanea, Fuori uso; per la prima volta, ex fabbriche ed ex colonie divennero spazi espositivi”. Lesta di giudizi, Giuditta sentenzia: “Adesso non c’è nulla, vita culturale, zero”. Elena, Amalia e Silvana ridono. Giuditta, con loro: “A me la gente nuova mi cambia”. Ma al modo crudele delle donne quando se ne stanno tra loro, le ragazze ridono: “Siamo sempre gli stessi, qui; ecco il guaio”.

 

Da: Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2018  

PESCARA – Miami sull’Adriatico. Godere con D’Annunzio su un mare di cemento

PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Pescara

La vorace Pescara si chiama Pescara e non Castellammare Adriatico – il comune più grosso con cui nel 1926 fa un’unica cittadina – per Gabriele d’Annunzio, il poeta. Il nuovo centro doveva chiamarsi Aterno ma per la santa pace del Capo del Governo, incalzato dal Vate, succede che il piccolo s’ingoia il grande.

A sorvolarla, come a bordo dell’idrovolante Alcyone, ecco il brulicare di un unico sfogo: Pescara è un magnete a forma di triangolo – visto dall’alto – con una rientranza che fa poi da aggancio e trascina a sé Montesilvano, Silvi Marina, Città Sant’Angelo, Spoltore, San Giovanni Teatino, Francavilla e pure Chieti. Senza dimenticare i 60 mila sfollati del terremoto arrivati dall’entroterra. Numeri che danno la somma al totale.

SONO OTTO COMUNI di ben tre province (Chieti, Pescara e Teramo), chiamati ad adunarsi ai margini di piazza Salotto, lo slargo elegante dove Ettore Spalletti, scultore tra i più acclamati, si gode la visione della festa di laurea di un giovane zingaro giunto al rinfresco in groppa al suo cavallo bardato di tutto punto.

Pescara è ’nu film. Ricorda Maurizio Ballone, avvocato. Continue reading

Torna pure Bonanni: in fila per un posto da Berlusconi

E torna, torna anche Raffaele Bonanni. Quasi fatta, quasi certo, quasi sicuro che l’ex segretario della Cisl oggi affermato broker assicurativo riesca a trovare una candidatura con Forza Italia nel suo Abruzzo. La foto dell’investitura lo immortala, il 20 dicembre scorso, al tavolo della presidenza della cena di gala di Forza Italia, accanto al coordinatore regionale del partito, Nazario Pagano.

È la cena di Natale, è il momento buono per fare gli auguri e riceverli. E infatti se l’anno precedente solo in 120 avevano ritenuto di aderire, questa volta, scrutata l’aria, in tanti hanno fatto festa e reso omaggio. Ben più di 450 bombastiche personalità abruzzesi, secondo il report del sempre bene informato blog Maperò, hanno riempito il salone dell’albergo che ospitava la kermesse.

CRAVATTA e giacca i signori, vestito da matrimonio per le signore. Piccole imprese, Confindustria, sindacato, notai, carrozzieri d’alto bordo, avvocati, commercialisti: tutti convenuti. E lui, Bonanni, al centro. A vedere e farsi vedere. Da allora la candidatura è splendidamente avanzata, e il galoppo è stato così impetuoso che oggi appare in dirittura d’arrivo. Il timbro finale lo siglerà il Cavaliere di Arcore. La voglia è tanta, la riconoscenza pure.

Tutto torna in Italia e il passato più di ogni altra cosa. Lui, stazza fieramente e apparentemente marsicana, in realtà nativo di Bomba, tra le montagne chietine, classe di ferro 1949, è stato il baffo d’oro Cisl, il sindacalista manager, l’amministratore delegato delle trattative e del negoziato. E infatti nel 2014 aveva salutato l’alto impiego, ricoperto tra un agio retributivo all’altezza del compito, con la più strabiliante delle buste paga: 336mila euro l’anno.

“Ma è meglio di Barack Obama!”, avevano scritto i giornali riepilogando sia la carriera sia gli scatti d’anzianità. Anzi, soprattutto gli scatti: nel 2006 partiva da un lordo di 118,186 euro mensili che anno dopo anno, e grazie a fantastiche rivalutazioni, giunse e infine sopravanzò la soglia Obama. Bonanni, assai sorpreso per lo stupore che aveva colto l’opinione pubblica e dispiaciuto per il dispiacere arrecato ai suoi predecessori (un memorabile Savino Pezzotta: “Quasi mi vergogno, il mio ultimo stipendio da segretario è stato di 3.183 euro”) scelse il ritorno in patria, dove è rinato. Non prima di aver puntualizzato che dopo 47 anni di contributi la sua pensione (lorda di 8.583 euro mensili, netta di 5.122 euro) fosse addirittura inferiore di un qualunque giornalista caporedattore.

Di fatto, un caso tra i pochi che si contano e quindi da registrare, Bonanni, grazie all’anagrafe e anche a un po’ al suo ottimo fiuto, è riuscito a dribblare quasi del tutto la riforma Dini che instaurava il regime contributivo che la legge Fornero. Questo effettivamente si chiama talento.Continue reading