Gherardo Colombo, l’ex magistrato della Procura di Milano, lo spiegò bene. Raccontò che la stagione di Mani pulite toccò l’apice della popolarità quando infilava in galera i potenti, quella che poi avremmo chiamato casta. “L’opinione pubblica – disse poi Colombo – iniziò a distrarsi e anche un po’ a stufarsi di noi quando le inchieste dai rami alti iniziarono a scendere verso quelli bassi”. La corruzione divenne una faccenda più larga e insidiosa, e l’opacità uno stile di vita comune a molti, a troppi. Mani pulite – magari anche per proprie responsabilità e per qualche suo eccesso – da inchiesta meritoria e liberatrice divenne un pericolo, un nemico. Il ricordo della parabola mi è venuto in mente leggendo la stupefacente iniziativa del governo che, sottoposto al pressing grillino, ha eliminato per i commercianti ogni sanzione nel caso di mancata osservanza dell’obbligo di tenere in negozio il Pos.
Due mesi a triturarci sulla necessità di utilizzare su larga scala la carte di credito, in modo che le spese e gli incassi fossero tutti tracciabili, e poi? L’evasione fiscale è un reato da punire con la galera se tocca gli altri, diviene una necessità se riguarda noi. Il governo, per mano grillina, statuisce che gli evasori o sono grandi o non sono. Le manette ai primi, uno sbadiglio per il resto della truppa. Esistono i grandi evasori, certo. Ma tutte quelle migliaia di concittadini che, pur potendoselo permettere, si danno alla macchia e costringono noi a pagare anche per loro? In televisione, appena si apre bocca, c’è sempre qualcuno che mostra il derelitto, il perseguitato, il nullatenente al quale la vita ha tolto anche le mutande. Nascondere la moltitudine di furbi dietro gli sfortunati, che pure esistono, è l’opera quotidiana di chi obbliga una parte a fare le veci di tutti. È la più grande e ingiusta delle punizioni che subisce chi pensa che la legge debba essere uguale per tutti e dunque tutti, a iniziare da lui, dovrebbero essere obbligati a rispettarla.