Da Warhol alle tigri: ecco il tesoro sequestrato ai boss

beni-sequestratiLa tigre ha 19 anni e ne camperà almeno altri cinque. Mangia carne e non tiene alla linea, vanno via 8 euro al giorno (più Iva) per sfamarla. Non conosciamo lo stato di salute del serpente a sonagli, del koala, dei pappagallini verdi a cui l’Agenzia nazionale dei beni confiscati e sequestrati deve provvedere. Il mondo criminale erutta beni di ogni tipo e valore, orologi Cartier e pecore, cavallini da passeggio e quadrupedi da corsa, esponenti della Savana e rappresentanti esotici, arte della scuola spagnola, dell’iperrealismo, concettuali, astratte, bolidi e carriole. È un cesto grande e ogni giorno arrivano nelle mani del prefetto Umberto Postiglione, che guida l’Agenzia, enormi stock della riserva aurea del malaffare.

La lista che Il Fatto ha in visione, e che potrete scorrere nella fotogallery composta sul nostro sito, sebbene parziale, realizza l’idea che il crimine si sta mangiando l’Italia e che la struttura dello Stato chiamata a occuparsene sta soffocando sotto il peso dei beni che è chiamata a gestire. Non tutti infatti sono cedibili. E tanti altri beni, carenti del marchio dell’autenticità, sono il dazio che paghiamo alla lotta alla illegalità. Andare a Reggio Calabria, dove ha sede l’Agenzia, significa scoprire il bestiario criminale, in senso proprio e metaforico.

Napoleon, Fiaba del Sole e la scuderia purosangue

I camorristi, soprattutto loro, vanno al galoppo: Napoleon, Eldorado, Tedgrado, Kananea, Cheoma, Fiaba del Sole, sono alcuni dei purosangue che hanno vinto tantissimo, un medagliere conquistato nei migliori recinti. La camorra a quattro zampe è veramente straordinaria per tenuta, rigore nella selezione dei geni, apprezzamento della capacità sportiva. Potrebbe formare un intero reggimento a cavallo e sfilare, nella festa della Repubblica, lungo i Fori Imperiali. Cavalli da corsa, da traino, da fatica, da passeggio. Sauri di notevole pregio fisico, altri un po’ più azzoppati, purosangue giovanissimi, giumente attempate che hanno trasportato decine e decine di fantini (di galoppini?) verso la vittoria.Continue reading

S’è accorciata la Salerno-Reggio

Se i chilometri della Salerno-Reggio Calabria salerno-reggiocalabria, ora stimati in 450, divengono 355 i cantieri che servono per completarla non saranno più cinque ma uno soltanto, e i soldi stimati per concludere i lavori almeno di 2 miliardi di euro inferiori alle attese, i tempi di ultimazione potranno finalmente avere una data certa: 22 dicembre 2016.

TRASCURANDO la realtà e anche un po’ la geografia, Matteo Renzi ha deciso di far terminare la grande opera in Lucania, accorciando meritoriamente l’Italia e dando impulso all’ottimismo della volontà. Infatti l’Anas, la società dello Stato delegata a governare i lavori, ieri ha finalmente tolto dal sito la cartina dei cantieri ancora aperti, quelli da aprire, quelli da progettare e gli altri da finanziare e con un simpaticissimo post ha spiegato che valuterà, con il ministero delle Infrastrutture, un futuro piano di interventi di restyling sui restanti chilometri di autostrada. L’Italia corre e come si nota dall’intrepido sviluppo dei fatti, elimina gli ostacoli togliendoli dalla visuale. Infatti il premier avendo cassato quattro cantieri ha ritenuto utile far sapere che l’unico e ultimo tratto interessato dalle ruspe, tra le località Campotenese e Laino sul confine tra Basilicata e Calabria, sarà terminato con ben dieci mesi di anticipo. I colleghi stranieri ridevano, ma Renzi, che al proprio onore ci tiene, ha replicato: “Ridete eh? Vi porterò a fare un giro e guiderò io”.

QUANDO SARÀ, e non abbiamo motivo di dubitare, l’autista Renzi illustrerà le meraviglie della prima autostrada al mondo che avanzando si restringe. Si parte a Salerno con tre corsie, si prosegue a due con quella d’emergenza fino a Cosenza che opportunamente scompare nei pressi di Reggio Calabria. Continue reading

Adinolfi, saltimbanco della politica. Ma la sua vera professione è il poker

mario-adinolfiMario Adinolfi ha capito che la vita è teatro e lui è partito, credo quando ancora fosse in grembo alla madre, col desiderio esclusivo di occupare la scena. Con la stazza che si ritrova nemmeno gli è stato difficile. E così, sfogliando il calendario, negli anni il faccione di Adinolfi lo ritroviamo alla roulette, alla Zanzara, al Parlamento, come cliente del Madoff dei Parioli, come sposo a Las Vegas o speaker a radio Maria. A portare la Croce, l’ultima creatura del suo scibile multitasking, e a darla in testa a chi non la pensa come lui. Adinolfi non è solo una pancia. Anzitutto è un pokerista coi fiocchi. Wikipedia certifica che è stato l’unico italiano ad essere giunto alla finale del World Poker Tour, che immaginiamo sarà una cosa pazzesca, con dollaroni sparsi ovunque. Chi ama il poker è veloce, intelligente, imprevedibile. E Adinolfi è queste tre cose messe insieme. Piazza e spiazza, vai a capire cosa fiuta e perchè. Effettivamente una nota di disordine esiste nella sua testa perchè lo ritroviamo avanguardista democristiano (urca!) poi fervente veltroniano (ri-urca!) poi compositore di tattica e tifoso di Dario Franceschini. Gli piace la politica, riesce ad essere deputato, seppure per uno spicchio di legislatura. Non è per fare la morale, che qui sarebbe davvero fuori luogo, ma certo colpisce, incuriosisce fino a procurare un breve sorriso, la galoppata che fa dal Nevada a Betlemme. Sceglie infatti di sposarsi a Las Vegas in seconde nozze e immaginiamo che la location fosse adiacente al luogo del suo lavoro prediletto se è vero che al tavolo verde ha racimolato, come ha riferito, in un triennio la bellezza di 250mila euro. Comunque si risposa con Silvia e ha un figlio. Che son due se si conta l’altro nato dal primo matrimonio. Sembra un americano in carriera, e infatti corregge immediatamente la notizia che gli imputa di aver consegnato al re della finanza creativa e truffaldina del Madoff dei Parioli circa 338mila euro. “Nulla di vero, gli ho solo dato alla fine degli anni novanta 50 milioni di lire, ritirandone settanta nel duemila”. Che comunque è una bella sommetta e una bellissima speculazione: venti milioni in più in un annetto o quasi. Avete capito che il tipo è questo. Poi, non sappiamo bene cosa gli sia accaduto, è andato indietreggiando alla ricerca della sua radice cristiana. Indietreggiando è giunto quasi dentro la grotta di Betlemme. Oggi cura una trasmissione a radio Maria. Adinolfi è simpatico e ogni tanto dice qualche corbelleria: per esempio che il condom non serve, che in Africa fanno all’amore in modo bestiale perciò le malattie e le disgrazie non si contano più. Poi spiega, ma forse scherzava, che la donna dev’essere sottomessa all’uomo. Con il giornale la Croce sulle spalle organizza la militanza di Cristo, e i vari Family Day, scatenando la guerra mondiale all’immoralità. Domani, fra un mese o un anno farà qualche altra cosa.

da: Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2016

 

ALFABETO: “Io, maestro cacciato per una multa in lire non dichiarata”

alfabeto-img2La colpa lo insegue, gli si infila nelle tasche, lo tiene perennemente in allarme. Lui è innocente, ma lo Stato aguzzino gli ha detto che è colpevole e lo ha licenziato.

R. P. ha 42 anni ed è siciliano. Per fare il suo lavoro di maestro elementare ha accettato a settembre di spostarsi a Bergamo. Il 3 novembre scorso l’incarico. Il 9 dicembre arriva inaspettata la lettera di licenziamento. La colpa lo insegue, gli si infila nelle tasche, lo tiene perennemente in allarme. Lui è innocente, ma lo Stato aguzzino gli ha detto che è colpevole e lo ha licenziato. R. P. ha 42 anni ed è siciliano. Per fare il suo lavoro di maestro elementare ha accettato a settembre di spostarsi a Bergamo. Il 3 novembre scorso l’incarico. Il 9 dicembre la lettera di licenziamento. Non aveva dichiarato di aver subito una multa all’età di 22 anni di 600mila lire. Non era la multa ricevuta a procurargli i guai ma l’averla taciuta.

FENOMENOLOGIA del cavillo, seconda puntata. Quando lo Stato perseguita con un cavillo gli innocenti, mentre, sempre grazie a un cavillo, fa ponti d’oro ai delinquenti, meglio se abituali. La storia di R. (chiede l’anonimato, è terrorizzato che anche una parola di troppo gli possa ulteriormente nuocere) è al di là del verosimile. Ecco il suo racconto.Continue reading

Dalle pale eoliche alla centrale: la parentopoli di Sant’Agata

pale-eolicheSant’Agata di Puglia non è più un paese ma un ricevitore permanente di pale eoliche di ogni stazza e razza. Ha venduto il suo vento al miglior offerente e visto che aveva debiti, circa dieci milioni di euro, lo ha finanche svenduto. Ha detto a chiunque desiderasse: prego, c’è posto! I debiti sono là, intatti, le royalties sono state consumate in magnifiche serate danzanti e adesso ogni abitante ha a disposizione dei suoi occhi 18 pale che girano. E la comunità ottiene 186 megawatt di felicità. Giorno e notte. Ovunque volga lo sguardo: davanti, di dietro, di sotto, di sopra. Vede pale. Sant’Agata è una piccola Matera, le sue case sono ricavate nella roccia e lo splendore del suo centro storico è certificato, documentato dalle mille conferme dei touring più accreditati. Sant’Agata è una carezza per gli occhi, e si scorge appena completata la salita che attraversa l’Irpinia d’Oriente, sul dorso della collina che separa la Campania dalla Puglia, nel territorio della Daunia appenninica, motore nevralgico dell’industria eolica italiana. Che ha come capitale indiscussa appunto lei, la nostra santa. Il paese conta nei registri d’anagrafe 2324 abitanti, ma quasi la metà si fa viva solo ad agosto. Il municipio, in un ventennio di vorticoso impegno, ha fatto installare 129 turbine, saette del vento, virando così verso il primato assoluto del decollo. Se solo volesse potrebbe alzarsi in cielo e volteggiare felice. Quel che fa di questo paese un luogo unico, sono le folate che, a leggere le varianti alle ubicazioni delle pale, hanno traiettorie impreviste. Avanzano, indietreggiano, si spostano. La pala va, com’è logico, dove soffia il vento. E il vento negli anni scorsi ha imposto continui posizionamenti e riposizionamenti delle turbine.Continue reading

Diffamazione, assolto Antonello Caporale

di Alessia Candito – Corriere della Calabria

9aee7f3ac799de7c5c6b92a4df5153bf_ML’amministrazione comunale di Reggio Calabria aveva denunciato il giornalista del Fatto Quotidiano “reo” di aver definito Reggio e Messina, due città cloaca nel corso della trasmissione televisiva Exit di La7, dedicata al progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto.

 

REGGIO CALABRIA Si è concluso con un’assoluzione piena il processo per diffamazione promosso dall’amministrazione comunale di Reggio Calabria contro il giornalista del Fatto Quotidiano Antonello Caporale, “reo” di aver definito Reggio Calabria e la dirimpettaia Messina, due città cloaca nel corso della trasmissione televisiva Exit di La7, dedicata al progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto. Un epilogo – chiesto con forza dall’avvocato Carmelo Chirico, difensore del giornalista –  arrivato dopo oltre sei anni di lentissimo iter giudiziario – che per il pm avrebbe dovuto addirittura concludersi con una condanna a 9 mesi – tra promesse di remissione della querela e successivi ripensamenti.
Nel mezzo l’amministrazione comunale guidata da Demi Arena, considerata «in continuità di contiguità» con le precedenti è stata sciolta per mafia, Giuseppe Scopelliti, che da sindaco aveva querelato il giornalista, è stato condannato a sei anni di reclusione per aver alterato i bilanci e truccato le carte dello stesso Comune che con quella denuncia affermava di voler proteggere, ci sono stati quasi due anni di gestione commissariale, quindi si è insediata una nuova amministrazione. Il procedimento, nel frattempo, ha fatto il suo corso. Neanche il cambio di colore e orientamento politico lo ha interrotto.
Sebbene all’epoca della querela si fosse schierato decisamente contro l’iniziativa dell’allora sindaco Scopelliti, l’attuale primo cittadino, Giuseppe Falcomatà, ha ritenuto di non doverla rimettere, nonostante più di un indizio indicasse l’esito quasi scontato del procedimento.
Nel maggio 2009, oltre al sindaco Scopelliti, a denunciare il giornalista era stato anche l’allora sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca. Ma dall’altra parte dello Stretto, la giustizia sembra viaggiare più veloce. A Messina, il gip Giovanni De Marco ha subito disposto l’archiviazione del procedimento perché il termine cloaca è equivalente nella definizione per illustrare «un ambiente corrotto, insano, degradato». Un’interpretazione che ha retto anche in Cassazione: i giudici, il 28 febbraio 2011, hanno rigettato il ricorso di Buzzanca e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Una sentenza cui Reggio oggi sostanzialmente si conforma. Peccato ci siano voluti cinque anni in più di atti e legali che lo stesso Comune ha nel tempo dovuto pagare.

 

da: www.corrieredellacalabria.it

NON RESTA CHE PIANGERE

Roma, 16 febbraio 2016

a: direttore del Corriere della Calabria

Caro Direttore,

stamane il comune di Reggio Calabria, retto da Giuseppe Falcomatà, si è visto rifiutare dal tribunale della città la richiesta di vedermi condannato per aver diffamato i suoi cittadini. L’attuale amministrazione infatti invece di chiedere conto a Giuseppe Scopelliti delle azioni e diserzioni con le quali egli ha sgovernato e forse dileggiato Reggio, ha caritatevolmente patrocinato l’azione legale con la quale Scopelliti medesimo mi imputava di aver diffamato la città, averla disonorata, sporcata nel suo animo. Una vicenda lontana, iniziata nel 2009 per aver io affermato in una trasmissione televisiva del La7 che invece del Ponte sullo Stretto sarebbe servita per Messina e Reggio un’opera di pulizia generale in senso proprio e metaforico. Altro che due città, dissi, sono due cloache, due buchi neri.

Cosa intendevo per cloaca? Che molti scarichi fognari erano (lo sono tuttora?) a cielo aperto, che la condizioni civile, etica ed economica era ridotta a brandelli per l’intersecazioni del malaffare organizzato, la sua infiltrazione nella vasta burocrazia, il degrado – nonostante finanziamenti ripetuti – dell’assetto urbanistico aveva ridotto enormemente la qualità della vita sociale e trasformato molti suoi cittadini in clientes. Era questa un’accusa verosimile oppure falsa? A me pareva di aver detto né più né meno che la verità. Magari la parola cloaca poteva essere risultata sconveniente, piuttosto cruda, estrema, magari avrei potuto ingentilire l’opinione infiocchettando un aggettivo compassionevole. La sostanza non sarebbe cambiata. Nonostante ciò mi sono immediatamente scusato con tutti coloro che avessero letto quella parola come offesa e chiarito il mio proposito. Anzi ho fatto di più: sono andato due volte a Messina a spiegare in due affollati incontri il senso di quel che avevo detto e anche il senso di quel che con malanimo mi si voleva far dire. Avrei accettato di essere anche a Reggio Calabria, anzi l’avevo chiesto. Nessuna risposta.

Non erano certo le mie parole ma la realtà a darmi ragione. Se a Reggio l’acqua non c’è o è salata in interi quartieri, di chi è la colpa? Se la criminalità ha mangiato le istituzioni chi porta questa grande responsabilità? Se le casse sono vuote, e gli uffici comunali una sede prediletta di decreti ingiuntivi, chi ha speso e come? Se tanti palazzi sono sbrecciati, tumefatti, cadenti o già per terra, chi è stato a braccia conserte? Esistono ancora le baracche del terremoto del 1908, vero? Oppure è una fanfaluca? Esiste la ‘ndrangheta oppure è una fiction?

Quando la storia politica di Scopelliti è andata declinando per poi deviare verso le aule giudiziarie ho pensato che quella mia piccola vicenda personale non avesse più ragione di essere. Avrei certo resistito alle pretese di Scopelliti ma non avevo alcuna intenzione di veder soccombere il comune di Reggio Calabria e i suoi nuovi innocenti inquilini. Per circa tre anni il tema della remissione della querela è stato esaminato, avanzato, proposto e poi revocato da un commissario e due sindaci. Che facciamo con Scopelliti? Riflettevano, dibattevano, indagavano interna corporis, e poi, mestamente e anche un po’ comicamente, rinunziavano al proposito di sollevare Reggio Calabria dai destini del suo ex conducator.

Sono stato assolto con formula piena. Adesso chiederò io, per esempio alla procura della Corte dei Conti: Chi pagherà i legali? Perchè dev’essere Reggio Calabria a tirar fuori i quattrini, fosse un euro soltanto? Attendo anche di leggere le motivazioni della sentenza perchè le mie curiosità non sono finite. Il dottor Scopelliti, nella testimonianza resa, ha dichiarato che la città sotto la sua gestione era linda, davvero un prato verde, che anzi tutti si domandavano come fosse possibile tanta pulizia. E, sempre ai suoi tempi, l’acqua, fresca e finalmente tanta, sgorgava a ogni ora del giorno e della notte, nel rubinetto di ogni casa: al centro come in periferia, tranne purtroppo i mesi estivi. Che lui ha fatto una dura opposizione alla gestione commissariale dell’acqua, che per mano sua si sono abbattute decine di scuole insalubri o cadenti, e bonificate altrettante. Ai tempi di Scopelliti

Reggio era una piccola Svizzera. L’ha detto lui, e questo è il meno. Lo pensa, lo deve pensare per forza visto che un legale del comune ha tutelato gli interessi del querelante, anche Giuseppe Falcomatà, il sindaco nuovo, teoricamente il suo opposto. Non c’è nemmeno da scomodare Tomasi di Lampedusa, c’è solo da piangere.

Un’ultima notazione: ho potuto difendermi chiamando ad assistermi un principe del foro come Caterina Malavenda che ha goduto della collaborazione altrettanto appassionata dell’avvocato Carmelo Chirico. Tanti miei colleghi, calabresi e non, non sarebbero riusciti a sopportare spese anche decisamente inferiori. Il potere ha mille mezzi e mille possibilità per far valere la sua forza. I colleghi che scrivono per poche decine di euro, se va bene, sono spesso ostaggi di una condizione che li rende colpevoli della propria passione, incredibilmente umiliati della propria fatica, resi sudditi a causa del proprio talento, della voglia di scrivere e denunciare. Cioè fare giornalismo.

Antonello Caporale

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Altro che Ponte sullo Stretto, la Sicilia non ha più strade

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Quando accadrà, perché purtroppo accadrà che qualcuno ritiri fuori il Ponte sullo Stretto, la grande opera che dovrebbe proiettare la Sicilia verso l’Europa, teniamo a mente questa lista. È un elenco – nemmeno completo – dei piloni ardenti e cadenti, delle frane avanzanti, dei giunti allentati, delle voragini che hanno inghiottito le arterie principali dell’isola. Le principali, perché tenere il conto della viabilità generale significherebbe condannare il lettore a interruzioni senza fine, pagine intere di calamità avvenute e consegnate al ricordo.

Seconda avvertenza: nessuno dei blocchi stradali qui citati sono mai stati recuperati strutturalmente. Ripristini parziali, nella migliore delle ipotesi. Guardiamo la cartina della Sicilia da Enna, questa città piccola e dileggiata, martoriata dai cedimenti. Nel 2009, sei anni fa, cede, nel senso che frana, la strada panoramica: teneva unite le due porzioni di città. “Era un’opera inaugurata nel 1962 e considerata un capolavoro italiano dell’ingegneria stradale in muratura”, spiega Giuseppe Amato di Legambiente. Nell’attesa della gara per affidare i lavori ha ceduto, il 1° novembre del 2015, anche il secondo troncone della panoramica. Adesso è tutto fermo, chiuso, morto.

Venti cantieri in 200 chilometriContinue reading

ALFABETO – STEFANO RHO: “Ho perso la cattedra. Un cavillo può ucciderti o liberarti”

stefano-rhoIl cavillo giuridico può salvarti la vita o anche uccidertela. Dipende chi sei, da dove vieni, a chi ti accompagni, chi ti difende in tribunale. Legioni di boss mafiosi escono dal carcere o neanche entrano grazie alla forma che si fa sostanza, al rito che si converte in legge. E con loro l’Italia impunita conta eserciti di faccendieri, piccoli e grandi evasori, corrotti o estorsori. Ma quel cavillo putrido, nero come la pece, a volte si trasforma in bianco giglio di illibatezza e condanna l’ingenuità e l’innocenza del malcapitato, lo trascina alla gogna.
ha 43 anni ed è – anzi era – professore di Filosofia in un liceo di Bergamo. La sua storia l’ha raccontata Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Ed è talmente incredibile da apparire una barzelletta. Undici anni fa, Stefano con un amico prende parte a una festa in piazza ad Averara, un paesino della provincia. Alla fine della festa, dopo l’una di notte, rientrando a casa, sia Stefano che l’amico avvertono il bisogno di liberarsi dalla birra bevuta e non trovando un locale pubblico aperto accostano l’auto al guardrail e, nascosti da un cespuglio, fanno la pipì. Una gazzella dei carabinieri, di rientro dalla festa, arresta la marcia e procede all’identificazione. Cosa fate, chi siete, eccetera.

Continui lei professore. Continue reading

Rita: “Sarei stata sindaco di strada e amica dei gay”

rita-dalla-chiesaSarei andata subito da Zingaretti a dirgli: guarda come sono ridotti gli ospedali. Avrei fatto il sindaco di strada, dato legnate a chi le avrebbe meritate e ascoltato chi soffre”. Rita dalla Chiesa in estate festeggerà i suoi 69 anni di nonna e mamma felice senza la fascia tricolore di primo cittadino della Capitale. Il centrodestra aveva bisogno di un personaggio popolare e Giorgia Meloni aveva pensato a lei: per vent’anni al tribunale televisivo di Forum, il sempiterno e fortunato programma di Mediaset. “Gior   gia mi ha detto: ci serve una come te, una che parla con la pancia”.

Lei è schietta, familiare, disponibile.

Ascolto tutti. Ancora oggi su Facebook ho una linea aperta con ciascuno che voglia contattarmi.

Popolare ma con stile.

Dico le cose in faccia. Ma con garbo.

Con garbo ma determinata.

Non devo nulla a nessuno.

Chi l’avrebbe mai detto che a lei un giorno sarebbe toccata in sorte la scelta di guidare…

Mi si è sciolto il gelato alla nocciola. Sono rimasta di stucco, ero convinta di fare quattro chiacchiere con Giorgia. Ci eravamo date appuntamento in un bar e avevo scelto una coppa alla nocciola. Non ce l’ho fatta a consumarla tanto è stata la sorpresa.

La politica l’ha concupita.

Vado pazza di Giorgia. Guardo ogni talk, da mane a sera.

Ama la politica ma senza trasgressioni. La osserva dal salotto di casa.

Non frequento, ma dichiaro le mie simpatie. Pur avendo le idee a sinistra, per dirle, ho votato Berlusconi e poi Renzi e anche Marchini.

Tipico caso di voto sentimentale. Chapeau!

Berlusconi l’ho visto all’opera in azienda. È una persona fantastica e non ne potevo di D’Alema che lo denigrava. La sinistra voleva far chiudere Retequattro, ricorda?

Benissimo, lei è stata in prima linea. Renzi è un ragazzo promettente.

Veloce e carismatico. Ho detto no a Marino perché è per la vivisezione e io sono animalista. E no ad Alemanno per altri motivi.

Berlusconi è stato caloroso quando l’ha chiamata per sostenerla?

Assolutamente, ci mancherebbe.

Roma è una città troppo grande, gli appetiti troppo larghi…

Me ne sono accorta quando ho letto quel titolo di giornale.

Siete Forum di testa voi del centrodestra…

Ho compreso che c’era chi metteva becco, faceva ostruzione.

Le avrebbero rovinato la vita.

Non sono fatta per queste beghe.

Avrebbero insinuato, cospirato e purtroppo sabotato.

La rinuncia è stata un sollievo.

La politica è un tritacarne.

Tritacarne no.

Ha rassegnato con stile la decisione di rinunciarvi.

Ho messo a un tavolo la mia famiglia, i miei amici più cari: ho esposto i pro e mi son fatta dire i contro.

Le avranno detto dei trabocchetti e delle pressioni.

La politica la guardo dal salotto.

Potrebbe comunque offrire il suo volto, dare una mano.

Se me lo chiedessero, sapendo però che ho idee a volte diverse.

Esempio?

Sui gay.

Ahi!

Sono piuttosto arcobaleno.

Sono stati tre giorni intensi.

Carichi di ansia. Appena ho rinunciato ha smesso la tachicardia.

Serena.

Posso guardare avanti senza reticenze né paure.

Le hanno tirato fuori i flop in tv.

Visto? Ho letto che avrei fatto flop su La7, nemmeno ci sono mai entrata.

Forum è oramai divenuto una costola della Nazione. E il timbro è suo.

La storia è storia.

Da: Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2016