ALFABETO – ERRI DE LUCA: “In un Paese sotto anestesia, i giovani nascono già vecchi”

erri-de-lucaErri De Luca, provi a illustrare questo nostro curioso tempo.

È l’età dell’anestesia, del torpore civile, dell’in differenza.

Siamo divenuti ospiti della nostra stessa vita. Come se nulla ci riguardasse immediatamente e completamente.

Ci manca la gioventù. A questa nostra società manca la linfa vitale della giovinezza. Noi vecchi siamo in maggioranza, e chi s’avvia alla vita prende coscienza della realtà dei numeri. Sa che sarà in minoranza e si adegua.

Anestesia, astinenza, astensione.

Sì può declinare anche così. Infatti un governo che chiede l’astensione al referendum sulle trivelle invoca l’astinenza civile, inietta anestetico nelle vene della società. Perciò io credo che il 17 aprile possa essere una prova anche di adrenalina, un risarcimento a noi stessi, alle nostre capacità di ribellione e rivalsa.

Manca la voglia di lottare.

Manca lo spirito di contraddizione, che è spirito essenzialmente giovanile. La voglia di non crederti, di essere scettico per principio, per predisposizione. La mia gioventù era figlia del dopoguerra, ed era una processione di rivolte, una forza inarrestabile di azioni, di energie messe in campo, di disordine creativo. Adesso i vecchi si fanno chiamare diversamente giovani. Siamo giunti al punto della contraffazione culturale, della rivoluzione grammaticale. Ma non dispero. Questo Paese mi riguarda e io sono in campo ogni qualvolta una ragione mi pare giusta, ha dignità di essere difesa, illustrata, denunziata.

Le trivelle, il petrolio, l’oro nero.

E prima la Val Susa e in mezzo gli ulivi pugliesi. Vado dove mi porta la ragione, dove sento il bisogno di stare, la necessità di dar voce.Continue reading

ALFABETO – MARINO NIOLA. L’antropologo: “Sacrificio e martirio sono parole che ci spaventano. Persino i macelli sono lontani da noi”

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Il nostro martire è l’agnello, lui il capro espiatorio, l’animale che col suo sangue leva a noi tutti i peccati. Martirio, sacrificio, peccato e sangue sono però parole che oggi suonano così prossime alla nostra vita, così temibili per la nostra libertà. Nuove, minacciose e fanatiche.

Professor Marino Niola, lei studia i riti dell’uomo. L’agnello per noi è divenuto solo parte di un menu.

Cosciotto o coratella? La secolarizzazione tra le sue innegabili virtù ha purtroppo il vizio di confinarci nel vuoto della memoria. Domani troveremo a tavola l’agnello al quale daremo il valore più immediato e modesto: gustoso cibo per il nostro palato, piacere per il nostro corpo, appuntamento conviviale genericamente festoso.

Questa è la settimana del sacrificio.

Del sacrificio animale. Altrove gli sgozzamenti – di pecore o montoni o agnelli – e il sangue sono manifesti, visibili in una relazione aperta, diretta, in un rapporto contiguo e permanente col sangue e con la morte. Ma la nostra cultura, anche quando si tratta di animali, rifiuta di vedere la morte, la esorcizza, la disconosce, la rende astratta. E quando proprio non può farne a meno, perché quell’ora arriva, tenta di renderla incruenta, la trasforma in dolce. L’uccisione, anche dell’agnello, avviene al buio, al chiuso, lontano dai nostri occhi. E suonerebbe assai disdicevole se potesse accadere il contrario. Il nostro rifiuto è assoluto e non esiste categoria che relativizzi la morte. Non assistiamo al sangue versato. Ci inorridisce se capita a un nostro simile, ci fa star male se accade per un animale.Continue reading

ALFABETO – LUCA MERCALLI. Il nostro secolo sarà quello dei profughi climatici

luca_mercalliTra qualche tempo conosceremo un’altra figura di migrante: il profugo climatico. Sarà la siccità o l’inondazione, l’uragano o la tempesta tropicale a trasformare gli uomini in sventurati. E la sventura avrà la solita rotta: dal sud verso il nord del mondo. Con Luca Mercalli, senza alcun dubbio il più lucido analista delle nuvole, parleremo dei tempi funesti che ci aspettano e anche della nostra sordità, dell’indifferenza davanti ai grandi temi della vita e dell’ossessione invece per il dettaglio.

A nessuno frega molto se l’oceano si innalza, ma quotidianamente siamo ossessionati dal tempo che fa. Neve, grandina, piove? Tutti a fare clic col mouse, meteo da tutte le parti. E quando non è acceso il computer c’è la tv, quando non siamo in casa ecco la radio che ci insegue con le previsioni.

È un fatto certo che i ghiacciai della Groenlandia si sciolgono progressivamente, ed è certo che ogni anno gli oceani si ingrossano di tre millimetri. È anche sicuro, pronosticato senza alcun margine di errore, che da qui al 2100 il livello dell’oceano aumenterà di mezzo metro. Intendiamoci: il mezzo metro è la misura minima, a condizione che gli impegni assunti alla conferenza sul clima di Parigi siano tutti rispettati. Se così non sarà, avremo un metro e anche più di acqua.Continue reading

ALFABETO – GIORGIO ASSENNATO: “Io, angelo e demone. Ma ora Taranto sta respirando meglio”

giorgio-assennatoSe l’Ilva non sputa più in aria il veleno di una volta, il fuoco e il fumo di una volta, lo dobbiamo alla capacità e all’integrità di Giorgio Assennato, 68 anni, professore in pensione di Medicina del lavoro e soprattutto direttore dell’Agenzia pugliese di protezione dell’ambiente. I suoi dati sono serviti alla magistratura locale, l’unico potere che si è rivelato integro, per addomesticare con la forza bruta delle ordinanze l’espansione cancerogena dell’industria dell’acciaio, mettere a posto la famiglia Riva, detentrice di un potere totalitario sulla città e sulla politica, e ricondurre la questione lavoro nell’ambito della legittima pretesa di non scambiare quell’offerta con la vita dei lavoratori. Ma Assennato è anche colui al quale la stessa magistratura, naturalmente per mano di altri procuratori, imputa “il completo asservimento”della sua funzione ai poteri forti. Quindi se l’Ilva ha vomitato veleno è anche perché lui ha chiuso un occhio, o forse tutti e due.

Eccoci al punto: lei professore è stato l’uno e il suo opposto.

Sono stato il nemico numero uno dell’Ilva e il Giuda che ha tratto in inganno la città.

Volendo potrei dirle che ha una personalità poliedrica.

L’unico mio dispiacere è che morirò prima di veder concluso l’iter giudiziario. Sono stato infilato in un mega-processo che deve ancora iniziare e durerà anni. Temo che non avrò vita quando decreteranno l’innocenza.

Ma com’è stato possibile?

Le vie della diagnostica giudiziaria mi sono sconosciute. Dicono che avrei preso ordini da Nichi Vendola per addolcire, sminuire, ridurre l’impatto venefico dei fumi dell’Ilva.

Lo dicono e lo provano?

Lo dicono e non lo provano, almeno secondo me. Non sanno o non ritengono plausibile che una persona non sia cameriere. Non sanno o non ritengono possibile che se Vendola mi avesse davvero chiesto questo io l’avrei preso a calci nel sedere. Calci in culo a Vendola e anche al Papa, se si fosse presentato Sua Santità.Continue reading

ALFABETO. “Ora sono supplente di me stessa”: maestra fuori per una multa

licenziamenti-insegnantiSono una insegnante supplente. Sono supplente di me stessa”. La straordinaria storia di P., 42 anni, italiana, maestra elementare assunta in ruolo dopo anni di precariato il 1° settembre scorso e licenziata il 22 gennaio 2016, chiamata tre giorni dopo a fare la supplente di se stessa, dunque con contratto provvisorio a colmare l’assenza dell’altra sé fino al prossimo 18 giugno, pare un non agevole caso di psichiatria burocratica e conclude una breve rassegna dei cavilli che inguaiano la vita, a volte l’annientano, sicuramente diagnosticano che la Pubblica amministrazione ha un male endemico e forse incurabile. Anche P. sceglie l’anonimato per timore che la pubblicità della sua vicenda possa influenzare negativamente gli sviluppi dei ricorsi giudiziari.

La storia ha inizio al sud tanti anni fa in un campo di nocciole.

Facevo il penultimo anno del magistrale e a settembre, per dare aiuto alla famiglia, sono andata a raccogliere frutta. Lavoro stagionale da bracciante agricola che ho svolto anche negli anni seguenti.

Accade però….Continue reading

ALFABETO: “Io, maestro cacciato per una multa in lire non dichiarata”

alfabeto-img2La colpa lo insegue, gli si infila nelle tasche, lo tiene perennemente in allarme. Lui è innocente, ma lo Stato aguzzino gli ha detto che è colpevole e lo ha licenziato.

R. P. ha 42 anni ed è siciliano. Per fare il suo lavoro di maestro elementare ha accettato a settembre di spostarsi a Bergamo. Il 3 novembre scorso l’incarico. Il 9 dicembre arriva inaspettata la lettera di licenziamento. La colpa lo insegue, gli si infila nelle tasche, lo tiene perennemente in allarme. Lui è innocente, ma lo Stato aguzzino gli ha detto che è colpevole e lo ha licenziato. R. P. ha 42 anni ed è siciliano. Per fare il suo lavoro di maestro elementare ha accettato a settembre di spostarsi a Bergamo. Il 3 novembre scorso l’incarico. Il 9 dicembre la lettera di licenziamento. Non aveva dichiarato di aver subito una multa all’età di 22 anni di 600mila lire. Non era la multa ricevuta a procurargli i guai ma l’averla taciuta.

FENOMENOLOGIA del cavillo, seconda puntata. Quando lo Stato perseguita con un cavillo gli innocenti, mentre, sempre grazie a un cavillo, fa ponti d’oro ai delinquenti, meglio se abituali. La storia di R. (chiede l’anonimato, è terrorizzato che anche una parola di troppo gli possa ulteriormente nuocere) è al di là del verosimile. Ecco il suo racconto.Continue reading

ALFABETO – STEFANO RHO: “Ho perso la cattedra. Un cavillo può ucciderti o liberarti”

stefano-rhoIl cavillo giuridico può salvarti la vita o anche uccidertela. Dipende chi sei, da dove vieni, a chi ti accompagni, chi ti difende in tribunale. Legioni di boss mafiosi escono dal carcere o neanche entrano grazie alla forma che si fa sostanza, al rito che si converte in legge. E con loro l’Italia impunita conta eserciti di faccendieri, piccoli e grandi evasori, corrotti o estorsori. Ma quel cavillo putrido, nero come la pece, a volte si trasforma in bianco giglio di illibatezza e condanna l’ingenuità e l’innocenza del malcapitato, lo trascina alla gogna.
ha 43 anni ed è – anzi era – professore di Filosofia in un liceo di Bergamo. La sua storia l’ha raccontata Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Ed è talmente incredibile da apparire una barzelletta. Undici anni fa, Stefano con un amico prende parte a una festa in piazza ad Averara, un paesino della provincia. Alla fine della festa, dopo l’una di notte, rientrando a casa, sia Stefano che l’amico avvertono il bisogno di liberarsi dalla birra bevuta e non trovando un locale pubblico aperto accostano l’auto al guardrail e, nascosti da un cespuglio, fanno la pipì. Una gazzella dei carabinieri, di rientro dalla festa, arresta la marcia e procede all’identificazione. Cosa fate, chi siete, eccetera.

Continui lei professore. Continue reading

ALFABETO – Pierluigi Cappello: La malattia cambia la capacità di sentire. Non quella di amare

cappello-pierluigiLa malattia ti colloca in una unità di misura strana, fuori del cerchio della vita ufficiale, senza il carburante che gli altri utilizzano per arare l’esistenza. Diventi osservatore, e in questo senso la poesia mi aiuta a riconoscere i segni più minuti della beltà e dell’orrido, del possibile e dell’impossibile”.

Trovo Pierluigi Cappello in ospedale a Udine. Con la sofferenza ha una speciale confidenza avendo ottenuto in dote da ragazzo una eredità feroce: incidente in moto, mesi tra la vita e la morte e poi l’immobilità come condizione permanente, quotidiana. Cappello è poeta della dolcezza, estimatore della rugiada, illustratore dell’odore della fatica e delle magnifiche minuzie. Ma è anche un giovane adulto paraplegico.

“Io sento che l ’acqua scorre fino a un certo punto del mio torace, poi l’acqua scompare come il mio corpo che si mimetizza e si assenta da me”.

Mi ha detto che ha intenzione, un giorno o l’altro, di scrivere un libro sull’amore, sui suoi amori.

Sì, vorrei scrivere qualcosa sull’amore e persino sulla sessualità delle persone in difficoltà. Comprendo che c’è il rischio di essere frainteso, ma sento che il mio corpo così immobile, impermeabile, assente alla vita è un corpo da esplorare. Meglio: lo sento come un corpo di frontiera. Come quei luoghi lontani, inaccessibili, faticosi anche solo a raggiungerli con il pensiero. Nell’amore, nel sesso, mi vedo effettivamente come un esploratore che tenta, a suo modo, di spezzare le catene e incamminarsi per raggiungere la vetta.Continue reading

ALFABETO – ILIDE CARMIGNANI: Per tradurre devo conoscere chi scrive, divenire il suo doppio

ilide-carmignaniOra ombra, ora orma, ora specchio dell’altro. Chi scrive in una lingua straniera ha bisogno dell’altro che gliela traduca. E chi traduce non altera, sbianchetta, riduce o ritarda il cammino delle parole ma le scruta fin dentro la loro anima e sceglie il corrispettivo dello stesso colore come fosse filo per cucire l’orlo.

Ilide Carmignani ha avuto talento e fortuna: traduce dallo spagnolo. E traduce, grazie alle sue virtù, i grandi narratori: Bolaño, Borges, Sepúlveda, García Márquez. I migliori, o anche i più letti, i più venduti. A Ilide, che ha 55 anni e vive in Toscana tra Lucca e il mare, si rivolgono gli editori che hanno bisogno della sua cura, del suo tocco, della sua firma.

Presumevo che la traduzione fosse un segno del bisogno, un peso più che un piacere.

Tradurre è un’arte meravigliosa e fragile della quale mi sono perdutamente innamorata appena ho messo piede all’università. Non sognavo di fare altro, ho rifiutato infatti le proposte delle case editrici che mi proponevano ruoli ritenuti più consistenti culturalmente. È stata una scelta coinvolgente.

Tradurre senza tradire.

Tradurre per me significa conoscere anzitutto chi scrive. Conoscere la sua penna, i suoi libri, il passato anche remoto, la sua vita. Mi adopero perché ogni sua sillaba venga convertita nello stile, nell’idea e nel senso voluto.

La parola pane.

Ecco, prima le sottoponevo semplici esempi di come una parola, parlavamo del pane, nella nostra lingua abbia una consistenza differente rispetto a quella tedesca o inglese. Il pane per noi è bianco e si mangia a tutte le ore e si mangia preferibilmente fresco. I tedeschi lo conservano per più tempo e lo distinguono tra bianco e nero. Dunque chi traduce dovrà intendere bene come e cosa lo scrittore intenda, quale sia il contesto espressivo. Il nostro bosco ha un’immagine ben definita e i suoi colori sono diversi dal bosco tedesco, ancora figlio dei fratelli Grimm. Dunque prevalentemente buio, nemico, pericoloso.Continue reading

ALFABETO – MARCO BELPOLITI: Per capire le tragedie servono narratori come Primo Levi

marco-belpolitiLa tragedia, da sola, non basta mai all’uomo. Perché esista e sia conosciuta ci vuole sempre qualcuno che l’abbia saputa raccontare.

Tra quattro giorni ricorderemo l’Olocausto, ma nella memoria sono stampati i caratteri delle parole di Primo Levi, le sue sillabe, la sua irripetibile testimonianza. Non avessimo letto Se questo è un uomo il ricordo di quella decimazione, il senso della depravazione umana, della folle corsa verso gli abissi sarebbe stato uguale? “Fin quando la tragedia non incontra qualcuno che la sappia raccontare scivola sugli abiti come acqua nel diluvio” dice Marco Belpoliti, critico letterario, docente di Letteratura a Bergamo e massimo studioso di Primo Levi. “Da venticinque anno ispeziono ogni suo scritto, e raccolgo, codifico, analizzo e rimetto in ordine il suo pensiero”.

Proprio di Belpoliti è la monumentale biografia da 735 pagine: Primo Levi di fronte e di profilo, edito da Guanda: “Siamo alla terza edizione, è un tomo che costa 38 euro. Vorrà dire qualcosa sulla dimensione letteraria e l’incanto espressivo di questo grande testimone della barbarie del secolo scorso.

L’Olocausto, l’ebraismo, il ricordo e la follia.

Quello di Levi non né un santino all’antifascismo né un santino all’Olocausto. Anticipa anzi che il suo libro è solo un documento per lo studio pacato dell’animo umano. A lui interessa indagare, e lo fa attraverso il ricordo minuzioso ma liberato dal linguaggio della crudeltà, dell’efferatezza. Non scrive mai camera a gas, mai la parola sterminio. Usa una sola volta il termine impiccagione. Anticipa lui stesso che il libro non aggiunge nulla a ciò che già si conosce. Il suo linguaggio è freddo, classicheggiante, dentro scorrono Dante e Manzoni, è buono per le lapidi, dice. Infatti Einaudi nel 1947 lo rifiuterà. Gli diranno no Cesare Pavese e Natalia Ginzburg e lo costringeranno a rivolgersi a un piccolo editore.

Lui cerca l’uomo o le sue nefandezze? Continue reading