Benvenuti a Rieti, «luogo di una delle più resistenti bugie dall’unità d’Italia ad oggi. E’ una promessa elettorale che si rinnova da un secolo e mezzo. Mai mantenuta ma sempre confermata, vidimata, annunciata come prossima». Indovinato di che si tratta?
Bravi, la ferrovia Rieti-Roma. Ne scrive diffusamente Antonello Caporale nel suo ultimo libro “Peccatori”, ovvero gli italiani nei dieci comandamenti a proposito dell’ottavo, non dire falsa testimonianza. Ma magari dal primo che si spericolò a promettere un “ponte tra due mari” – il delegato apostolico di Ascoli Piceno, il 15 luglio del 1846 – per parecchi sarà scattata una prescrizione assolutoria. Gli ultimi però sarebbero ancora perseguibili: «la troika Lunardi-Cicolani-Rositani che nel maggio 2003 illustra uno sfarzoso progetto per avvicinare Rieti alla capitale» e, da ultimo, Fabio Melilli e la sua prima giunta, che nel dicembre 2008 promettono «un treno veloce per la città eterna(mente) lontana in un’ora e 40 minuti» in un orario «scomodo se non proprio inutile per studenti e lavoratori, una presa in giro costata 700mila euro».
Tra il delegato apostolico e l’ecumenico presidente sfila tutta la Rieti che conta da metà Ottocento ai primi del Duemila, già oggetto degli studi (e di due libri) di Roberto Lorenzetti, dal deputato Luigi Solidati Tiburzi – che nella sua Contigliano almeno il treno ce lo fece passare per davvero, il 16 ottobre 1833, anche se andava o a Terni o a L’Aquila – al podestà Marcucci, che con Benito Mussolini perorò la causa “della costruzione ferroviaria Rieti-Fara Sabina fino al “senatore Angelo Cicolani, che nel marzo del 2006 inneggiò al Cipe: «Con i 90 milioni di euro per la Passo Corese-Osteria Nuova la strada è in discesa».
Ma guai a prendercela solo coi politici, come dice la ggente: «Vogliamo credere in qualcosa, odiare qualcuno. Vogliamo sognare o disperarci. E loro ci accontentano». Tutto qua.
(dal Messaggero dell’1 novembre 2009)