Abruzzo – Il 10 febbraio si vota per le Regionali: Marcozzi (M5S), Marsilio (centrodestra) e l’ex vicepresidente del Csm inciucista
La questione prima che politica è meteorologica. Nevicherà il 10 febbraio? “Con i fiocchi bianchi vedo bene la grillina, con il sole splendente il centrodestra è avvantaggiato, a meno che lui…”. Fabrizio Di Stefano, farmacista, già deputato, già senatore di Alleanza nazionale, zeppo di voti e di clienti, ma attualmente disoccupato, riceve nel Bistrot Camuzzi, a Pescara. “Il centrodestra con me avrebbe stravinto, trecento per cento sicuro. Ma amano il rischio e adesso ballano. Avrei anche tirato la carretta. Marco Marsilio, l’attuale candidato, mi chiese di dargli una mano: il programma, qualche nome da coinvolgere, il territorio da fargli conoscere. Gli risposi: ‘Va bene, ma poi quando bisognerà decidere chiederai a me?’ E lui, stupito: ‘No, faccio io’. E allora sai che c’è? Bello mio, buona fortuna”.
L’Abruzzo è andato a Giorgia Meloni. Dopo il sindaco di L’Aquila Giorgia ha indicato – su proposta di Fabio Rampelli (l’amministratore delegato di Fratelli d’Italia) il tesoriere e senatore Marco Marsilio alla carica di governatore d’Abruzzo. “Roma è la mia città, Roma è nel mio cuore e io voglio il meglio per il luogo in cui vivo”. Il video del 2016 è la pietra d’inciampo del Marsilio neoabruzzese che ogni giorno è costretto a ricordare genitori, nonni e avi viventi e defunti di Tocco da Casauria, il paese d’origine.
“Be’, tutto potrà dire ma ‘Prima l’Abruzzo’ proprio no”. Sara Marcozzi, la grillina, è la guerriera antisistema. Avvocata, dall’eloquio spigliato e anche forbito, figlia di buona famiglia. Il papà ingegnere, tecnico di Chieti affluente nel grande corso della Democrazia cristiana, il partito che ha dominato l’Abruzzo. Vuitton al braccio, dove imbucava l’amato chihuahua, di una beltà espansiva, consigliere regionale uscente, la Marcozzi si ricandida a governatore. Perse la volta scorsa ma con mille voti dei meetup (e qualche aiutino dai vertici) si è conquistata la seconda prova: “Siamo a un palmo dal centrodestra. Un punto percentuale ci divide e in questi giorni, vedrete…”. Sara, compagna di Giorgio Sorial, prima deputato oggi fedelissimo di Luigi Di Maio, nel cui ministero ha assunto il ruolo di vice capo di gabinetto, ha fatto lunga pratica forense – quattro anni, guarda un po’ tu – presso lo studio dell’avvocato Giovanni Legnini, il candidato del centrosinistra.
Legnini è il Remo Gaspari degli anni Duemila: viene però dal Pci, è macinatore di chilometri e di voti, grigio come i vestiti che indossa, calcolatore perfetto delle traiettorie politiche, dei punti d’attracco e di sbarco del governo. Tra L’Aquila e Pescara ballano ancora molti miliardi di euro, il bottino pesante è quello della ricostruzione del terremoto aquilano: ventuno miliardi sul bilancio dello Stato, metà dei quali ancora da spendere e appaltare. Piatto ricco mi ci ficco! E Legnini è dentro i gangli vitali del potere che accudisce e ossequia. Da sindaco a parlamentare, poi sottosegretario a Palazzo Chigi nel governo di Enrico Letta, infine vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
“Poco social, molto rurale, domestico, abruzzese, attrattore naturale di voti. Conosce tutti e soprattutto conosce i problemi di questa regione. Il meglio in campo secondo me”. Le simpatie di Daniele Toto, già deputato di Forza Italia, della famiglia del costruttore più influente, concessionaria dell’autostrada dei Parchi, vanno a lui. E sembrerebbero coincidere con quelle di Gianni Letta, gran ciambellano di Arcore. A un tizio che chiese udienza per promuovere la sua candidatura alle regionali, Letta avrebbe risposto quando le liste erano ancora da scrivere: “Assolutamente sì, a meno che Legnini non scenda in campo”. In campo è sceso, i potenti sono dalla sua parte. Gli manca il partito, ma non il popolo. Il Pd certo è divenuto di carta velina, quasi invisibile. Luciano D’Alfonso, il governatore uscente, è accuratamente oscurato: non porta voti, forse li fa perdere. La mossa di Legnini, che è la sua speranza, sono le otto liste con cui va all’assalto alla regione: “I sondaggi ci penalizzano perché i nostri candidati sono sul territorio. Poco conosciuti dalle società di consulenza, molto amati dai loro compaesani”.
Chi vincerà dunque? Silvio Berlusconi, tra un torrone e l’altro, è caduto in un qui pro quo: “Credo che il nostro candidato non ce la farà. Ma è molto competente”. La gaffe, contenuta in una intervista a una tv di Sulmona, è stata poi riparata. Però, il dubbio che pezzi del centrodestra vengano risucchiati dall’altra parte, resta. E che dire di Matteo Salvini? Viene in Abruzzo, sale sul palco a Sulmona, ha il candidato governatore alle spalle, la piazza è gremita. Purtroppo dimentica il suo nome, non sa. Amnesia. “L’Italia agli italiani e l’Abruzzo agli abruzzesi”, dichiarò il suo segretario regionale Giuseppe Bellachioma. La Lega, nel tavolo di destra, è quella che dà le carte e decide la vittoria. Dell’Abruzzo non sembra convinta. Marsilio, maratoneta di buon livello, si dà da fare come può. Resta in vetta ai sondaggi ma Roma, cioè la sua romanità, lo insegue e pure l’amata moglie diviene ora questione politica. Stefania Fois, pittrice e comunicatrice, dirige le relazioni esterne di Atac. È salita sul carrozzone romano ai tempi di Alemanno, con il suo nome che spiccava nella cosiddetta parentopoli, per via del ruolo e dell’ingaggio ottenuto dall’azienda di trasporti.
Marsilio la ama. Memorabile il suo ricordo della prima notte di nozze: “Amici, è stata una notte mooolto impegnativa! Ma avete visto che schianto di donna?”.
Da: Il Fatto Quotidiano, 1° febbraio 2019