Antonio Ingroia: “Quanti giudici inermi e collusi nascosti dietro le grandi toghe”

ingroia_obertiAntonio Ingroia era magistrato, ora è avvocato. Era l’accusatore infallibile. Oggi invece difende gli altri, a volte anche se stesso dai giudici. Era un leader, un candidato alla conquista dell’Italia, ora è un semplice milite di un’Azione civile che guadagna faticosamente il pane nelle cantine della politica. Era single, oggi ha una compagna ed è felice. Ieri Ingroia occupava i giornali, oggi i giornali non si occupano di lui.

Come nota, avvocato Ingroia, cambiando posizione il mondo sembra diverso.

La mia è una seconda vita nella quale metto a frutto gli errori della prima e anche i sacrifici, l’orgoglio, le vittorie che l’hanno segnata.

Ma il mondo che a lei ora sembra diverso è lo stesso di ieri. Oggi però incattivito e perfido nei suoi confronti, ieri osannante e piegato.

Era degno di un magistrato libero cercare la verità intorno a un fatto clamoroso, inimmaginabile: la trattativa Stato-mafia. Capisco oggi meglio di ieri che l’eccesso di attenzione mediatica alla fine ti storpia la vita. Senza volerlo vieni trascinato a trasformarti in oggetto invece che resistere come soggetto, a rischiare di essere dominato dalla scena invece che dominarla.

Sente che Narciso si impossessò di lei?

Essere un personaggio aumenta l’autostima. Fa piacere, è anche umano. Però poi, quando cala il sipario, hai da fare due conti con la vita.Continue reading

ALFABETO – MASSIMILIANO FORGIONE. Il direttore della casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi: “Chi lavora può essere reinserito”

massimiliano_forgioneIn questo brutto tempo c’è un’altra generazione di “cattivi” da tenere a bada, una tribù interna a ogni società. Massimiliano Forgione dirige la casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi (Av), un carcere modello per via di una strategia che fonda sul lavoro la responsabilità del detenuto e la sua rieducazione.

Lei, direttore, quanti minuti ci impiega per capire se l’ospite è un cattivo vero o un povero cristo?

Basta davvero poco. Non solo perchè ogni ospite è accompagnato dal fascicolo giudiziario, la sua biografia. Il suo comportamento e la sua pericolosità si misurano nel giro di poche ore.

Componga un catalogo dei cattivi.

Quelli di primo livello, il più basso, sono coloro che alla vista di una cella danno in escandescenze. La vita da reclusi è sottoposta a delle regole, e non potrebbe essere diversamente. Loro sistematicamente le rifiutano. Non vogliono rifarsi il letto, rifiutano di tornare in cella, provocano liti o solo fanno baccano, disturbano i coinquilini. Sono boriosi, vivono nel mito del guappo. Ma non sono pericolosi.

Il cattivo cattivo, invece?

È quello che adotta un comportamento formalmente ineccepibile ma instaura una scala gerarchica immediatamente visibile. Ha chi gli sistema il letto, chi gli cura il guardaroba, chi seleziona per lui il meglio della cena. È un capo, e lo si vede dalla biancheria che indossa, dal boxer di seta, dai pacchi alimentari che custodiscono profumi di pregio, maglioni di cachemire.Continue reading

Fratelli europei, nemici della morte

parigi-attentatiCi sarà sangue sulla sua camicia e poi sul corpo. E sulle sue mani, e i piedi, e i capelli. Un po’ di quel sangue che ha allagato l’arena del Bataclan, trasformandola in una pista di morte color porpora, una distesa di braccia allargate sul pavimento nella resa alla disgrazia, atterrate dalla ferocia, è di Valeria Solesin. Un po’ del suo sangue fa compagnia ad Abdesalam Salah ora che fugge e trema, o persino spera di farla franca. Lui è nato nel 1989, lei aveva due anni di più. Una foto sopra, quella di lui, col cartellino della Police Nationale, e una di sotto, quella di lei. “Appel” dice la prima, la stessa parola che c’era ieri a fianco del sorriso di Valeria. “Era una cittadina meravigliosa”, ha detto sua madre chiedendo a tutti di conoscerla per poterla giudicare nel modo giusto, appropriato, degno del talento e dell’energia che aveva. Fosse successo ieri, fossero state pubblicate ieri le due foto, le avremmo tenute unite nell’ansia della scomparsa.

Potevano essere una coppia di amici e finanche di fidanzati. Lui di origini magrebine, lei italiana. Cos’ha del resto il viso di questo assassino? È francese, ha i genitori immigrati come migliaia, anzi milioni di nuovi cittadini. Non la barba lunga, non il turbante, né la faccia coperta, né la sciabola, né il Corano che sono i segni visivi approssimativi, per noi occidentali, del Nuovo Nemico. E lei è una delle migliaia di italiani che vivono in Francia.

I nuovi cittadini d’Europa. Due ragazzi che solo ieri potevano far parte dello stesso gruppo. E anzi lei studiava da sociologa le forme dell’integrazione, documentava i rischi della marginalità, aveva davanti a sé ogni giorno, nel suo dottorato di ricerca alla Sorbona, l’elenco delle questioni più esplosive, la crisi sociale delle banlieu, il rancore che cova dentro questi quadrilateri di subalternità e nuova intolleranza.

Invece oggi sappiamo che l’uno è il carnefice e l’altra la sua vittima. Lui ha massacrato col fucile mitragliatore. Ha sparato per circa venti minuti, raccontano i superstiti. Lui e i suoi due compagni di esecuzione, hanno tirato ad altezza d’uomo, e non si sono mai fermati. E hanno dato il colpo di grazia ai corpi che mostravano segni di resistenza, le mani alzate per chiedere pietà o aiuto. Venti minuti di carneficina.

Valeria, secondo una deduzione logica, è finita subito, presa appena all’ingresso del teatro, quando i primi spari hanno diviso lei dal suo ragazzo, e la sua mano dalla sua borsa. I fucilieri si sono fatti strada con i kalashnikov e ognuno che cadeva lasciava alle loro pallottole la traiettoria aperta per dirigersi su un nuovo bersaglio. Un tappeto di morte sul quale, anche questo purtroppo sappiamo, chi si è salvato è stato costretto a strisciare. Qualcuno l’ha calpestato, qualche altro vi ha trovato rifugio per conservarsi la vita.

Due ragazzi, due cittadini europei. Eppure due vite opposte, anzi vite parallele che non hanno mai incontro e conoscenza, non hanno speranze da condividere né sogni da fare insieme, progetti da realizzare assieme.

Per queste vite, diceva Heidegger, l’unico destino comune è proprio e solo la morte.

Da: Il Fatto Quotidiano 16 novembre 2015

Su Twitter la ricerca disperata dei ragazzi inghiottiti a Parigi

recherchesParis

Lui e i lego montati a formare una spada. Avrà quarant’anni Robert Rouhier e un figlio. L’avrà fatta per lui quella spada. Ecco, è la foto messa su Twitter: lui con la spada. Tragica beffa, destino capovolto. Non ride ma piange chi adesso cerca Robert. È vivo? È morto? E il suo corpo è intero o straziato dalle bombe. Era anche lui nel recinto della mattanza del Bataclan? Di sicuro sono 129 quelli che non ci sono più, si sa che 352 sono i feriti di cui 99 in condizioni critiche. La questione ora è conoscere in quale fila il nome di Robert debba essere iscritto.

Un tweet al minuto, una foto ogni dieci, un appello con l’hashtag. Sono gli scomparsi, quelli che non hanno telefonato a casa, che ancora forse non sono stati registrati in ospedale. È una lavagna di dolore, di appelli disperati, di ultimi sospiri. “Marie e Mathias ci hanno lasciati. La ricerca è finita”. Je n’ai plus de mots, que des larmes. Solo lacrime ha chi piange i suoi amici, la coppia giovanissima finita sotto i colpi del fanatismo. D’altronde la traiettoria delle pallottole non ha preso di mira intellettuali, o poliziotti, o ebrei. La morte ha colpito soprattutto i giovani, lungo quella che è una passeggiata, da place de la Republique, la piazza di Parigi, anzi della Francia, a rue San Martin. Sparavano all’impazzata all’angolo di Rue de Faubourg du Temple con Rue de la Fontaine.

È lì che si trovava Cedric Santos? Non ha più di vent’anni, si è fatto un selfie con la maglia della sua squadra di calcio. Ha la barba curata, i capelli corti. Eleonore Cucca, belga venticinquenne invece è stata ritrovata. È salva. Grazie a facebook si è fatta viva. Cerca, cerca. Non si trova Sven Alejandro Silva, è portoghese, trent’anni, robusto, i capelli gonfi e ricci, il pizzetto, la maglia rossa.

L’avete visto? Gli internauti sono viandanti. Ascoltano e riferiscono. “So che c’è un morto di nazionalità portoghese”, scrive uno. Un altro corregge: “Ma quello aveva 63 anni”. Allora non è Alejandro. Siamo sempre alla ricerca di Juan Alberto Gonzales Garrido. È spagnolo, ha ventinove anni, risiede a Parigi. Era al Bataclan ieri sera. Chi l’ha visto? Twitter è misericordioso, accoglie tra le sue fila il nick dell’Angelo Gabriele: “Togliete l’avviso. Juan Alberto è morto”. Ora lacrime.Continue reading

ALFABETO – Lina Calandra. Dopo il terremoto rinasce L’Aquila ma ora chi la abiterà?

lina_calandraA cosa serve la geografia? Restiamo appesi al ricordo del mappamondo, alle pianure e alle catene montuose. Lina Calandra la insegna all’Università de L’Aquila e spiega che la geografia è – al fondo – un misuratore di felicità. Aiuta a praticare il buon vivere e se gli aquilani avessero avuto più fiducia nella geografia anche la ricostruzione ne avrebbe guadagnato.

Lei è docente di un sentimento o di una scienza?

La scienza può persino aiutare nell’indagine dei sentimenti, nella identificazione della loro radice propria. La geografia è la comparazione di come si possa stare bene sulla terra. Di come si possa avere una relazione felice con la natura, di come la vita umana tragga da quella relazione il proprio benessere fisico e, di conseguenza, di come quella condizione aiuti lo spirito.

E qui siamo alla felicità.

Aggiungiamo che quella relazione non accade spesso. La geografia serve a indagare anche le disfunzioni nella relazione dell’uomo con l’ambiente, in quel trattino che unisce o separa gli uni dall’altro.

 ha conosciuto la forza soverchiante della natura, la sua capacità distruttiva.

Dei 272 morti che il terremoto provocò, almeno la metà fu concentrata lungo la via XX Settembre. Perché è accaduto? Certo, il geologo ci avrà fatto conoscere il carattere dei sedimenti, il sismologo avrà chiare le ragioni della forza amplificatrice della scossa. Ma se si fosse anche indagata la natura e lo sviluppo dell’urbanizzazione di quell’area avremmo poi ricostruito meglio.

Sarebbe servita la geografa.

In quel caso sì. La geografia avrebbe contribuito a illustrare la corona delle cause distruttrici.Continue reading

Vicienz’, mondo di mezzo. Quanti rischi per Renzi

de_luca_vincenzo“Appena l’avrò in mano risponderò. Posso però già adesso dire una cosa: è uno schifo. E a quanto vedo solo io sto parlando…”. Sono le 17 e nello studio del ministro della Giustizia a via Arenula è appena giunta la notizia che alla Camera sta per essere depositata una interrogazione parlamentare sottoscritta da Arturo Scotto, il capogruppo di Sel, che ritiene di inquadrare alcuni angoli oscuri dei territori conquistati o aggrediti da Vincenzo De Luca, prima populista, poi leghista del Sud, sindaco sceriffo e infine governatore. Uomo del fare, del dire e forse ancora di più, a leggere il contenuto del testo firmato da Scotto. “Sembrerebbe che il magistrato dell’appello nel processo per abuso d’ufficio nel quale De Luca, com’è noto, è stato condannato a un anno e ha subìto gli effetti della legge Severino sia il dottor Michelangelo Russo”. Questo giudice fu destinatario di un procedimento disciplinare che portò il Csm a trasferirlo dalla procura della Repubblica del tribunale di Salerno,“per aver tentato di accedere al computer del tribunale salernitano al fine di verificare se fossero in corso procedimenti giudiziari a carico di Vincenzo De Luca, quando pm era la dottoressa Gabriella Nuzzi (magistrato che emise un mandato di cattura contro De Luca che il Gip rigettò, ndr), e il procuratore capo Luigi Apicella”. Oggi Russo è ritornato a Salerno e lì presiede la sezione della Corte d’Appello. E lui, scrive ancora Scotto, “che qualche anno fa aveva cercato di adoperarsi a favore di De Luca”, oggi “sembrerebbe incaricato di giudicare la stessa persona per la quale si adoperò illegalmente”. Seguono le richieste di rito: il ministro Andrea Orlando venga in aula, riferisca e valuti.Continue reading

Pescara: il monsignore specula, la banca affonda

Per i Giochi del Mediterraneo del 2009 la Curia guidatada Cuccarese investe in case, poi gira il bidone a un imprenditore

pescara

Un finanziamento milionario in yen giapponesi, moneta con la quale un arcivescovo finisce per bruciarsi le dita. Un sindaco coinvolto suo malgrado nel salvataggio del vicario di Cristo dalla possibile bancarotta. Un imprenditore che fiuta l’affare, si accolla i pagherò della Curia ma finisce per strada. Una banca che sprofonda, ghigliottinata dai debiti dei suoi debitori. Una città che dorme.

In nomine Patris è la trama pescarese e di questa storia italiana. Tonache e cemento, preghiere e derivati, carità e affari. Nel fiume esondato dei soldi che la Cassa di Risparmio di Chieti ha dilapidato con operazioni oversize, la quarta delle banche italiane attualmente sul letto di morte, i quattrini fatti fluire nel portafoglio del vicario di Cristo a Pescara rientrano nella casistica del fantasy estremo.

PESCARA GIÀ CONOSCE l’operato di monsignor Francesco Cuccarese, arcivescovo fino al 2005 ora canonico della basilica di San Pietro in Vaticano. Profilo spinto del manager ad alto rischio, noto alle cronache per una imputazione di truffa alla Regione (reato prescritto) e attore non protagonista di un gigantesco giro di titoli di Stato contraffatti, presentati a garanzia di un prestito allo Ior, ricompare nelle carte della locale Procura della Repubblica dopo qualche anno di letargo. Insieme a lui il nome e l’attività di Luciano D’Alfonso, oggi presidente della Regione ma ieri sindaco di Pescara, esperienza che finì traumaticamente per guai giudiziari da cui l’uomo politico del Pd è stato però assolto con formula piena.Continue reading

Alfabeto – Walter Tocci: “Preferisco perdere Il Pd è diventato un franchising”

tocci-walterAmava così tanto la politica da esserne ossessionato. “Si insinuava in me la diffidenza verso questo demone che mi costringeva a non avere altra vita, altro interesse, altri piaceri”. A quel punto decise che bisognava combattere il demone: “Mi iscrissi a Filosofia e iniziai a leggere i grandi pensatori tedeschi. La mia lotta contro la miseria del presente prendeva forma al mattino. Iniziavo a studiare alle sei e finivo alle otto, poi mi recavo in ufficio”. Walter Tocci è stato l’amministratore pubblico che ha coniugato due valori oggi sconosciuti: l’onestà e la competenza. Per sette anni vicesindaco di Rutelli e assessore alla Mobilità di Roma, poi deputato e oggi senatore. Ha scelto di passare dalla prima linea alla retrovia. Un gambero isolato nella desolazione della vita pubblica.

A lei vengono riconosciute doti ormai rare. Eppure nessuno bussa alla sua porta.

Perché il costume politico esige l’autocandidatura, la vita di relazioni, l’avanzamento in cordate. Non è un problema di ambizione che mi manca, quella ce l’ho anch’io, e neanche una questione di timidezza (anche se è vero, sono timido). È proprio che io non so fare quel che fanno gli altri. Ho un’età, e sono cresciuto in un modo diverso, tra persone diverse. Sono cresciuto in un partito che ti rimbrottava se alle elezioni prendevi più preferenze di quanto s’era ipotizzato. Al netto di quell’atteggiamento eccessivo, il rimbrotto costituiva una buona base per una terapia antinarcisistica.

Lei ha scelto di perdere.

Quando capisco che si realizza la struttura del partito in franchising, con un notabilato locale che detiene il consenso e un leader che gestisce il brand, capisco che è finita per me. Il franchising ha vent’anni, non è una novità renziana, per capirci.Continue reading