Alfabeto: A – Amalia Signorelli

Incattiviti ma sempre pronti a perdonarci. Altro che brava gente

Altro che brava gente. Gli italiani stanno prendendo la china pericolosa dei cinici e pure apocalittici, incrudeliti dalla speranza perduta, disorientati e stanchi.

La diagnosi è piuttosto infausta, ma Amalia Signorelli, antropologa combattente, osserva la postura collettiva, questo disordine culturale e politico che conduce all’anarchismo etico. Ciascuno si arrangia. Come può e come sa.

signorelliDunque, professoressa: la brava gente è diventata cattiva?

Spiace dirlo ma un po’ sì. Il contraccolpo della stagione creativa di Tangentopoli ha prodotto una disillusione di massa. Credevamo, forse ingenuamente, che quelle forme di censura giudiziaria avessero liberato energie positive e consacrato alla verità un principio costituzionale. Siamo tutti uguali davanti alla legge. Vedevamo sfilare i potenti e abbiamo creduto che l’uguaglianza fosse un traguardo raggiunto.

Temo che si applaudisse ai processi più come realizzazione di una vendetta collettiva che della palingenesi.

Ci saranno stati tanti felici di vedere il sangue scorrere. Ma al fondo la serie di incredibili furfanterie scoperte furono salutate come una liberazione. L’avvio di un tempo nuovo e di uomini nuovi.

Invece niente.

Invece quel che ne è seguito è stato un lungo rosario di delusioni. Tutto è sembrato ricomporsi nell’usuale dimensione. L’uguaglianza, almeno nel principio, è tornata nella prassi della vita quotidiana a essere una chimera.Continue reading

Strade chiuse e piazze inutili sulla costa dei soldi buttati

L’anno scorso furono fortunati ed ebbero la strada aperta durante il weekend. Non fu un atto di riguardo per i residenti quanto per i vacanzieri. Sembrò brutto che per raggiungere il mare dovessero inoltrarsi sulla montagna. Per una questione di coerenza e di rispetto verso i turisti, si scelse il supremo atto d’eroismo: aprire una sola corsia tra il venerdì e il lunedì in modo che il transito, seppur lento, non causasse ulteriori disagi al ponte affaticato provocandone il collasso. Quest’anno, ed è la terza estate, forse non ce la si fa ad avere la strada, che è poi l’unica strada che c’è. Mancano i soldi, anzi no. I soldi ci sono, ben quaranta milioni di euro, ma mancava il progetto che tenesse unito il Cilento al resto d’Italia. Ora finalmente, dopo tre anni di studi approfonditissimi, c’è il piano esecutivo. Se tutto filerà liscio il cantiere che dovrebbe sanare il pilone che sprofonda a sud di Agropoli e la frana che devasta poco prima il manto stradale sarà cosa fatta per il prossimo anno. Al massimo nel 2017 il Cilento avrà una strada, gli italiani una meta in più e una via di fuga verso il mare. Serve tempo però, e cautela. Perché le frane sono tante e poco più a sud, meno di quaranta chilometri, una montagna sta afflosciandosi nell’acqua limpida del golfo di Policastro. Pisciotta, una delle perle del Tirreno, paese che sembra di cartapesta tanto è fragile e prezioso, con ulivi centenari che calano fino sugli scogli, è irraggiungibile da nord. Solo i carabinieri e i vigili del fuoco possono transitare. A Pisciotta si può agevolmente planare con un aliante, oppure usare i piedi dal più vicino paese che è Ascea, una decina di chilometri soltanto. Certo, la frana è del 1989, ma anche qui sono stati fatti studi meticolosi, e progetti, e varianti. Non mancavano i soldi, però.Continue reading

Il Grand Tour. Sul litorale del Lazio, rifugio periferia a due passi da Roma

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DA LADISPOLI A SABAUDIA VIAGGIO OLTRE LA CAPITALE. TRA PALAZZI RUMENI E CAMPI CUSTODITI DAI SIKH

Ladispoli era a metà tra il mare e il niente. Senza una piazza vera, senza un municipio vero, un campanile vero. Era un camminamento tra la spiaggia nera e l’autostrada, un territorio attraversato da due fiumi, il Sanguinara e il Vaccina. Roberto Rossellini che qui ha vissuto l’ha amata tanto proprio in virtù della sua inconsistenza. Un perfetto “non luogo”, direbbe l’antropologo francese Marc Augè.

Ladispoli, che nel 1949 era ancora frazione di Civitavecchia, nel 1983 contava solo ottomila abitanti. Con gli anni si è gonfiata come la pancia di una rana. Prima diecimila, poi quindicimila, poi venticinquemila. Poi trenta e infine quarantamila. Il numero provvisorio di oggi. “Muratori, piastrellisti, insegnanti, donne incinte senza più compagni, vedove con l’incubo dell’affitto di Roma, anziani con la pensione sociale. Poi i disoccupati, o i precari. E infine gli immigrati: prima gli ebrei russi, i polacchi, poi i serbi, i kosovari, gli africani del Senegal e dell’Eritrea. Infine la sede eletta dei rumeni d’Italia. La mia città è troppo vicina a Roma per non essere una fantastica piattaforma della provvisorietà. Chi non trova posto in città viene qua. Nel calcio ci sono le squadre di serie A e serie B. Noi siamo la serie B della città, una succursale, l’appendice romana traslocata sul mare”.Continue reading

Azzollini e la paura dell’arresto: “Tremo, ma io ex comunista ora ho la Divina Provvidenza”

Con che occhi mi guardi?

Io, senatore Azzollini?

Lo chiedo a chi incontro a Molfetta, la mia città. Lo chiedo soprattutto alle donne. Tu donna, con che occhi mi guardi?

Saranno occhi ipocriti e pieni d’acqua, o lucenti e compassionevoli, o di odio smisurato.

In molti mi si stringono intorno. Qualcuno magari no.

Quella maledetta frase la costringe a una umiliazione inaudita.

Io ti piscio in bocca… Detto da me? E per di più a una donna? Anzi a una suora! Mai, mai, mai…

In effetti lei, sempre galante…

Esattamente.

Grande estimatore.

Esattamente. Sono trascorsi sette giorni e ci sono ancora momenti in cui il mio corpo sussulta e trema.

Al senatore Antonio Azzollini (Ncd) è stato recapitato un ordine di arresto. Avrebbe maltrattato sia le suore della Divina Provvidenza sia i conti della caritatevole casa di cura situata a Bisceglie, città che condivide con Molfetta una sincera ammirazione per il longevo uomo politico pugliese.

Tredicimila voti l’ultima volta in cui mi candidai a sindaco. Molfetta è con me.

Ha l’aria dimessa, la barba lunga.

La barba la rado una volta a settimana. In genere il mercoledì.

Gli impegni istituzionali la tengono lontano dal barbiere?

Ogni sette giorni mi sembra comunque una buona media.Continue reading

B. e la caccia al suo successore

IL NOSTRO “SONDAGGIO” SU CHI PUÒ FAR RESUSCITARE IL CENTRODESTRA (CHE NON È MORTO)

di Antonello Caporale e  Fabrizio d’Esposito

A sua insaputa il centrodestra ritrova i voti che temeva perduti. Senza far nulla, restando inerte, sparso, diviso e nelle giornate migliori acerrimo nemico di se stesso, guarda sbucare all’orizzonte un vagone di voti di ogni calibro e fattura. Moderati di ritorno, leghisti lepenisti, fascisti d’annata, liberali, berlusconiani irriducibili. Partite iva e avanguardisti, commercianti e pensionati neo romantici, il centro e la periferia. Certo, il voto è locale e Matteo Renzi ha ancora intatta una vitalità e una capacità espansiva che questo stop incrina ma non annulla. Però torna il sorriso sui volti di quelli là.

L’analisi: Forza Italia al 6 % e la Lega al 10

Il centrodestra non è morto perché come sentenziò Pinuccio Tatarella buonanima, per andare oltre An e il vecchio Polo delle libertà, “l’Italia è al 65 per cento un Paese di centrodestra”. La resurrezione sarebbe completa se esistesse un Brugnaro d’Italia, l’imprenditore un po’ leghista, un po’berlusconiano, finanche un po’ renziano, che ha sbancato Venezia. Anche perché l’astensionismo resta il primo partito con milioni di voti di destra in pancia. Qualche dato lo ha fornito il solito Federico Fornaro, senatore del Pd studioso dei flussi elettorali, avendo come riferimento i 18 comuni capoluogo in cui si è votato: “Forza Italia ha limitato la partecipazione con il proprio simbolo a 12 comuni raccogliendo uno striminzito 6,7 per cento, rispetto al 22,7 ottenuto dal Pdl nelle precedenti tornate elettorali. In valore assoluto, per il partito di Berlusconi il confronto in questi 12 comuni è ancora più inclemente: da 115.511 a 30.827 voti”. La Lega, poi: “Il Carroccio esordisce in alcuni centri del sud con la lista Noi con Salvini riuscendo così a essere presente in 13 comuni e a raggiungere il 7,7 per cento. Se si prendono in considerazione solamente i 7 comuni del nord, la Lega sale al 10,8 (9,9 nel passato)”.

Cinque nomi di leader per 15 parlamentariContinue reading

Grande spreco, piccola reazione

In Italia ogni emergenza si fa industria. Oggi i migranti, ieri gli alluvionati o i terremotati. Abbiamo sperimentato l’emergenza per la munnezza a Napoli (circa sei miliardi di euro il totale fatturato), e prima ancora per il traffico di Roma, per le gondole di Venezia. Finanche i campionati di ciclismo a Varese e la processione del Papa a Loreto furono gestite con i fondi della Protezione civile. Emergenza significa urgenza che vuol dire deroga e poteri speciali. Cioè appalti senza gara, affidamenti senza prove, lavori senza collaudi. Cioè la cuccagna perfetta per i professionisti dello spreco, l’attività collaterale e indistinguibile di ogni buona emergenza che si riconosca. Così la disperazione umana, la migrazione dal sud al nord del mondo è divenuta presto un business, e l’accoglienza un esercizio contabile. Il migrante da disperato si è trasformato nella percezione pubblica, grazie a una propaganda colpevole e collusa, in un succhiasoldi, uno scansafatiche, un renitente alla civiltà. Sono nati, nella fantasia coltivata su internet o in tv, colonie di migranti che a spese della collettività soggiornano in hotel a quattro stelle. Nessuno, fino a quando non è scoppiato il bubbone di Mafia Capitale, ha elencato la banale, elementare realtà: i migranti sono divenuti lo scudo umano, il chiavistello perfetto per organizzare, sulla loro pelle, una gigantesca frode pubblica. Attrezzare stamberghe, trasformarle in centri di accoglienza e succhiare soldi.Continue reading

Corrado Passera: “Ora mi prendete tutti in giro. Ma sopporto: tanto vinco io”

Corrado Passera, un fuoco le arde dentro e non c’è niente da fare.

Niente, dal liceo, dai comitati studenteschi, da quando hai 18 anni e già in testa la voglia di fare bene qualcosa per il bene di tutti. Poi non te ne liberi più.

Perché un banchiere ricco si ritrova a fare il politico povero e trascurato da tutti? Perché spende i suoi soldi per andare a Uno Mattina? E perché gli italiani non lo capiscono? E perché invece lui pensa che lo comprendano? E di cosa è contento?

Mi piace che finalmente qualcuno mi faccia queste domande.

Ogni volta che la vedo in tv mi domando come sia stato possibile che Corrado Passera…

Alt, la fermo. Quel che sono oggi è il risultato della fatica di ieri, è il senso del dovere, di un impegno per la collettività che non mi ha mai lasciato in pace. In tutti i luoghi in cui ho svolto il mio mestiere di manager sono stato accompagnato da questo desiderio.Continue reading

Michele Santoro: “Sì, mi tremano le gambe Ma cambio per non fermarmi”

Certo che ho paura. Ho paura di non vedere più accendersi la lucetta rossa della telecamera, quella luce che mi ha accompagnato per trent’anni. Ho paura di non ritrovare più la comunità che si è formata attorno ai miei programmi. La paura è un sentimento umano di cui dobbiamo tener conto. Sono stanco di una televisione che è diventata routine, ho bisogno di ritrovare il mio tempo, e anche – se posso dire – di sbagliare. Le cose belle vengono se non ti lasci schiacciare dal timore di fare delle cose brutte. Anzi, mi spingo a dirti: devi osare il brutto per sperimentare il bello”.

Michele Santoro ha deciso di tornare in piazza, a Firenze, il prossimo 18 giugno per dare inizio, se così si può dire, a una fine.

A Firenze si chiude un ciclo. Non finisce Servizio Pubblico, ma finisce questo format che aveva avuto inizio in un’altra piazza, era stato voluto nella più grande e finora sconosciuta forma di condivisione collettiva, di intelligenza comune. Una, dieci, cento telecupole, una costruzione basica, una forma comunitaria di persone che hanno prodotto un miracolo. In centomila mi hanno dato fiducia e mi hanno messo in mano ciascuno dieci euro. Una roba pazzesca che la storia della televisione ancora assume come un assoluto inedito. E quella spinta popolare mi ha riportato in televisione, la mia casa da cui ero stato buttato fuori con l’editto bulgaro. Un editto che non è mai stato rimosso, nemmeno dopo i successi di Annozero. Torno in piazza per chiudere una porta e aprirne un’altra.Continue reading

Il Grand Tour. Veleno bianco latte, tombaroli d’annata e comunisti da museo

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Appena usciti da Livorno, città regina del caciucco e del comunismo italiano costretta dalla noia e dagli acciacchi dell’età (clientelismo, piccoli e grandi affari in cooperativa) alle cure dei grillini, una curva apre la salita verso il monastero delle suore di clausura di Santa Teresa. Il contrasto tra l’ex rosso antico e il bianco candido condurrebbe fuori strada. I livornesi atei hanno sempre considerato il presidio della fede come un segno e un bisogno. Chi farebbe a meno delle preghiere? I rapporti sono sempre stati di buon vicinato e gli affari della terra non sono mai stati mischiati all’aldilà. Il convento è su un promontorio nei pressi di Antignano, superate le ville liberty che guardano al mar Tirreno. Il sole, il mare, la villeggiatura familiare, benpensante e benestante hanno una sede elettiva: Castiglioncello. È l’idea magari falsa che offre la sua urbanistica, il rettangolo di casette ordinato e curato, apparente ritiro per dirigenti d’azienda, presidi in pensione, notai annoiati di provincia.Continue reading