PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Campobasso
Una mucca non ci sta nel corridoio. È capace di fare salti di due metri.
“Anche tre”, dice Carmelina Colantuono a capo delle mandrie e dei mandriani che in andata e ritorno di bestie, uomini e dei dagli Abruzzi alle Puglie fanno del Molise –la terra di Campobasso dove tutto è tormento: o nevica, o piove, o tira vento –il transito della Transumanza. Un transito che si riflette, visto l’intreccio sociale, nella metafora più immediata. In politica – e domenica si saprà – tutti fanno un po’ qua e poi anche là. Come Vincenzo Cotugno che quando è di centrosinistra fa la lista “Rialzati Molise” e quando è di centrodestra, invece, fa “Orgoglio Molise”.
Come Massimiliano Scarabeo, già sgargiante ultras del Venafro calcio, fondatore del Circolo An “Gianfranco Fini”, quindi capogruppo del Pd di Matteo Renzi in Regione e adesso collocato in Forza Italia, al seguito del potentissimo cognato di Cotugno: Aldo Patriciello, il Gran Commendatore della sanità privata, il Don Rodrigo del contado molisano che dice sempre no. Un pastore, o un mandriano, ci vuole. E Patriciello ha detto no perfino all’avvenente Annaelsa Tartaglione, amica di Francesca Pascale, che la sua elezione in Parlamento se l’è dovuta faticare in transumanza, in Puglia (ma è ben vendicata; tutte le volte che Patriciello chiama al telefono Silvio Berlusconi non c’è verso: la Pascale spegne lo squillo).
Una mucca fa fatica a incamminarsi sull’asfalto. Cerca i tratturi e trascina negli zoccoli essenze e fragranze che vanno a vivificare – nei 200 chilometri delle autostrade fatte di verdissimi prati – la civiltà della transumanza. Ed è quella “bella immagine dell’avventura di bivacchi, coperte, fuochi, bellezza e il respiro incontaminato che tutti cercano” e su cui oggi scommettono Carmelina Colantuono (che pure gareggia alle Regionali nella squadra di Cotugno, uno dei politici in perenne transito), e con lei Nicola Di Niro (parente di Robert De Niro!). Sarà comunque grazie a loro due, infatti, e ai mille pastori molisani eredi di una tradizione di oltre due secoli, se nell’anno 2018 verrà accolta all’Unesco la candidatura della “Transumanza come patrimonio immateriale dell’Umanità”.
OGNI TRANSITO si lascia percorrere dalla muta pazienza dei greggi e delle mandrie.
Un grande manifesto blu squilla solo “Scarabeo” ma – non si sa mai – non mostra alcun simbolo elettorale. Campeggia lungo la strada che dallo svincolo autostradale di San Vittore porta nel cuore antico del Sannio. Dal paesaggio fanno capolino il campanile e il minareto del cimitero militare islamico. Lì riposano i fucilieri franco-marocchini della Seconda guerra mondiale e anche lì arriva il clangore dei campanacci delle mucche in cerca di quei passaggi da dove un punto porta in ogni altro punto.
Tutto arriva a tutto. Il primo Pellerossa ritratto tra le vestigia, con un tacchino in braccio, è qui, a Venafro.
Tutto porta a tutto. Dall’alto di Civita Superiore di Bojano o da Frosolone i ragazzi se ne scappano. Via da Campobasso, come da Pietracupa, da Vinchiaturo, da Isernia o da Guasto. Il Molise è l’unica regione italiana che ha perso dalla fondazione della Repubblica il 25 per cento della popolazione passando da 410mila abitanti a 310mila; l’unica a cui è stato negato un ospedale pubblico attrezzato con i servizi di secondo livello; l’unica in cui la cardiochirurgia – “fino a quando papa Francesco, ricorda Aida Trentalange, qualche tempo fa non ha fatto visita al capoluogo – chiudeva il venerdì pomeriggio e riapriva il lunedì successivo. L’unica ad aver prodotto e venduto polli (Arena) e zucchero prima di accompagnare al fallimento le aziende e nella nullafacenza i lavoratori clientes. L’unica senza strade e senza treni decenti (da Roma si fa prima a raggiungere Milano che Campobasso). Questo della fuga dei giovani “è un esodo le cui cifre – dice Franco Valente, un po’ architetto, un po’ furetto e gran commediante – replicano quelle dell’emigrazione ottocentesca e quelle dell’immediato Dopoguerra”.
Lo sguardo di Valente, spiritosamente borbonico, è tagliente. “L’inverno è lungo, e il Molise stanca gli eroi!” sentenzia. E chissà se pensa ai giovani che si dileguano, o ad Antonio Di Pietro, l’eroe che fu, originario di queste terre sempre sfiorate dalle piume di San Michele Arcangelo e sempre in transito – manco a dirlo – tra gli impetuosi urti delle rivoluzioni.
Altro che le manette di Tangentopoli, tutte inchiavardate a Milano e da lì, da ogni altrove, tornate tra il Matese, il Volturno e Campobasso, il capoluogo che è un conglomerato urbano di impiegati pubblici, prova provata che il reddito di cittadinanza in alcune aree d’Italia esiste già, mero accidente amministrativo e, popolato, come si dice qui, di “conigli ‘nzertati a volpe!”. Conigli travestiti da volpe, identità remota eppure attualissima.
LA DC ERA AL 70% dei consensi e oggi – e domenica si vedrà – tutta questa storia troverà transito, transumanza e croce: “Ma lo sapete che nelle schede elettorali delle passate elezioni politiche, quelle dove il M5S in Molise ha stravinto, le crocette sul simbolo dei Cinque Stelle erano tracciate grandi, ma proprio grandi e ben caricate?”
E cosa significa? “Significa che si vogliono trasformare in volpi, a colpi di matita, anche a volere restare conigli!”.
Altro che manette, qui è sempre rivoluzione. Davide Casaleggio, lo spirto secreto del Portale Rousseau, molto s’attende dal Molise – e domenica si vedrà – e questa terra si presta al primo esperimento visto che le rivoluzioni, sebbene ‘nzert ate nella dissimulazione impiegatizia di oggi, covano da sempre. Abitando i dettagli. E sempre in forza di croce. Nell’angolo riparato del colonnato della cattedrale di Campobasso, a sinistra, una croce che non è un crocifisso – in ferro, inastata in un cilindro di pietra grezza – porta in mezzo il Triangolo. Giusto quello lì: quello del Grande Architetto dell’Universo. All’interno del tempio, c’è nientemeno che Ermete Trismegisto con in pugno il Globo terracqueo e, inoltrandosi oltre la porta ad arco gotico, accarezzando le mura medievali, guidati da Pino Ruta – un giovane avvocato, tra i più raffinati esegeti della scienza arcana –la città diventa come un libro aperto. C’è, incredibilmente sopravvissuto ai secoli, un sigillo di Bernardo da Chiaravalle, il fondatore dei Templari. Ci sono le stelle d’Iside, i tanti segni egizi portati dai marescialli di Napoleone, quindi – misteri della municipalità – il numero civico 33 proprio dove il portone ostenta le lettere P di Gabriele Pepe e C di Vincenzo Cuoco: “Qui ebbe luce il Circolo Giacobino di Olimpia Frangipani, la prima officina che generò la Rivoluzione Partenopea ed è qui che si stabilisce – con Pepe, Cuoco, Gaetano Filangieri e Giuseppe Zurlo – la pietra angolare del giacobinismo meridionale: Campobasso, Bisceglie, Crotone e Santa Maria Capua Vetere”.
ATTRAVERSANDO le “vie nuove”, il tracciato segnato da Gioacchino Murat, i tanti negozi aperti fino a quattro anni fa, come in via Ferrari, sono oggi chiusi. Dalla facciata imponente del Teatro Savoia, orgoglio del grande spettacolo, respira l’amore di tutti per Fred Bongusto, celebrato sanpaolano (nativo del quartiere storico di San Paolo), un monumento della canzone italiana cui il 6 aprile scorso è stato tributato un omaggio in assenza perché poi, questa città – questa terra fatto transito – si trasfigura in cattedrali destinate al deserto. È pur sempre la capitale della Cassa per il Mezzogiorno, Campobasso.
Ago della bilancia? Il filo a piombo piuttosto, il tracciato di un transito di rivoluzione dove ogni mucca è capace di saltare due metri. “Ma anche tre”, ricorda Colantuono. “E trentatré” direbbe – ma oggi voterebbe Cinque Stelle? – donna Olimpia Frangipani.
da: Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2018