Al censimento di due anni fa erano in tutto duecentocinquantaquattro. Ventitré vedove, tre vedovi, cinque divorziati. Bambini sette, ragazzi dodici. “Solo io ho vent’anni in questo paese”, dice Giovanna, dietro il bancone del circolo Arci. Vende undici caffè al giorno, ma la ricostruzione sta dando il suo indotto: “Ora con i muratori al lavoro c’è più movimento, qualche panino in più a mezzogiorno si prepara”. Gagliano Aterno sta provvedendo a riparare i danni del terremoto del 2009 che colpì L’Aquila e giunse anche qui, nella valle subequana, lungo i pendii rigogliosi che guidano la strada all’Aterno, il fiume che conduce l’Abruzzo verso Pescara e il suo mare. Per fortuna in questo borgo non ci furono morti né feriti. Non ci fu bisogno di impiantare prefabbricati. Ma la paura sì, e tanta. Per risarcirla, e suturare le lesioni che comunque il tremolio che rase al suolo L’Aquila qui anche produsse, sono in arrivo 52 milioni di euro. Fanno 204 mila 724 euro a testa, supponendo che dal 2015 a oggi nessuno sia stato accompagnato al cimitero. “Ci siamo assottigliati un altro pochino” dice invece Mario Di Braccio, il sindaco di Gagliano, il paese dei balocchi. “Balocchi in che senso?”.
Il tesoro in una terra disperata Gagliano sarà il primo paese a morire sotterrato dai soldi. Ricco come nessuno, ma vuoto e desolato come pochi altri. “È colpa mia se il paese è disabitato e il 90 per cento delle case da ricostruire sono senza inquilini? E poi guardi: il piano della ricostruzione è stato redatto dall’Università, hanno fatto le cose per bene e io non ci ho messo bocca. Non mi risulta che hanno gonfiato la spesa, è stato fatto tutto a norma di legge. Se il paese muore io che posso farci?”.
Tra i mille paradossi dell’Italia senza lavoro, dei cinque milioni di poveri che arrancano sull’orlo della fame, dei milioni di giovani che non trovano occupazione né speranza, questa di Gagliano è la perla preziosa, la punta di diamante di uno sperpero senza capo né coda. La legge è legge e non c’è nulla da fare. Pianificate, progettate ed edificate case che hanno il bollino di qualità di essere nel migliore dei casi disabitate, nel peggiore bivacchi già tra qualche anno, oppure cadenti già tra un decennio. Il paese dei balocchi è la vittima sacrificale di un vorticoso e famelico giro di danaro tra i tecnici locali, i veri broker di questa fortuna che si chiama ricostruzione, e appaltatori che infileranno cemento per endovena in questo territorio bellissimo e trascurato. Soldi, soldi e soldi. Soldi intestati fittiziamente per abitanti anziani che invece sono rinchiusi nell’ospizio, per mamme con i figli lontano, per vedove che attendono l’ora del rosario, l’unico impegno della giornata. Milioni di euro che si abbattono su persone inconsapevoli, i carnefici hanno le mani in pasta col cemento e i l Parlamento. La politica serve a dare respiro tecnico al gioco. Gli amministratori locali sono tutti sui sessant’anni e in genere con una lunga militanza nei consigli comunali. Si scambiano ruoli e favori, cortesie tra amici. Il sindaco di Gagliano lo è stato già ma è ritornato per la terza volta; il suo vice invece ha fatto il sindaco a Goriano, un altro paesino, e poi per dare una mano all’impasto è giunto tra i balocchi di Gagliano. Così fan tutti, dov’è lo scandalo? Giovani non se ne vedono e quindi largo all’esperienza…
Gagliano è triste, sfibrato dall’emigrazione, piegato dalla trascuratezza. Non c’è lavoro, non c’è un ragazzo per strada. Ah, ecco uno sì: “Mi chiamo Davide, ho 35 anni e sono disoccupato. Se non sei muratore o carpentiere non c’è possibilità di far nulla. Non un sussidio per impiantare un’attività, un aiuto, un sostegno. Da questo posto devi sparire”.
Le maxi-parcelle delle cordate locali
I soldi fanno morire e Gagliano, il paese straricco sta presentando il conto alla vita. “Tra vent’anni non ci saremo più?” domanda per un conforto il sindaco. Nel municipio desolato un ingegnere contrattista, uno solo: “Sono un collaboratore e non posso parlare di niente. Non so ancora quanto tempo starò qui”. Lui non avrà le succulente parcelle (intorno al 15 per cento sull’importo dei lavori, un gruzzolo di quasi otto milioni di euro) che cordate strapaesane di tecnici stanno provvedendo a monopolizzare nel diluvio di una ricostruzione che invece di far vivere uccide, invece di dare speranze la nega. Non un soldo per rimettere il grano nei campi, le mucche al pascolo, rifare alberghi o osterie, ridare speranza ai piccoli talenti dell’artigianato locale. Solo cemento. Se a Gagliano i suoi abitanti balocchi si sono visti riversare a loro insaputa quasi 205 mila euro a testa, a Fagnano Alto, un paese di questa vallata, il conto si è fatto magnifico. Quattrocentoquarantasei abitanti, piani di ricostruzione previsti per un valore di 129 milioni di euro. Pro capite fanno 289 mila euro.
Finora il terremoto che distrusse L’Aquila ha prodotto richieste di finanziamento privato per 8 miliardi e 337 milioni di euro. Le pratiche istruite a oggi hanno un valore di 5 miliardi e 388 milioni di euro. Concessi 4 miliardi e 905 milioni di euro. Spesi soltanto un miliardo e 700 milioni di euro. La cifra è parziale, perché sono previste opere pubbliche per ancora 2 miliardi e 143 milioni. Altro che Svizzera o California, questa è la rivoluzione d’Abruzzo!
Da: Il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2017