A Roma neanche la Chiesa è santa, figurarsi il resto. Quel resto siamo noi.
C’è un quid che ci manca: si chiama religione civile. Il teologo Vito Mancuso ne parlò diffusamente ancor prima che declinasse il pantheon berlusconiano. E spiegò che anche un nostro tratto antropologico, la scaltrezza, la condizione di assestare il passo dove meglio il piede potesse proteggersi, si andava dilatandosi fino a divenire costante ed estrema furbizia. Alla fine della giostra però la furbizia diviene null’altro che devianza dell’intelligenza.
Era il 2009 quando lei ne scrisse. Nulla è cambiato.
Non facciamoci illusioni, sono condizioni che non si colmano certo in un lustro. La religione (da re-ligio) è il senso di collegamento, di appartenenza, un legame fortissimo con qualcosa di più grande. Come cittadini è la disposizione della mente e del cuore a essere parte di qualcosa di più grande di noi stessi.
Perché siamo così?
Perché siamo divenuti italiani troppo tardi. Perché siamo figli di uno Stato che si è unito solo da pochi decenni, ha subìto la frammentazione, è stato ostaggio di domini potentissimi, non ultimo quello dello Stato Pontificio.
E siamo alle colpe della Chiesa.
La religione cattolica, a differenza di quella ortodossa e protestante molto votate alla identità nazionale e anche di più, ha preteso di essere l’Assoluto in terra e i fedeli hanno individuato la Chiesa come un succedaneo dello Stato, sovrapponendo l’una a discapito dell’altro: la comunità ecclesiale, il Regno dei cieli.
Poi la politica ha fatto il resto.
In Italia è stato sempre fortissimo il filone socialista e comunista. Non è un caso che nelle loro riunioni si cantasse l’Internazionale. E non è un caso che la parola Patria fosse intesa come una parolaccia e il senso nazionale vanificato sistematicamente.
E infine ci siamo noi italiani a completare l’opera.
È indubitabile che la natura dell’italiano sia individualista, e che questo carattere si mostri ancor più decisamente scendendo da Nord a Sud. Non c’è misura tra il senso di compattezza e unità del popolo tedesco rispetto all’italiano. Ma uguale differenza risalta anche se il raffronto è fatto tra un trentino o un piemontese e un siciliano.
Quanto ci costa essere individualisti?
Ci accreditano di essere un popolo di notevole intelligenza. Molto creativo con punte di genialità davvero non comuni. Ed è tutto vero. Però malgrado questa forza è l’uso distorto dell’intelligenza a farci affondare. Quando l’intelligenza diviene furbizia sistemica e di massa allora sono guai.
Troppo furbi. Un suicidio collettivo dell’etica.
La misura esorbitante della furbizia produce il caos, un divenire caotico della nostra vita. L’intelligenza vede quel che vuole vedere. Esiste il primato della volontà. E noi selezioniamo scientemente. Rifiutiamo il collegamento all’idea madre, a un qualcosa di più grande che ci unisca e ci faccia sentire comunità.
Individualisti, furbi e devotissimi.
Ma spesso la religione sconfina nell’intimismo, il credo si fa superstizione. È il sintomo di una religione immatura, così distante dalla predicazione di Gesù. Beati i perseguitati per la giustizia, per la loro voglia di vedere affermato il diritto. E che dire dei profeti? Per tutti si legga Isaia: “Quel che voglio è che il diritto non venga calpestato”. Invece esiste un senso comune diverso, differente.
Quel che succede in queste ore in Vaticano conferma il senso comune: non può esistere rigore, diritto, pulizia. Ma soltanto il rovescio, lo sporco.
Roma è l’emblema di questa incapacità di credere ai grandi ideali. La città santa è divenuta la città cinica, disillusa, tradita. Del resto la storia del papato è contrassegnata dalle stagione dei corvi. La storia ci offre casi a ripetizione: da papa Formoso alla papessa Giovanna, ai Borgia, fino ai giorni nostri…
Una stagione infinita di corvi.
Ora l’opposizione a Francesco è così visibile e la notizia del male al cervello è così simbolica. Il cervello ci guida e se si ammala si produce un processo di cancellazione, di lacerazione del tessuto. Ma la lacerazione è l’esatto contrario della religione. Mi aspettavo questo epilogo.
Se lo aspettava?
Assolutamente sì. Significa che Francesco sta duramente provando a cambiare la Chiesa, a trasformarla. Ogni azione di rinnovamento produce opposizione, al Concilio si creò lo scisma lefebvriano. Ora siamo di nuovo al punto, al bivio.
Da: Il Fatto Quotidiano, 24 ottobre 2015