L’attesa calda degli invalidi

soleMARCO MORELLO

«Più che per dar loro una mano, sembra che siamo qui per accopparli». Non scherza affatto una delle due dottoresse sedute al tavolo della commissione per le invalidità del II distretto della Asl Roma B. Sono da poco passate le tre del pomeriggio e nella stanza cinque della sede di piazza dei Mirti, la stessa del «Tribunale per i diritti del malato», il caldo è soffocante. L’aria condizionata non esiste, i diritti nemmeno, e i ventilatori fanno soprattutto rumore. Dietro il corridoio, ad aspettare boccheggiando con il numeretto in mano e un occhio fisso all’orologio, due decine di persone tra accompagnatori, anziani, cardiopatici e malati terminali di cancro. Tutti convocati dall’azienda sanitaria a quell’orario improbabile per accertarne o confermarne la reale infermità. Tutti obbligati a rispondere alla chiamata dopo due mesi d’attesa o a presentare, in caso di impedimento serio, un certificato medico. Uguale identico a quello che si portava a scuola in caso di assenza prolungata. E il caldo, a parere di chi gli appuntamenti li ha fissati a mezzogiorno o alle due e mezzo, non è affatto un impedimento serio.
Sono perplessi e un po’ storditi questi anziani di periferia: da una parte la Asl Roma B sembra avere a cuore la loro salute, fa volantinaggio e pubblica sul suo sito internet inviti a restare a casa dalle 11 alle 18 con le tapparelle rigorosamente abbassate. Dall’altra li costringe a uscire, a sottoporsi a sbalzi di temperatura, spostamenti forzati e ad attese annaffiate di sudore. «È una grossa incongruenza valutare una patologia in un orario incompatibile», ammette subito il dottor Manduca, presidente della commissione. «Ma non dipende da noi – spiega – le decisioni le prende la segreteria dell’ufficio Invalidi civili di viale Bruno Rizzieri». «Il 30 giugno andrebbe sospeso tutto», aggiunge un collega. «È dal 2006 che non ci pagano i rimborsi, la mattina presto dobbiamo fare altri lavori», cerca di giustificarsi un altro.
Mentre loro, i malati e gli anziani, non hanno la forza nemmeno per lamentarsi. Tonio racconta che non è la prima volta che è stato convocato nel primo pomeriggio. «L’altra mi sono preso la febbre», dice mentre si asciuga il viso con un fazzoletto senza mai togliersi il cappello. Qualcuno cerca refrigerio in un ventaglio, qualcun altro chiede con insistenza quanto tempo manchi al proprio turno. La porta numero cinque si apre dopo quaranta minuti dall’orario convenuto. Nella stanza fa caldo, fuori ancora di più.

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