La mia guerra perduta

Ora che ci accingiamo a votare facciamo tutti il conto con la realtà, con le nostre angosce che sono purtroppo più delle speranze. Ieri ho dovuto assistere in piazza San Giovanni al più degradante spirito di obbedienza. Da Milano, diceva un giovanotto col giubbetto del servizio d’ordine grillino, era giunto l’ordine di selezionare i giornalisti per cittadinanza. I buoni dentro, i cattivi fuori. Buoni (gli stranieri) cattivi (gli italiani). Non era solo una buffonata, era (è) anche una grande vigliaccata, un colpo ferale alla dignità altrui, al rispetto del lavoro altrui e delle idee altrui. Dire che molti giornalisti sono stati collusi col potere è una grande verità che non sposta di un millimetro la questione fascista. Vietare, anche con la forza, l’ingresso è una fascisteria che in Europa adotta solo la Marine Le Pen. Quel ragazzo che diceva no ai giornalisti reggicoda del regime non sapeva, e non mostrava alcun interesse a saperlo, che centinaia di essi, parecchi perfino in quella piazza, sono onesti, hanno fatto sempre il loro dovere. Se Grillo ha iniziato a battere le strade sette anni fa, altri lo fanno da molto prima. Hanno denunciato prima, scritto prima, preso querele prima di lui. Non è una gara a chi è più figo, è la storia, sono i fatti che lo documentano.Continue reading

Anche a Vercelli qualcosa si muove

FINO A IERI È STATO UN INCROLLABILE FEUDO DEL BERLUSCONISMO, CON ACCENTI LEGHISTI: ORA QUESTA TERRA DÀ SEGNI DI STANCHEZZA


C’è un luogo, un punto geografico, dove il berlusconismo è insieme materia e spirito. È stile di vita, parametro essenziale nelle relazioni quotidiane, carburante indispensabile per l’avanzamento sociale. A Vercelli Silvio Berlusconi non ha mai perso da quando è sceso in campo. Non c’è turno elettorale che abbia visto incrinata la fiducia, non un singhiozzo, un colpo di tosse, un momento di defaillance. In vent’anni solo vittorie. E adesso? “Anche questa terra dà segni di stanchezza, nulla a che vedere con altre zone d’Italia però l’incrinatura è significativa, finalmente percettibile. Qualcosa persino qui succederà”. Siamo a casa di Giorgio Simonelli, esperto di linguaggio televisivo (insegna a Milano), ma in passato impegnato in politica, è stato segretario cittadino del Pd, partito minoritario per eccellenza. “Voglio troppo bene a questa città anche se è così immobile, ferma, chiusa al nuovo”. Vercelli è infatti stretta tra il riso e le zanzare. Piatta come un tavolo da biliardo, dà le spalle alle montagne e apre gli occhi verso la pianura padana che qui prende forma. Da queste parti votano e basta. Ciechi nella loro fedeltà, non hanno mai visto atterrare Berlusconi eppure lo amano, e non c’è scandalo che scalfisca l’ardore della comunità.Continue reading

Smotta la Seconda Repubblica e Grillo attacca i magistrati

Doveva capitare che Berlusconi e Grillo iniziassero a competere nella speciale classifica dei “perseguitati” dalla giustizia proprio durante la tramortente settimana delle mazzette, sequel che incrocia e riassume i destini della classe politica e di quella imprenditoriale in un mesto epilogo criminale. Merito di Grillo, questa volta, che da Ivrea si abbandona ad enumerare i processi pendenti sul suo capo: “Sono ottanta e Berlusconi da presidente del Consiglio ne ha 22 meno di me”. Il Cavaliere, sensibilissimo al tema, è scattato: “Non dica sciocchezze, ho 2700 udienze sulle spalle. Nessuno più di me”. Ecco fatto: primo e secondo. Grillo ieri ha aggiunto: “La magistratura fa paura”. Stessa frase che a scadenza regolare l’ex premier non ha mai mancato di pronunciare. Certo i due sono agli opposti e magari la prosa grillina, così densa di approssimazioni, era diretta a contestare questo modello di Stato, implacabile con i deboli ma distratto con i forti. Magari il comico spesso tramortisce anche oltre la propria volontà. Gli accade in ogni comizio, per via di un utilizzo smodato dell’iperbole. Grillo pratica la disinibizione verbale al punto di mettersi fuori anche dalla logica delle cose. Attacca la magistratura allo stesso modo di coloro che dice di combattere. È solo una coincidenza, ma c’è e da sola basta a far presagire un futuro pericoloso corto circuito.
PERCHÉ IN QUESTO cattivo tempo si sovrappongono, in un format oramai indistinguibile, volti di finanzieri arrembanti e capitani d’industria, politici di lungo corso e cravattari di periferia, banchieri collaudati e servi di Cristo. Milano, Siena, Roma, Bari: un tour delle manette segna i giorni che ci separano dalle urne. Questo enorme e diffuso deficit di legalità si somma però a una drammatica crisi economica e si espone a una ferocia di massa finora sconosciuta. La recessione ha condotto migliaia di cittadini a trovare insopportabile quel che fino ad oggi si sono rifiutati di considerare come tale. È quella stessa società immortalata negli anni del berlusconismo che si ribella. Oggi è rivolta. “Il Nord est non esiste più” dice Luca Zaia, presidente leghista del Veneto. Significa che lo smottamento di un intero popolo è in atto e si dirige prevalentemente verso il voto a Beppe Grillo, colui che più chiaramente coniuga alterità al potere, determinazione nella protesta e capacità pervasiva della rivolta sociale. Il ciak dalle piazze è già impressionante: a est come ad ovest è tutto un fuggi fuggi. Corrono da quale disgrazia? E soprattutto verso quale approdo? Sembra pacifico: fuggono via da uno Stato esattore e corrotto, sentono il peso dello spreco e dell’in giustizia sociale come una bomba ambientale che mina la loro vita e quella delle proprie famiglie. Contestano l’immoralità della classe politica. È il peso dell’illegalità a condurli verso Grillo. Invece ieri il leader del Movimento 5 Stelle riposiziona il suo popolo e lo mette in marcia contro i palazzi di Giustizia.
DOPO IL VOTO cambieranno volti e biografie di decine e decine di parlamentari. Palazzo Madama e Montecitorio saranno abitati da inquilini che non avranno esperienze politiche. Sarà cospicuo il numero degli esordienti che gli studiosi di flussi elettorali illustrano come trasversali e mobili nella loro dislocazione ideale. Chi viene da sinistra, chi da destra. Chi è imprenditore e chi studente. Molte donne, molti giovani, molti laureati, secondo le analisi sulle candidature selezionate. L’ingresso di tanti cittadini senza potere nel palazzo del Potere promuove un cambio d’aria benefico per la democrazia, perchè trova persone libere e non già soggiogate dagli apparati e dalle gerarchie. Serviranno però idee da coniugare alla libertà e soprattutto servirà che il leader non eletto (Grillo ha scelto di non candidarsi) abbia chiaro che il suo potere già ora è tale da avergli cambiato i connotati sociali: da uomo comune, benché famoso, a potente. E ieri, magari sovrappensiero, ha appunto fatto un discorso tipico della famiglia allargata dei potenti: guarda che ci sono anch’io, e non permetterti di toccarmi…


da: Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2013

La poltrona che si svuota e ne mette in bilico altre tre

È l’evento choc per eccellenza, la tempesta perfetta si abbatte sulla campagna elettorale svuotandola di ogni carisma e capacità pervasiva. Le dimissioni di papa Benedetto sono un gesto di tale portata rivoluzionaria, perché uniche nella storia degli ultimi otto secoli, che di per sé valgono a coprire e annullare mediaticamente nel mondo ogni altro tipo di evento pubblico. Figurarsi in Italia, la cui Capitale è sede del Papato, con quanta forza una scelta così contro corrente si svilupperà dividendo oltre le gerarchie ecclesiastiche anche la società civile. La campagna elettorale perde anzitutto il primato della visibilità televisiva proprio quando tutti i protagonisti politici – eccetto Beppe Grillo – destinavano alla televisione, l’unico media capace di trasformare le simpatie in voti, ogni interesse e ogni utile approdo. Proprio l’amatissima televisione in questa circostanza è divenuta l’unico sportello informativo, l’unico e ultimo palco per i comizi.Continue reading

La7, Cairo: “Se me la vendono, Santoro e Mentana non si toccano”

L’imprenditore piemontese si difende dall’accusa di essere un ‘piccolo Berlusconi’: “Con lui ho rotto 20 anni fa. Sono un editore e vendo pubblicità. Quelli di Telecom mi conoscono”. E intanto chiede un aiuto al venditore, chiedendogli di finanziare parte dell’acquisto


Urbano Cairo è il più probabile acquirente de La7, e già in queste ore potrebbe divenirne proprietario. I tratti del suo carattere, sempre gioviale, sono a volte rumorosi. È ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio: ha proposto al venditore di finanziargli in parte l’acquisto. Ha ottime amicizie sulle spalle. L’appuntamento con lui è al caffè Sant’Ambreus, dietro piazza San Babila.
“Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il berluschino che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. Va a finire che a furia di dire certe cose ci crediate voi e qualcun altro, perciò sento il bisogno almeno di illustrarvi la mia vita. Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. Continue reading

Ecco la proposta choc del Pd

Se la sinistra facesse il suo mestiere immaginerebbe di riscaldare i cuori e la testa dei propri elettori, dare un senso profondo alla scelta di chiudere il capitolo del berlusconismo senza più rispondere alle beffe del Cavaliere ma avanzando per la propria strada.
Se il Pd facesse il suo mestiere direbbe a noi italiani che la spesa pubblica ha raggiunto un livello stratosferico, circa 800 miliardi di euro, e continua a galoppare, anno dopo anno. E non c’è tassa, sovrattassa, Imu o altra patrimoniale che riuscirà mai a tenergli testa. L’Italia è una famiglia che spende ogni mese più del triplo di quel che incassa, e cumula debiti e a stento ripaga gli interessi senza riuscire a scalfire il capitale che comunque dovrà restituire.Continue reading

Nord-Est, una volta c’era la Lega Adesso son botte

VIAGGIO NEL PARTITO DILANIATO DALLE FAIDE INTERNE FLAVIO TOSI, IL NUOVO UOMO FORTE, FA FUORI TUTTI E PENSA A UN MOVIMENTO CIVICO A NOME SUO


La ramazza della Lega qui in Veneto sembra un aspiratutto. “È una guerra tra bande, siamo allo scambio tra prigionieri”, dice Luca Zaia, il presidente della Regione. Si danno botte da orbi a tutte le ore, e se le dicono in tutte le lingue possibili. Se le danno così bene e così di santa ragione che è difficile dire dove inizia e dove finisce un partito. Superato il Polesine, terra pacificata e tranquilla, si giunge al primo fronte di guerra tra bossiani e tosiani, gli epurati nel nome del senatùr e il principe degli epuratori, il nuovo capo, Flavio Tosi, sindaco di Verona. Inarrivabile il resoconto di uno dei tanti combattimenti di trincea che Santino Bozza, consigliere regionale, ha prodotto al Corriere del Veneto: “Un mese fa Tosi assieme a Conte e alla Munerato (deputata uscente ricandidata) sono venuti in casa mia, capisci?, a Este, portandosi dietro i militanti dell’Alta padovana e del Polesine e mentre si mangiavano la pizza fischiavano il segretario provinciale bossiano, fischiavano la Paola (Goisis, deputata uscente bossiana e non ricandidata). Io non ci ho visto più e sono andato in procura a portare la lettera anonima che tenevo nel cassetto da quattro mesi”. La lettera sarebbe una denuncia sui vizi e stravizi, ancora naturalmente presunti, circa le paghette fuorisacco che in Regione, al tempo in cui l’odiato Tosi era assessore, giravano. Lettera consegnata alla Guardia di finanza, indagine in corso. Bozza, da ex fabbro, sta piallando col martello il suo partito che vive il dramma del ricambio. La ramazza impugnata dal nuovo uomo forte della Lega, colui che succederà a Maroni alla guida del movimento, è stata inclemente: via i portaborse del senatùr, i fans ciechi, i fedeli babbei. E con loro sono stati fatti fuori tutti i perni della costruzione leghista. Dentro il nuovo, per far posto a un movimento che ha altre mire e un altro tipo di organizzazione.

SIAMO A PORTO VIRO, sul delta del Po. Continue reading

Ceccarelli, un gufo con l’occhio di lince

ceccarelli

La sala della svolta del Pci, quella Bolognina dove Achille Occhetto ha fatto concludere il cammino dei comunisti italiani, oggi è divenuto un centro estetico. È il tempo che passa, ma spesso è la nostra memoria che si consuma come se la vita fosse un istant book. Ricordarsi che Daniela Santanchè ha una piscina tappezzata di vera madreperla, e i sanitari cromati in oro, e la vasca rivestita di mosaico platino aiuta più di ogni parola a identificare la signora e classificarla. Come è illuminante sapere che il cane di La Russa si chiama Fiamma. L’opera di decostruzione dell’apparente insignificante in una catena di simboli e allegorie della vita politica è merito di Filippo Ceccarelli, specialissimo rigattiere della cronaca minuta e fatiscente che compone e ricompone attraverso un sapiente riuso la storia della Repubblica. Ceccarelli, da grande e avveduto giornalista, sa che tra la polvere finiscono i monili più preziosi ed è la cantina il luogo che illumina di più gli abitanti della casa. Come un gufo tra le rovine (Feltrinelli) è appunto la ricerca, attraverso le minuzie quotidiane della cronaca, del senso compiuto della nostra storia così tragica e anche così comica. Tutto è successo, ma tra quel tutto, sono pepite d’oro i ritrovamenti che Filippo, come un costruttore quotidiano di mostri, espone nel suo libro. Si deve agli italiani se Silvio Berlusconi è stato premier. E si deve a Berlusconi se George Bush si è visto recapitare in mano il cd di Apicella, l’ex parcheggiatore abusivo divenuto cantastorie ufficiale della Repubblica. Sono i dettagli a raccontare, potenti oltre ogni possibile immaginazione, la nostra miserabile, pirotecnica realtà. “Italia Uno!” così i bambini rom della periferia romana salutarono il ministro Mara Carfagna, in apprensiva e solidaristica visita. Era stata valletta e loro lo sapevano! C’è sempre da imparare da ogni cosa: oggi si discorre delle finanze devastate del Montepaschi e si ricostruiscono le spese, forse le tangenti, le responsabilità e le irresponsabilità. E cosa vogliamo dire del comune di Alessandria, ora in bancarotta, che fa dono al premier di un tartufo del valore di 12mila euro? Pupazzi della storia. A proposito. “Vorrei legare un pupazzo di Superman ma con il mio volto a una fune agganciata a un elicottero come regalo di Natale ai miei nipotini”, spiegò Silvio. Tutto si tiene, scrive Ceccarelli, che infatti scova e riprende la proposta di Renato Brunetta di indagare, attraverso il berluscometro, “quanto c’è di B. in ognuno di noi”. Lui dichiarò di essere al 45/50%.Continue reading

Grillo & Ingroia, simul stabunt simul cadent

Sono uno storico elettore di sinistra. Scelgo di volta in volta a chi dare il mio voto, e mi è successo spesso di dovermene pentire. Alcune volte ho fatto fronte al timore di sbagliare revocando il mio voto e astenendomi. Non ho consigli da dare, solo un pensiero da esporre. Questa è una brutta campagna elettorale, ipotecata dall’annunciato (finora è l’ipotesi più probabile) governicchio Pd-Monti. Il Pd mi è parso sempre un partito gnè-gnè: dentro la sua pancia esistono persone rispettabili e altre assai meno, idee condivisibili e prudenze inaccettabili. Riformisti e radicali, democristiani e comunisti. L’uno e il suo opposto. Il calderone di personalità così tanto diverse provoca immobilismo e non riforme.
Io sono per la radicalità delle idee, per la loro chiarezza, per la nettezza della posizione in campo. Fosse per me, faccio un esempio, proporrei che il finanziamento pubblico andasse solo alle scuole pubbliche. Vorrei i nostri ospedali salvaguardati e non le cliniche private; vorrei più Stato e non di meno. Fosse per me, lascerei vivere le Province e abolirei le Regioni, vero letamaio legislativo. Accorciare la filiera istituzionale significa eliminare d’un botto almeno un terzo delle cinquecentomila poltrone a cui corrispondono altrettanti bancomat perpetui. La spesa pubblica si disbosca solo se le funzioni di governo vengono semplificate e riassunte. Questo è il mio pensiero. La prospettiva invece è il continuismo: un centrosinistra allargato a Monti. Tutto già visto. Pietanza indigesta. Allora tento di inquadrare le alternative.Continue reading

I voti a Crisafulli City: “Mica puzzavano quando servivano…”

VOLTAGABBANA E CATTIVE COMPAGNIE. NELLA TERRA DOVE LE PREFERENZE CONTINUANO A PESARE C’È LA CORSA AD ACCAPARRARSI IL BOTTINO DEI RAS LOCALI


L’unica certezza è che la buvette di palazzo d’Orleans, complice una denuncia grillina sui piaceri di gola della casta a prezzi da discount, ha triplicato i costi del menu provocando la furia dei dipendenti regionali e un collasso della cassata siciliana. La cassata va comunque forte nel resto dell’isola e nell’impasto zuccheroso di esclusi e ripescati, trasformisti recidivi e fratelli coltelli si rinnova il sapore dei voltagabbana e il loro moto perpetuo circolare che termina esattamente nel punto in cui è iniziato. Se i voti non si contano ma si pesano (Bersani dixit) conviene passare per Enna, e qui siamo al centro della pesa, e mettere sulla bilancia i chilogrammi di potere e clientele, opere e omissioni del signor Mirello Crisafulli, gigantesca figura di comunista pragmatico, riformista, equivicino ai buoni e ai cattivi. Proprio oggi è stato rinviato a giudizio per truffa e falso nella gestione del consorzio dei rifiuti della città. Profetica la sua esclusione dalle liste, decretata alcuni giorni fa dai garanti del partito. “I miei voti ora puzzano, ma ieri no. Bersani ha goduto del mio appoggio e quelle schede erano buone”. La logica non fa difetto a Mirello, e la rabbia – esplosa in una drammatica riunione di corrente all’indomani della defenestrazione – è più misurata dell’immaginabile: “Io comunque farò votare Pd”. Sarà vero? “Mmmm, difficile crederlo – commenta Luciano Parisi, coordinatore regionale dell’Assopetroli – Sono di Enna e so come vanno le cose. Tutti in città guardavano a lui per un aiuto, un favore, un guaio. Voteranno in libertà, e quando dico libertà penso che un po’ di simpatie si sposteranno da qui a lì”.Continue reading