L’inferno dentro e fuori dal bus

GIORGIO MOTTOLA

La strada sempre di fronte. E la gente, vista solo di sfuggita, come in una foto sfocata, oppure deformata nello specchietto retrovisore. Fare l’autista di quei pullman arancioni, che ti portano in giro per tutta la città, non è sicuramente il mestiere più avventuroso del mondo. Ma a Napoli anche il monotono percorso tra vie, che ormai i conducenti conoscono a memoria, diventa quasi un’impresa. Innanzitutto le strade: rimangono sempre le stesse, ma la loro fisionomia cambia minuto per minuto a seconda del numero di automobili, che sono in doppia o in terza fila. E poi i passeggeri. Nel tratto tra la stazione Garibaldi la 167 (dove si trovano le case popolari), ne salgono, a volte, di strafatti o carichi delle droghe da spacciare in tutte le province della Campania. Oppure le botte che ti prendi per il traffico bloccato: nell’ultimo mese, quattro conducenti sono stati picchiati mentre lavoravano. A raccontare queste storie di ordinaria follia cittadina è un autista dell’Anm, i suo nome è Emanuele.
Seduto sette ore al giorno sul suo sedile ammortizzato, vede la vita di Napoli scorrergli di fronte e ai lati. Osserva le fermate moltiplicarsi di settimana in settimana.«Nelle altre città italiane e europee non ce ne sono così tante», spiega. Questa “particolare” prolificità, secondo lui, è legata a pratiche di consenso politico: «Bisogna essere grati ai consiglieri di municipalità per questo primato. Continuamente, per accontentare i cittadini-elettori, mettono in piedi una petizione e, sistematicamente, nasce la fermata». In questo modo, una corsa in autobus si trasforma in una specie di via crucis, che blocca il traffico e incolonna migliaia di automobilisti inferociti ogni mattina.
«La parte più difficile è proprio rapportarsi con quelli che stanno in macchina – confessa l’autista – La polizia municipale in rari casi è di aiuto». Il problema è rappresentato innanzitutto dai parcheggi selvaggi e «dalle file che, a volte, durano ore ed ore». La lite può nascere con una facilità estrema. «L’altro giorno – racconta – dalle parti della Sanità c’erano macchine parcheggiate in terza fila. Quando ho chiesto di spostarle, mi è stato risposto che l’altro autobus era riuscito a passarci e quindi dovevo arrangiarmi. Sono stato fermo lì quasi mezz’ora, prima che si degnassero di spostarle». In casi simili, di recente, quattro suoi colleghi sono stati malmentati: una di loro era una donna, altri due hanno subito un’aggressione nello stesso posto, al rione Kennedy. I turni degli autisti dell’Anm sono massacranti: «A volte attacco a lavorare alle quattro di mattina, altre volte, smetto verso l’una di notte». Non per tutti, va precisato: «Ci sono i raccomandati, quelli che sono entrati con i concorsi pilotati e godono della compiacenza dei sindacati e dell’azienda. Gli “spezzati” li chiamiamo. Perché mentre noi facciamo 7 ore continuate, loro ne fanno prima quattro e poi tre, dopo pause di diverse ore». Per chi lavora così tanto tempo e senza nemmeno aria condizionata, non sempre si riesce a mantenere la calma di fronte agli insulti.
Al manto stradale completamente dissestato, invece, ci hanno fatto l’abitudine: «Ci sono dei posti come la calata di Capodichino, o via Manzoni, che sono micidiali. La pavimentazione in porfido è rovinata al punto tale che gli autobus nuovi, che fanno quel tratto, durano pochissimo». Oppure il corso di Secondigliano, «dove il marcipiede si è allargato così tanto che ora riesce a passarci un solo pullmann, non rispettando il codice della strada».
A volte però i problemi ce li hai dentro al pullmann e non fuori. Quasi ogni giorno, i bus arancioni dell’Anm, si trasformano in navette del narcotraffico. Accade sulla linea che collega la stazione centrale di piazza Garibaldi alla 167: «Ci sono tossici che si bucano sul pullmann e altri che salgono carichi di dosi. Arrivano alla stazione e se ne tornano da sono venuti».

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