La cosa comune e gli aquilani

di Luca Cococetta

Resta l’amaro in bocca. Mentre vedevo cittadini aquilani, madri, padri, figlie e figli spinti e strattonati pensavo al De repubblica di Marco Tullio Cicerone, a quella digressione nella quale si discute di come alcune forme di governo mutino in altre, “la monarchia degenera nella tirannide; l’aristocrazia nel potere oligarchico; la democrazia nella demagogia” e poi in modo flessibile di come si possano mischiare queste categorie.
Riflettevo su quale è il ruolo del “popolo”, parola che oggi assume significati diversi, che sia esso borghesia (come nel caso dell’Aquila) o meno.
Vedevo, mentre i manganelli si alzavano a colpire, l’incredulità nei volti degli aquilani, un’incredulità che nasce dall’orgoglio di difendere un proprio diritto e la propria identità.
Vedevo, nei volti poco abituati alla violenza, lo stupore del bambino che si chiede come mai abbia ricevuto una sberla.
Vedevo anche la caparbia di chi vuole raggiungere il proprio obiettivo, certo della direzione in cui sta andando.
Noi aquilani eravamo a Roma per recarci pacificamente, con i sindaci e gonfaloni a capo del corteo, da coloro che ci rappresentano.
Noi aquilani eravamo a Roma per dialogare con il governo, un governo che sempre meno rappresenta lo stato se è costretto a chiudersi nei palazzi e a circondarsi di polizia.
Gli aquilani erano lì a portare il loro SOS Ricostruzione (che significa Sospensione delle tasse, Occupazione, Sostegno all’economia), e soprattutto la necessità di una legge organica sul terremoto che stabilisca tempi e finanziamenti certi e che possa consentire di riprogettare il futuro del territorio.

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P3: Ernesto Sica, l’enfant-prodige ha le ore contate

Ernesto Sica
Ernesto Sica

di VALERIO CALABRESE

Una perquisizione e la notizia di un avviso di garanzia emanato nei suoi confronti dalla Procura di Roma, per ora smentito dal suo staff. Si tratta del plenipotenziario Ernesto Sica, 39 anni, Assessore alla Regione Campania, il cui nome è nei faldoni delle indagini sugli incontri “massonici” in casa Verdini. Ricostruire il passato politico di Ernesto Sica, malgrado la giovane età, non è cosa breve. Cresciuto sotto la guida di De Mita e così intimo con lo stesso da far circolare voci di una sua relazione amorosa con la figlia dell’ex capo della DC, Sica è un enfant-prodige della politica. Figlio di industriali del settore conserviero, chi lo conosce bene afferma che già a 12 anni il piccolo Ernesto aveva un solo sogno: fare il Sindaco. Una stazza possente, poco sotto i due metri d’altezza e un fisico da pallavolista, Sica viene eletto per la prima volta a 28 anni, nel 1999, a Consigliere provinciale nella circoscrizione di Salerno 6. Nel maggio del 2000 esaudisce il suo desiderio, diventando con un grande consenso (66%) Sindaco di Pontecagnano Faiano. Ma la carriera è solo all’inizio. Nel 2004 è nominato Assessore provinciale all’Urbanistica nella giunta di centrosinistra guidata da Angelo Villani. Nel 2005, fra i più votati d’Italia, con circa 28.000 preferenze, viene eletto Consigliere regionale della Campania, forse anche grazie alla generosità verso il partito (la Margherita) al quale regala ogni anno nel suo Comune la festa Regionale con ospiti e cantanti sempre straordinari (da De Gregori a Massimo Ranieri). Nel 2007 Sica rompe con De Mita e cambia casacca, passando al Pdl. Nel 2008, è rieletto – manco a dirlo – Sindaco di Pontecagnano Faiano. Nel 2009 è di nuovo Assessore provinciale, ma nella giunta Cirielli (questa di centrodestra), nomina che però dura fino al maggio 2010, quando, pare su indicazione diretta di Berlusconi, viene nominato Assessore all’Avvocatura della Regione Campania.
Ma non basta, perché nei ritagli di tempo Ernesto Sica trova anche il tempo di presiedere il Consorzio Aeroporto di Continue reading

Censura. Il vecchio italiano non comprende un potere senza repressioni

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Una volta, due volte, tre volte… Scrivi e raschiano, scrivi e raschiano… Intingi la penna, la mano rimane a mezz’aria, titubante. Il cervello è impastoiato, non trasmette alla mano, alle dita, l’impulso a muoversi. La mano cala sulla carta e la punta d’acciaio passeggia sul biancore descrivendo complicatissimi ghirigori, labirinti senza uscita. Si cerca affannosamente l’uscita. Il pensiero si assottiglia nell’angustia, bussa alle pareti per cercar di vedere se esse si spalanchino in una sortita possibile. Si incomincia. Si cancella. Si ricomincia. L’espressione fluisce, il lavorio di conglutinamento delle frasi, dei periodi, riposa, allenta lo sforzo iniziale. Si è persuasi d’aver trovato l’equilibrio necessario tra i bisogni della propria sincerità e le aggressioni irrazionali della censura. Si aspetta trepidanti. Sicuro, trepidanti, perché amiamo tutto ciò che ci ha domandato uno sforzo per nascere, per estrinsecarsi. Sentiamo le stesse impressioni di una volta, dinanzi agli esaminatori, con questa differenza: che negli esaminatori eravamo persuasi di aver a che fare con individui assolutamente superiori, che avevano veramente la capacità di giudicare dei nostri sforzi, dei nostri meriti. Adesso sentiamo invece l’incapacità assoluta, l’impreparazione assoluta, in chi, armato di matita, come allora, giudica e manda. Ma un’uguaglianza c’è, tra gli uni e gli altri: sentiamo che un’uguaglianza c’è. Ci troviamo ora, come allora, dinanzi a italiani, a vecchi italiani (anche se giovanissimi nel tempo) che non danno nessuna importanza agli altri, al lavoro, allo sforzo degli altri, alla personalità morale degli altri. Che, detentori per un momento di un potere (anche se piccolo potere), vogliono lasciare una traccia di esso, una traccia quanto è possibile maggiore. Il vecchio italiano non è abituato alla libertà: e non già alla libertà con L maiuscolo, astrazione ideologica, ma la piccola, concreta libertà, che si esprime nel rispetto degli altri, del lavoro, degli sforzi, della personalità e dei bisogni morali degli altri: che abbassa le piccole, esasperanti, inutili irritazioni: che impone, a chi ha il potere (sia pure un piccolo potere), di evitare anche l’apparenza di un’ingiustizia, di un sopruso. Che ha fiducia nelle energie buone degli uomini, e non passa l’erpice su un campo di grano per distruggere quattro papaveri e mezza dozzina di teneri steli di loglio. Che crede anzi naturale che così sia, che al grano si mescoli loglio e papavero, perché una vita collettiva è sana solo quando c’è lotta, attrito, urto di sentimenti e passioni, e solo nella lotta si rivelano i forti, gli indispensabili, gli uomini di fede e d’azione che chiudono la bocca alla critica agendo fortemente. Ma il vecchio italiano non comprende un potere senza repressioni: se in Italia ci fosse la pena di morte, e nessuno cadesse sotto questa sanzione, il carnefice per non stare con le mani in mano diventerebbe mandatario di assassinii e di stupri, per poter lavorare i suoi complici. Così come in molti paesi dell’Italia meridionale le guardie campestri danneggiano esse stesse la proprietà privata per far sentire la propria indispensabilità. Così come il censore, per far sentire quanto faticoso ed improbo sia il suo ufficio, cancella, cancella, cancella tutto tutto tutto, grano e papaveri, lavoro e noia, bene e male. E la penna continua a tracciare ghirigori, aspettando perché sente che questa barbarie (la confusione nei criteri, l’arbitrio, il sopruso è barbarie) si esaurirà nella propria rabbia.


“Ghirigori”, Sotto la Mole, Avanti!, ediz. piemontese, 14 novembre 1917

IL MANGANELLO

Perchè manganellano gli aquilani? Presto detto.

Berlusconi&Bertolaso hanno dilapidato in un anno un miliardo di euro, facendosi fregare dagli amici di eurocentre (quelli delle case a molle, antisismiche e perfette).

Adesso però le tasche sono vuote, Bertolaso è fuggito e…

Quel fantasma chiamato Concorso alla Regione Basilicata

di Luca Scialò

Un tempo, il settore pubblico rappresentava il posto fisso tanto agognato da milioni di italiani, quello che dava la sicurezza economica su cui costruire il proprio futuro. Oggi però, un po’ per l’indebitamento patito dagli enti pubblici, che pure sono incappati nel sistema dei “titoli spazzatura” oltre che nei soliti sprechi, ma soprattutto, per la lottizzazione selvaggia messa in piedi dal vecchio sistema partitocratico, con cui i vecchi partiti si spartivano i posti pubblici in cambio di voti, anche il posto fisso statale è diventato una chimera.
Tra i tanti concorsi pubblici continuamente rinviati, oggi vi parlo del Concorso alla Regione Basilicata, indetto lo scorso anno in quel di aprile, che prevede 78 posti divisi per 15 profili diversi. Sul sito della Regione, il Presidente De Filippo salutava il concorso con un messaggio degno del miglior Winston Churchill: Continue reading

L’aritmetica futurista del governatore

MICHELE Iorio, il governatore del Molise, sarà ricordato per la sua impareggiabile capacità di far di conto. E’ uno dei politici che meglio si applicano. E’ riuscito a trasformare l’aritmetica in un esercizio di stile futurista cambiando finalmente i connotati e i destini agli addendi.

Riassunto delle puntate precedenti. La sanità della sua regione è sotto scacco, gravida di debiti, collassata al punto che il disavanzo storico è il più alto d’Italia: secondo la ragioneria dello Stato raggiunge il 18 per cento. Il governo corre ai ripari e nomina un commissario che faccia le pulci allo spendaccione Iorio. Chi nomina? Michele Iorio, naturalmente. Commissario di sè stesso e delegato a risanare la sanità che lui medesimo ha contribuito a gonfiarla di debiti. Mentre il commissario Iorio si mette all’opera per preparare il piano di rientro, e vedremo dopo quale accoglienza riceverà dai tecnici del ministero dell’Economia, il presidente Iorio governa con la consueta operosità la piccola regione. Chiama a sé molti esperti e tra questi l’ex presidente della corte d’appello di Campobasso, ora in pensione, Nicola Passerelli. A lui chiede di occuparsi – guarda un po’ – di sanità, e lo nomina assessore. Scolpita nel marmo la sua prima dichiarazione: “Nella mia vita ho sempre indossato la toga. Mi metto immediatamente al lavoro per capire com’è strutturato il servizio sanitario molisano e attuare una politica, graduale, di eliminazione delle spese inutili”.

Perfetto, ma serve già un primo ricapitolo. Il governo, commissariando la sanità, ha azzerato l’autonomia politica della regione in questo settore. E la funzione dell’assessore è interdetta ex lege, resa praticamente impossibile essendo stato tutto ricondotto al potere sostitutivo commissariale.

Iorio dunque nomina l’assessore all’Impossibile. Ecco perché merita una speciale menzione nella classifica dei politici più creativi di ogni tempo. Il nuovo assessore si mette al lavoro ma comprende che gli serve una stanza, anzi più uffici. E scrive alla direzione Affari generali della Regione: “Così non si può lavorare”. Continue reading

Auto blu, i numeri di Brunetta

I giornali di oggi illustrano un altro dossier di Brunetta sul costo delle auto blu e il numero di esse. Un quarto sono i dati raccolti ad oggi, e si sa che le auto in circolazione al servizio dei vip sono 90mila, 40mila fra autisti e garagisti, 297 milioni di euro la spesa parziale complessiva.
Mi scrive Stefano Zanero, un ricercatore del Politecnico di Milano, e dice che faremmo meglio, noi giornalisti, a fare ripetizioni di matematica prima di accreditare cifre offerte a caso.
Copio e incollo la sua mail:


“L’articolo pubblicato fa acqua da tutte le parti. Se ne deduce che di 90000 auto blu, 60000 non lo sono, 20000 non hanno autista, 10mila hanno autista. Prendiamolo per buono.
Se per ognuna delle 90.000 auto blu ci sono 1,4 dipendenti impegnati, come è possibile? O anche le 20.000 auto “senza autista” hanno un paio di autisti, oppure per ognuna delle 10.000 con autista ce ne sono almeno 10. Vedete voi se è possibile.
E se ci sono 130.000 persone (!) impegnate per quelle auto, vorremo o non vorremo calcolare i loro 40.000 euro lordi di stipendio a testa nel costo totale?!?!
Se anche fosse vero (e non è vero di certo!) che queste auto costano 3.300 euro l’anno (costa 500 euro al mese l’affitto prolungato di una mercedes classe A…), anche senza contare gli 1,4 dipendenti per autoblu… spiegatemi come fa a venirvi 88 milioni moltiplicando 3300 euro per 90000.
Al mio conticino fa circa 300 milioni. Senza il personale (che se avete i numeri giusti sono altri 5 miliardi di euro l’anno da aggiungere!!!!!!!!). E considerando un costo che reputo sottostimato ALMENO della metà. E parliamo di circa un quarto delle amministrazioni, non si capisce se il risultato è una proiezione o se va ancora moltiplicato per quattro.
Insomma, signori: se questi sono i dati, vi hanno servito una bufala”.

Siamo il Belpaese di navigatori poeti e peccatori

gazzetta_mezzogiorno1 di Gino Dato

Noi come gli altri. La legge dell’emulazione è la stessa che ci detta i comportamenti più singolari, che ci fa guardare nell’orticello dell’altro per invidiarne pregi ma, soprattutto, difetti e peccati. Gli stessi che facciamo nostri in una lotta per distruggere ogni comandamento morale. Come la nostra deriva stia avanzando è uno spettacolo che richiede capacità di uscire, allontanarsi dal quotidiano, quasi volassimo su un elicottero che si solleva sul paesaggio e riesce a disegnare un quadro d’insieme. Servono quelle che un tempo, nel gergo giornalistico, si chiamavano le inchieste. Con l’aiuto di alcuni giovani colleghi, ne ha costruita una il giornalista di «la Repubblica» Antonello Caporale. Dieci capitoli di un immaginario e tremebondo girone d’Italia raccolti per l’editore Baldini Castoldi Dalai nel titolo Peccatori. Gli italiani nei dieci comandamenti, una verosimile fotografia delle idolatrie e devianze del nostro tempo.Continue reading