di Valerio Calabrese
Nell’Italia dei festini e delle escort, non ci son soldi nemmeno per i gessetti nelle scuole.
Così, lungo tutto lo stivale si comincia ad arredarle (dalle elementari ai licei) con griffe e marchi registrati. L’idea prevede la possibilità per le aziende private di “sponsorizzare” gli arredi scolastici, ovvero farsi pubblicità all’interno delle scuole, marchiando col proprio brand banchi, seggiole e lavagne. La ratio della scelta delle amministrazioni che hanno abbracciato l’idea risiede – ovvio – nella carenza di fondi da destinare alle scuole pubbliche, passate per le purghe tremontiane. L’esperienza è stata lanciata per prima dall’una e trina Provincia BAT (Barletta, Andria e Trani) che dopo aver litigato per un anno in quale delle tre città capoluogo situare la sede legale, ha palesato così la sua stessa esistenza, scatenando però numerose polemiche e per l’idea e per l’esistenza. A farla propria dopo poche settimane molte altre amministrazioni,come quella di Alemanno a Roma.
L’argomento pur controverso, sembra sinora passato sotto traccia. Secondo molti, infatti, quello che pare un modo“altro” di procurare fondi, potrebbe essere il “passepartout morale” per aprire ai privati porte e portoni di scuole, e poi magari di ospedali e per assurdo di carceri e … cimiteri.
D’altra parte, in America molte multinazionali sono sponsor (o proprietarie?) di alcuni atenei “pubblici”. Già Dieci anni fa la Coca Cola finanziava con otto milioni di dollari il distretto scolastico di Colorado Spring, peccato poi che di distributori automatici con succhi di frutta nemmeno l’ombra. La Nike, dal canto suo, donava 90 mila dollari alla scuola superiore di Berckley, in California, per un tabellone elettronico, tute e attrezzature sportive, purché gli studenti sfoggiassero il logo dell’azienda sulla schiena.
Da noi, poi, quel bisogno chiamato “emulazione” non manca mai d’essere appagato. Molte vanagloriose cittadine, tutt’altro che immuni a grandi e piccoli capricci, si sono tuffate così all’inseguimento del sogno americano.
A Battipaglia, nel salernitano, «agli sponsor verrà garantita la possibilità di esporre messaggi pubblicitari sul materiale consegnato, promuovendo quindi la propria immagine. In questo modo – si legge in una nota stampa ufficiale – l’Amministrazione intende rispondere alle necessità dei dirigenti scolastici, perseguendo un evidente interesse pubblico con il conseguente risparmio in favore della finanza locale». Più consumatori che studenti, costretti – forse per meglio apprendere “il libero arbitrio” – a subire fin dai banchi di scuola l’incessante promozione pubblicitaria di marchi e loghi. Il tutto a partire dai 5 anni, perché fin da bimbi si sappia come va il mondo.
A dar man forte a chi si oppone (come chi scrive) a questa tendenza, arrivano i risultati di un recente studio di Telefono Azzurro, che tra le altre cose denuncia: «La pubblicità influisce in maniera significativa sul comportamento e sulle abitudini del bambino, stimolandolo all’acquisto di prodotti di ogni tipo. Inoltre, gli stessi bambini-fruitori, a loro volta, influenzano gli adulti nella scelta di acquisti di generi diversi». Si intuisce così la potenzialità dell’affare, ma anche i rischi ad esso connessi. Ma non è quello all’istruzione un dovere dello Stato?
E se è dalla Puglia che giunge questa brillante idea, dalla stessa regione viene anche una splendida iniziativa di segno opposto. E, chi l’avrebbe immaginato, da un’agenzia di comunicazione. E’stata la Proforma di Bari ad annunciare: «stiamo inviando la richiesta di acquisto degli spazi pubblicitari su 25 banchi e 25 sedie della provincia di Barletta, ma rinunceremo alla sponsorizzazione. Sulle targhette destinate allo sponsor, al posto del marchio dell’azienda, inseriremo i titoli di capolavori della letteratura (da Platone a Camilleri, da Pirandello a Saviano). Il tutto seguito da uno slogan che invita i ragazzi alla lettura. Sappiamo bene – continuano dalla Proforma – che per studiare, è meglio sedersi su una sedia “sponsorizzata” che per terra, ma pur essendo un’agenzia di comunicazione siamo convinti che la pubblicità oggi sia già fin troppo invadente. Ci sono luoghi la cui soglia deve rimanere inaccessibile a qualunque propaganda, sia essa politica o commerciale».
Detto da loro…